di Armando Polito
Non pone dubbi di sorta (o quasi … 3) la seconda attestazione, contenuta nel testamento del soldato Ponzio Bastone redatto a Genova nel 1279 dal notaio Ugolino Scarpa3 in cui tra i beni inventariati compare anche una bariscella plena de macaronis (cesta piena di maccheroni).
La terza attestazione è nel Boccaccio (XIV secolo), Decameron, terza novella dell’ottava giornata; : … niuna altra cosa facevano che far maccheroni e raviuoli … pur per veder fare il tomo a quei maccheroni …
Tralascio le numerose successive non mancando, però, di riportare quella, in latino, in cui il nostro è protagonista di un miracolo sulla falsariga, in un solo colpo, della moltiplicazione del pane e dei pesci e nella trasformazione dell’acqua (nel nostro caso dell’aria) in vino, il nostro maccherone è in una testimonianza che valse il titolo di beato conferito il 9 aprile 1537 da Papa Paolo III a Guglielmo Buccheri, detto Guglielmo Cuffitedda, anche noto come Guglielmo da Noto, Guglielmo eremita o Guglielmo di Scicli (1309-1404). Negli atti del processo di beatificazione4 (che, dunque, risalgono alla prima metà del XVI secolo) si legge: Super X Capitulo Testis XI asseruit, de pluribus miraculis ab eo factis se audivisse ex patre et matre, sed nullorum in particulari meminisse: ceteri fere omnes ex auditu narravere miraculum de pastillis in domo Guiccionii. Ex his Testis I hoc modo rem narrat publice auditam. Invitaverat Guillelmum aliquando compater suus Guiccionius ad prandium, eique apposuerat maccarones seu lagana cum pastillis: quorum aliqui de industria impleti furfure, positi fuerunt ante dictum Guillelmum. Hos cum ei praescindere vellet, quae eosdem paraverat Guiccionii uxor, coepit ille dicere commatri suae, quare hos ipsi praescinderet; et formans super lancem signum Crucis, accepit aliquos ex dictis pastillis plenis furfure, eosque aperiens reperit plenos recocto lacte: ac mox mulieri monstravit dicens – Huc aspice, commater, numquid delicati sunt? -. Postea volens bibere, requisivit eamdem an haberet vinum, respondit illa a pluribus diebus nullum habuisse domi. Institit nihilominus Guillelmus ut apponeret, designando digito vas vinarium, pridem vacuum. Surrexit ergo mulier cum cantharo, movensque spinulam vasis supremam, ut iusserat Guillelmus, mox ut eam extraxit, mirata est vinum copiosum effluere (Sul X capitolo il testimone XI affermò che di parecchi miracoli da lui fatti ne aveva sentito parlare dal padre e dalla madre, ma che in particolare non ne ricordava nessuno. Quasi tutti gli altri raccontarono per averne sentito parlare del miracolo delle focaccine in casa di Guiccionio. Tra questi il testimone I narra in questo modo il fatto che aveva sentito in pubblico. Un giorno Guglielmo era stato invitato a pranzo dal suo compare Guiccionio che gli aveva messo in tavola maccheroni o frittelle con focaccine: alcune appositamente ripiene di crusca erano state poste davanti al detto Guglielmo. Volendo la moglie di Guiccionio, che le aveva preparate, tagliargliele, cominciò egli a dire alla sua comare perché volesse tagliargliele; e facendo sul piatto il segno di croce prese alcune delle dette focaccine piene di crusca e aprendole le trovò piene di ricotta; e subito le mostrò alla donna dicendo: – Guarda qua, comare, non sono delicati? -. Poi volendo bere le chiese se avesse del vino e lei rispose che da molti giorni non ne aveva in casa. Nondimeno Guglielmo insistette perché lo servisse, indicando il contenitore del vino da tempo vuoto. Si levò dunque la donna con la brocca e muovendo la spina superioredel contenitore, come aveva ordinato Guglielmo, non appena la estrasse vide meravigliata sgorgare il vino).
A questo punto non mi rimane che passare in rassegna le proposte etimologiche. Nel tempo se ne sono accumulate veramente tante. Eccole in ordine cronologico inverso, a partire da quella attualmente più accreditata, sia pure in forma dubitativa, alcune di loro legate da un sottile filo conduttore.
1) Dal greco μακαρία (leggi macarìa) che nel greco classico può significare felicità, beatitudine, sciocchezza, insulsaggine (torna in campo il salentino maccarrone sinonimo di sempliciotto …); Esichio di Alessandria (V secolo d. C.), però, nel suo lessico di μακαρία dà questa definizione: βρῶμα ἐκ ζωμοῦ καὶ ἀλφίτων=pasto di brodo e di farine. Il piatto veniva offerto in occasione dei funerali; ancora oggi in greco μακαριά significa funerale e il classico μακαρία è derivato da μάκαρ (leggi màcar)=beato, appellativo riservato ai morti. =beato, epiteto che si dava ai morti. L’aggancio tra tale piatto e il maccherone mi sembra piuttosto labile, ma, datolo per corretto, mi chiedo se il significato traslato della voce salentina si colleghi ai poveri di spirito destinati nel vangelo ad essere beati, che qualcuno interpreta estensivamente non come semplici, ingenui, puri ma come idioti, oppure alla semplicità del piatto, come è avvenuto nell’aggettivo maccheronico usato ironicamente dagli umanisti per definire il latino (quasi da cucina …) dei cuochi di convento.
2) Dal greco μακρόν (leggi macròn)=lungo, grande. Come faccio, ritornando sul significato metaforico di maccarrone a non pensare al proverbio, sempre salentino, tantu luengu tantu fessa? Qualcuno direbbe che è tutta invidia, ma non sa che, prima di incurvarmi a causa dell’età, mi venne rilevata, in occasione di una foto segnaletica …, una statura di due m. 2,20-0,53 …
3) Dal greco μάχαιρα (leggi màchaira)=coltellaccio; maccherone, perciò, alla lettera significherebbe tagliato col coltello.
4) Dalla radice μαγ– (leggi mag-) del verbo μἀσσω=impastare.
5) Da (am)maccare, con riferimento alla specie di pestatura che l’impasto originario subisce; per *maccare le proposte etimologiche sono tutte dubitative: da *macca (a sua volta derivato dal latino màcula=macchia; il pensiero va all’ecchimosi …) oppure dalla radice mag– di cui ho detto al punto precedente, oppure sarebbe voce onomatopeica.
Eppure ci sarebbe un personaggio, che sintetizzerebbe in modo forse solo apparentemente casuale, quanto fin qui detto. Era uno dei quattro fissi dell’atellana, cioé dell’antica farsa di origine osca diffusasi a Roma come rappresentazione non itinerante a partire dal II secolo a. C; essi erano: Bucco (il fanfarone che parlava sempre a vanvera), Dossennus (il gobbo e furbo), Pappus (il vecchio rimbambito) e, dulcis in fundo, Maccus, che era stupido, ghiottone e le prendeva sempre. Chi può escludere che da una forma aggettivale di Maccus (*màccarus) non sia derivato maccherone?
E, dopo questo volo che probabilmente è solo di pura fantasia, è tempo di pensare al concreto. Mi attende un piatto fumante di curti e gruessi (confezionati da mia moglie; ogni tanto pure lei ne fa una buona …) cu lla ricotta scante6 (prodotta da mio cognato), che, inevitabilmente sarà accompagnato da un bicchiere (quasi certamente più di uno …) del nostro primitivo (purtroppo questo non è prodotto in famiglia e, perciò, il piatto non può essere definito, con locuzione oggi usata un po’ a vanvera, a costo zero …) in grado di risvegliare istinti altrettanto primitivi, che, poi, sono i più sani …
Non fornisco documentazione fotografica delle delizie che mi attendono per non suscitare nel lettore l’istinto non della sana ma dell’insana invidia;e, fra l’altro, per questo la foto di testa non è mia.
E così mi metto parzialmente al sicuro se ai suoi occhi avrò fatto fin qui la ficura ti maccarrone …
Per la prima parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2016/01/16/lu-maccarrone-il-maccherone-il-suo-etimo-e-duro-come-il-grano-di-cui-dovrebbe-esser-fatto-12/
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3 Purtroppo in tutti i testi in cui questo documento è citato manca qualsiasi riferimento di natura archivistica e mi spiace, questa volta, di non poter colmare questa lacuna.
4 Acta sanctorum, tomo I (1-10 aprile). Palmè. Parigi e Roma, 1866, p. 375. Parte del brano riportato è pure nel Glossarium mediae et infimae latinitatis del Du Cange al lemma MACCARONES con la definizione di Genus edulii delicati (Tipo di companatico delicato), ma ho preferito riportarlo integralmente dall’originale, anche perché la voce del glossario non contiene nessuna indicazione utile a collocarla nel tempo.
5 https://www.fondazioneterradotranto.it/2015/05/04/la-ricotta-scante-ci-ti-usca-no-tti-scantare-la-ricotta-forte-se-ti-senti-bruciare-non-spaventarti/
Nell’articolo scrivi:
“… Eppure ci sarebbe un personaggio, che sintetizzerebbe in modo forse solo apparentemente casuale, quanto fin qui detto. Era uno dei quattro fissi dell’atellana, cioé dell’antica farsa di origine osca diffusasi a Roma come rappresentazione non itinerante a partire dal II secolo a. C; essi erano: Bucco (il fanfarone che parlava sempre a vanvera), Dossennus (il gobbo e furbo), Pappus (il vecchio rimbambito) e, dulcis in fundo, Maccus, che era stupido, ghiottone e le prendeva sempre…”
Come non fare riferimento al neritino “babbu” o “ceddhu babbu” ovvero “addormentato, rimbambito” e al copertinese “macu”, “stupido”?
Sì, ma solo concettualmente, perché l’etimo è diverso. “Babbu” è, come l’italiano “babbeo”, da una radice onomatopeica che riproduce il balbettio; “macu” corrisponde all’italiano “mago”, inteso , nel solito abominevole processo metaforico che accompagna il giudizio sul “diverso”, prima come “strano”, poi come “stupido”.
Vuoi vedere che, cercando altro, stavolta Polito abbia trovato una soluzione più convincente di questa https://www.fondazioneterradotranto.it/2011/10/21/senza-titolo-per-non-metterne-piu-di-uno/ ? Serendipity!
Peraltro, aggiungo, Macu e Maccarrone sono perfettamente (per valenza e sfumatura semantica come per contesti d’uso) sovrapponibili e sinonimi per il copertinese, anche se Macu è, almeno oggi e soprattutto tra i giovani, più ricorrente; non credo di sbagliare sostenendo che per bocca dei più anziani ricorrono invece con la medesima frequenza.
Caro Pier Paolo, Marcello con il suo “macu” ha “scazzicatu” un antico scambio di idee che io e te abbiamo avuto sull’etimo di questa parola e tu, giustamente, hai riportato il link che conduce a quel post. Lì in un tuo commento chiamavi in soccorso il rasoio di Occam, argomento su cui, ricorderai, abbiamo avuto un altro vivace scambio di idee (https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/10/24/olive-celline-perche-questo-nome/).
Oggi ti dico che non solo non penso minimamente a collegare etimologicamente “macu” con il “Macco” latino (e, indirettamente, “macu” con “maccarrone”) per una serie di motivi che in larga parte coincidono con quelli messi in campo nel vecchio post, ma approfitto dell’occasione pure per invitarti scherzosamente a riflettere se non sia il caso di non fidarsi troppo di Occam e, dunque, del suo rasoio. Perché? Prova a leggere Occam all’inverso. Fatto? Ora non te la prendere con me, ma con Marcello! …
… e sulla serendipità si può trovare il mio pensiero (!!!) nell’ultimo commento in coda al post leggibile in
https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/03/21/storicita-della-vigna-in-terra-dotranto/