Dall’osservazione al racconto: ecco le “tracce” di Rocco Boccadamo

di Eliana Forcignanò

CAM02103

Edito per i tipi di Spagine “Anita, detta Nnita”, narrazioni e note dal Salento

 

Può nascere dalla fantasia o dall’osservare il racconto, talvolta da entrambi: uno scrittore non è soltanto l’artefice di un’architettura narrativa ben riuscita, bensì è anche e soprattutto colui che esercita lo sguardo fuori e dentro di sé, perché fuori e dentro – come già sosteneva Spinoza – sono l’eco l’uno dell’altro e la realtà è fitta di rimandi al mondo interiore, così come l’interiorità è sempre influenzata da ciò che accade sotto i nostri occhi. L’occhio. E la penna o, per i postmoderni, la tastiera di un computer, il foglio digitale che, tuttavia, suscita lo stesso panico da cominciamento di quello cartaceo. Perché l’esordio della scrittura non è mai impresa facile, soprattutto se questa scrittura parla di noi.

Il nuovo lavoro di Rocco Boccadamo, Anita, detta Nnita. Lettere ai giornali e appunti di viaggi (Spagine Edizioni, 2015), parla di noi. Già Compare, mi vendi una scarpa? rappresenta un approdo significativo per questo narratore di un Salento a tratti manzoniano in cui gli umili, con le loro vicissitudini e con gli stenti quotidiani, esprimono un’umanità fiera e – può sembrare un ossimoro – persino ludica nella dimensione di creatività e dignità che Quintiliano attribuiva al gioco. Ora, con questo volume, Boccadamo torna nei suoi luoghi fisici e mnestici recando con sé una denuncia velata di sottile ironia. Vi torna con sincera partecipazione emotiva nei confronti di chi ha subìto le vessazioni di un progresso sovente cieco e sordo alle esigenze dell’individuo e della collettività. Tuttavia, il progresso non si governa da solo: a guida della potente macchina ci sono uomini che fagocitano altri uomini: lo ha espresso bene Steinbeck in quel bellissimo romanzo che è Furore in cui si racconta l’esodo di una famiglia di agricoltori del Midwest verso la California. A questi poveri agricoltori il progresso aveva espropriato la terra; beneamato progresso che, dalle nostre parti, anni dopo, avrebbe portato la centrale di Cerano riducendo in ginocchio le colture tradizionali e seminando povertà fra i contadini. La Storia – come osservava Vico e come Boccadamo non manca di annotare – è fatta di corsi e ricorsi. Che cosa accomuna la famiglia rurale di Steinbeck agli agricoltori delle nostre parti? Probabilmente, quel caparbio spirito contadino, quel legame con la terra che mandò a morte anche i kulaki nell’epoca staliniana e che si può riassumere nel motto “Mai chinare la testa!”. Le terre limitrofe a Cerano, ove crescevano succose angurie, hanno sofferto l’inquinamento senza che la questione toccasse le alte sfere, eppure i contadini non si arrendevano e continuavano imperterriti nel loro lavoro sospeso fra bisogno e desiderio, pur sapendo che tanta ostinazione avrebbe potuto ridurli alla fame. L’immagine di questi uomini piegati sui campi è traslata da Boccadamo nella splendida metafora dei due cavalli da tiro che, maestosi, trainano l’aratro nella consapevolezza esiodea che le stagioni si succederanno sempre e tale regolarità – la regolarità del clima anch’essa purtroppo in via d’essere irrimediabilmente alterata – infonde negli esseri una certa speranza. O, almeno, la infondeva.

Il ricordo di Boccadamo corre da Cerano alla sua Marittima: anche qui, la terra ha mutato il suo aspetto e la sua produttività, ma c’è ancora chi raccoglie le olive, chi ne sa aspettare pazientemente la maturazione e crede che quell’olio – sacro alle antiche divinità e oggi, ancora una volta, posto in discussione – costituisca un inarrivabile punto di forza per il Salento. Così i “minuscoli frutti ovali tra il verde e il viola” si alleano con quelli “rossi e dolcissimi” per dipingere di colori e sapori (il sapere – tutto il sapere e non solo quello contadino – non è forse un sapore?) un racconto che, prendendo le mosse dal singolo personaggio, giunge a diventare resoconto corale.

Si potrebbe affermare senza timore di cadere in errore che, quando Boccadamo scrive, non ha in mente una visione meramente maschile del Salento: contadini erano uomini e donne e, se non bastasse questa evidenza, il titolo del libro chiude definitivamente le porte all’idea che il Salento sia esistito e sia oggi narrato soprattutto quale “terra di maschi”. Senza dubbio, vi sono molti modi di raccontare la femminilità e Boccadamo, lungi dal vestire i panni di uno stilnovista che angelica la creatura femminile o di un misogino che la relega alla mera funzione riproduttiva, delinea con delicata giovialità il ritratto di Anita, ragazza dai “prorompenti seni” che non aveva voluto saperne di andare a scuola e aveva suscitato amori folli in paese non solo per la sua avvenenza, bensì anche per l’acume e la sagacia. Anita – oggi, simpatica nonna ultraottantenne – nelle ore di scuola forava i lobi delle orecchie alle compagne per far posto agli orecchini e, appena adolescente, non aveva esitato a dimostrare un temperamento risoluto, rifiutando il suo primo fidanzatino che già la corteggiava ufficialmente. Anita, operaia in un tabacchificio; Anita che aveva ricevuto il suo primo bacio a diciassette anni in una casa invasa dal tufo e ne era rimasta spiacevolmente sorpresa, perché non era quello il modo in cui lei lo aveva immaginato. Colpisce, nella narrazione di Boccadamo, la capacità di affrescare i suoi personaggi di là da sterili retoriche e luoghi comuni. È evidente che, in quanto donna, la libertà di Anita fosse limitata ed è evidente che, in paese, non corressero su di lei voci particolarmente benevole, soprattutto dopo il bacio furtivo, eppure non è questo che interessa all’autore. Il fine da raggiungere sembra, invece, quello di tratteggiare un’individualità che agisce in un contesto determinato. Perché solo dal racconto dell’individualità può nascere il corale: non si è mai vista una tragedia in cui vi sia soltanto il coro né il Verga o Silone si sarebbero mai sognati di scrivere i loro capolavori senza ‘Ntoni e Berardo Viola. È la differenza che pone in luce il contesto. Si tratta di una differenza intrinseca non solo nei soggetti, ma anche negli oggetti, nelle cose che ci circondano e nei confronti delle quali Boccadamo lamenta la discuria: è il caso di quell’edificio di Castro che ospitava gli orfanelli e che viene ridipinto con un giallo “sparato” che ne deturpa l’intero prospetto. Per quale ragione – si potrebbe obiettare – scrivere di un edificio pubblico che è uno dei tanti? In fondo, sono numerosi gli esempi di cattivo gusto – o semplice noncuranza – da parte delle amministrazioni locali, tuttavia è proprio dello scrittore – più in generale dell’artista – quel senso estetico che Boccadamo definisce “senso dell’armonia” cui non mancano sollecitazioni positive e, più spesso, negative. Se tutti tacessero – sembra dire tra le righe Boccadamo – il brutto diverrebbe ordinario. A questo proposito, è opportuno precisare che questo libro non è una raccolta di racconti: accanto agli spaccati di vita che, in breve, si è tentato di delineare, compaiono lettere e articoli cui, però, non si trascura mai di conferire una dimensione vissuta e passionale, la medesima dimensione che percorre l’intero volume e lo rende non solo godibile, ma anche commovente, se per “commozione” intendiamo non la romanticheggiante lacrimuccia, ma un vero moto alla riflessione e, possibilmente, all’acquisizione di consapevolezza.

Condividi su...

Lascia un commento

La Fondazione Terra d'Otranto, senza fini di lucro, si è costituita il 4 aprile 2011, ottenendo il riconoscimento ufficiale da parte della Regione Puglia - con relativa iscrizione al Registro delle Persone Giuridiche, al n° 330 - in data 15 marzo 2012 ai sensi dell'art. 4 del DPR 10 febbraio 2000, n° 361.

C.F. 91024610759
Conto corrente postale 1003008339
IBAN: IT30G0760116000001003008339

Webdesigner: Andrea Greco

www.fondazioneterradotranto.it è un sito web con aggiornamenti periodici, non a scopo di lucro, non rientrante nella categoria di Prodotto Editoriale secondo la Legge n.62 del 7 marzo 2001. Tutti i contenuti appartengono ai relativi proprietari. Qualora voleste richiedere la rimozione di un contenuto a voi appartenente siete pregati di contattarci: fondazionetdo@gmail.com.

Dati personali raccolti per le seguenti finalità ed utilizzando i seguenti servizi:
Gestione contatti e invio di messaggi
MailChimp
Dati Personali: cognome, email e nome
Interazione con social network e piattaforme esterne
Pulsante Mi Piace e widget sociali di Facebook
Dati Personali: Cookie e Dati di utilizzo
Servizi di piattaforma e hosting
WordPress.com
Dati Personali: varie tipologie di Dati secondo quanto specificato dalla privacy policy del servizio
Statistica
Wordpress Stat
Dati Personali: Cookie e Dati di utilizzo
Informazioni di contatto
Titolare del Trattamento dei Dati
Marcello Gaballo
Indirizzo email del Titolare: marcellogaballo@gmail.com

error: Contenuto protetto!