di Massimo Vaglio
Il carrubo (Ceratonia siliqua L.) è una pianta sempreverde, che raggiunge comunemente i 10-12 metri, di altezza, molto imponente, è caratterizzata da una folta chioma espansa dal colore verde scuro costituita da foglie composte arrotondate, glabre, lucenti e coriacee.
Botanicamente, il carrubo appartiene alla famiglia delle Leguminoseae (sottofamiglia Ceasalpinaceae) e al genere Ceratonia che comprende la sola specie Ceratonia siliqua. Il nome della specie deriva per metà dal greco keràtion (=piccolo corno) e per metà dal latino siliqua (=baccello).
I fiori sono poco appariscenti, riuniti in infiorescenze racemose di odore sgradevole e possono essere attaccati ai rami adulti o anche direttamente sul tronco. A questo proposito è opportuno ricordare che il carrubo è una specie dioica, ovvero che presenta fiori maschili e femminili su soggetti diversi anche se talvolta nella forma selvatica i fiori maschili e femminili si possono ritrovare su di uno stesso individuo. Nelle varietà coltivate si producono soltanto fiori femminili, ecco perché al momento dell’impianto è consigliabile mettere a dimora piante dei due sessi.
I fiori si trasformano in frutti dopo circa un anno, i frutti (legumi o baccelli detti lomenti) noti come carrube, nelle varietà coltivate sono lunghi fino ai 20 cm, larghi 3,5 cm e sono spessi circa 1 cm. Si sviluppano in primavera, di colore verde chiaro diventando bruni (color cioccolata) a maturazione completata a fine estate. Contengono all’interno semi duri e lucenti chiamati carati dall’arabo (‘khirat’); furono infatti proprio gli arabi ad individuare la particolare caratteristica che questi avevano sempre un peso costante (1/6 di grammo), per questo li utilizzavano come unità di misura delle pietre preziose.
Un albero di carrubo adulto, può produrre alcuni quintali di carrube, e in letteratura sono riportati casi di esemplari che hanno prodotto fino ad oltre una tonnellata di frutti maturi per stagione.
Le carrube assumono a maturità una colorazione marrone scuro ed hanno un sapore dolce ed aromatico dovuto ad un contenuto in zuccheri che in alcune varietà può raggiungere circa il 60%.
Oltre il 70% circa della superficie nazionale coltivata a carrubo si trova in Sicilia, la restante parte è ripartita tra la Puglia, la Sardegna ed alcune zone della Campania anche se è presente con alberi sparsi o piccoli nuclei anche in diverse altre regioni sino alle zone più riparate della Liguria che costituisce il limite settentrionale. I maggiori paesi produttori attualmente sono la Spagna, tutti i paesi dell’Africa settentrionale, la Grecia, la Turchia, e la Siria, in Israele il carrubo è stato ampiamente utilizzato per il rimboschimento di zone montuose, rocciose ed aride. Il Carrubo, che riesce a raggiungere comunemente dimensioni maestose, è una specie molto longeva che arriva a vegetare anche per 500 anni, anche se dalla crescita lenta, originaria dei paesi del Mediterraneo orientale (Siria, Asia Minore) e si è diffusa per coltivazione antichissima in tutto il bacino del Mediterraneo.
Fu introdotto in Italia dai greci, ma furono però gli arabi (che coltivavano e consumavano i suoi frutti dai tempi più remoti) che ne intensificarono la coltivazione diffondendolo poi in Spagna e Marocco. Insieme all’olivastro, al lentisco ed al terebinto già in epoca fenicia ricopriva con fitte foreste sempreverdi le zone costiere e collinari dei paesi mediterranei; è una specie amante della luce e del caldo e vive fino a 600 m. sopra al livello del mare in terreni rocciosi e calcarei. Di queste grandi foreste, allo stato attuale è rimasto ben poco, ma il carrubo, in areali circoscritti, è riuscito ad ambientarsi anche dove a causa della grande siccità e delle alte temperature estive, alcune specie della macchia mediterranea sono andate scomparendo.
La principale utilizzazione nel settore dell’industria alimentare è rappresentata dalla produzione di farine che trovano impiego nell’industria zootecnica per la realizzazione di ottimi mangimi per animali, ed in particolare per lo svezzamento e l’ingrasso dei suini, per prevenire casi di dissenteria dei soggetti giovani, nonché per migliorare l’appetibilità di foraggi e miscele di mangimi destinate a molte specie animali.
La carruba è diventata popolare nel settore dell’industria alimentare negli anni 80, la polpa è priva di caffeina e viene utilizzata per ricavare il “carcao”, che è un succedaneo del cacao a basso contenuto di grassi, mentre il “semolato”, è la farina di carrube ottenuta facendo essiccare la polpa e poi tritandola.
Grazie a un alto contenuto di proteine, vitamine, minerali come calcio, magnesio, potassio, la farina di carruba è un alimento nutriente a tutti gli effetti, povera di grassi, di sodio e di glutine quindi indicato anche nell’alimentazione dei celiaci.
Dai semi, si ricava una gomma addensante che viene utilizzata in pasticceria. Le carrube sono molto ricche di zuccheri, tanto che, con la fermentazione, da un quintale di carrube si ottengono dai venti ai venticinque litri di alcool,
Sino ad un recente passato le carrube erano comunemente utilizzate direttamente per l’alimentazione umana consuetudine che sopravvive su piccolissima scala, praticamente ormai a livello di mera curiosità. Si narra che S. Giovanni Battista nel lungo periodo della sua ascesi nel deserto si nutrisse dei frutti di questa pianta (da allora anche denominata “pane di S. Giovanni”), che costituirono pure l’amaro pasto del figliol prodigo durante la dura esperienza di guardiano di porci.
In campo farmaceutico si utilizzano le carrube come prodotti naturali per la cura di malattie intestinali; sono lassative quando la polpa è ancora verde, astringenti e antidiarroiche da secche, grazie all’elevato contenuto di tannini, pectine, lignina, ecc., tutte queste proprietà sono ben note e ampiamente sfruttate dall’industria chimica e farmaceutica.
La ricerca scientifica ultimamente sta concentrando i suoi studi su di una peculiarità del carrubo, che è quella di possedere uno strato di tessuto (cambio) costituito da cellule meristematiche, ossia in grado di far ricrescere qualsiasi organo della pianta che dovesse andare incontro a marciume o essere danneggiato. Si tratta, in parole povere, di cellule hanno le stesse caratteristiche di quelle che permettono al polpo la ricrescita di un tentacolo amputato o alla lucertola la ricrescita della coda, come si può intuire si tratta di un meccanismo che se, come si spera, si riuscisse a governare potrebbe trovare meravigliose applicazioni anche nella cura dei tessuti umani danneggiati.
Dai semi inoltre si produce una farina che per l’elevato potere addensante, legato al contenuto di carrubina (un polisaccaride), trova ampio impiego nell’industria alimentare e soprattutto dolciaria.
Dal legno rossiccio, che non è un ottimo combustibile, si possono ricavare sculture e può essere impiegato in lavori di ebanisteria, inoltre, si estraggono coloranti e polifenoli utilizzati nella concia delle pelli.