In mera ottica di senso civico e, insieme, di rispetto delle istituzioni, desidero rivolgere al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella il mio sincero plauso e vivo apprezzamento per aver inserito, fra i punti nodali del suo primo messaggio di fine anno, il problema (forse, sarebbe più giusto parlare di piaga) dell’evasione fiscale.
Al riguardo, la massima carica dello Stato ha testualmente detto: “L’evasione fiscale e contributiva, in Italia, nel 2015 ammonta a 122 miliardi”, aggiungendo: “Dimezzando l’evasione, si potrebbero creare oltre trecentomila posti di lavoro” e chiosando ancora: ”Le tasse e le imposte sarebbero decisamente più basse se tutti le pagassero”.
La cifra di 122 miliardi testé citata dal Presidente ricalca e conferma le conclusioni cui, già alcuni anni addietro, pervenne il Sole24Ore, a seguito di un’indagine sull’infedeltà fiscale in Italia basata sui dati ISTAT dell’economia sommersa, laddove si quantificava in 250 – 270 miliardi di euro all’anno l’area del sommerso economico, ossia dei redditi “sfuggiti” al prelievo tributario e/o contributivo e, di conseguenza, in 115 miliardi il gettito sottratto, ogni dodici mesi, all’Erario.
Si tratta, inconfutabilmente, di cifre terrorizzanti. E’ come dire che, senza le “perdite” inflitte da tale, lungamente datata, realtà, in Italia, nonostante gli sperperi e gli sprechi, non si sarebbe punto formato il debito pubblico o, con proiezione verso il futuro, che, nel giro di venti – trenta anni (appena un baleno nella vita e nella storia d’una nazione), si potrebbe rientrare completamente dall’attuale, faraonico “fardello”, giustappunto, del debito pubblico.
Però, bisogna cambiare radicalmente registro, la caccia e la lotta ai “furbi” – di qualsivoglia dimensione – che non pagano le tasse, deve diventare dura, implacabile, i rei scoperti e accertati, oltre a essere obbligati all’integrale refusione del maltolto, vanno puniti, non solo con pene restrittive della libertà, ma anche con il lavoro obbligatorio durante la detenzione, in modo che si auto mantengano e paghino i costi delle strutture carcerarie.
La faccenda è ormai indifferibile e assolutamente vitale, non si lasci nulla d’intentato per, finalmente, sistemarla, si ricorra, al caso, anche all’aiuto e alla collaborazione, con costi ovviamente a nostro carico, del Governo degli U.S.A., dove, come noto, le tasse sono corrisposte da tutti e su qualunque reddito, così da mettere finalmente a regime, anche da noi, un’efficiente macchina fiscale e far dare allo Stato, che, in fondo, s’identifica con le tasche comuni di noi cittadini, ciò che è dello Stato.
Condivido integralmente la seconda parte (da “Però” fino a “pubblico”) per il suo taglio concreto, nemmeno una virgola della prima perché credo che il tempo del rispetto aprioristico, o basato sulla fiducia, delle istituzioni (ancora una volta aggiungo: laiche o religiose, per chi alla sua religione crede , che siano) senza che gli uomini che le sostanziano, come da decenni sta avvenendo, si mostrino degni di rispetto e tanto meno fiducia, sia agli sgoccioli.
Abbiamo tutti bisogno di fatti concreti e sarebbe opportuno che ognuno di noi, dal più rappresentativo al meno, si astenesse dalle parole finché non sia in grado di esibire fatti (che nella fattispecie coincidono con provvedimenti efficaci) inconfutabilmente provati.
Ora non vorrei che il cacciatore di gufi mi prendesse, a modo suo, alla lettera e nel “pacco” (attenzione alle virgolette che sottolineano il duplice significato metaforico della parola) delle riforme introducesse anche il cambiamento di “Parlamento” in “Fattimento” (so che qualcuno, più sveglio di me, già sta pensando di cambiare nel neologismo la a con la o …), coerentemente col principio vigente in Italia che, quando qualcosa non funziona o bisogna fingere di eliminare una tassa, basta cambiarne il nome o travasarne il gettito in una o più già esistenti e destinate a restare tali in modo ancor più pressante …