di Nicola Morrone
Tra i restauri più significativi di opere d’arte manduriane recentemente effettuati, si segnala senza dubbio quello relativo all’antico crocifisso ligneo di formato “terzino”, allocato nella chiesa dell’Immacolata. Si tratta di un’opera di dimensioni ridotte, ma di notevole interesse, per ragioni sia storiche che formali.
Non conosciamo il nome dell’intagliatore (probabilmente un maestro locale), ne’ possediamo documenti che ci permettano di datare il manufatto, ma, sulla base degli elementi stilistici, si può ipotizzare che l’opera sia stata realizzata nella seconda metà del sec. XVI, o al massimo, in considerazione di un probabile attardamento, nei primissimi anni del sec. XVII.
L’opera, di cultura rinascimentale e di sapore arcaico, potrebbe corrispondere al crocifisso menzionato nella Visita Pastorale di mons. Lucio Fornari (1603), di proprietà della Confraternita dell’Immacolata [cfr. M. Fistetto, Se Concetta ho Maria (Manduria 1997), p.45].
Il crocifisso, restaurato dalla maestra A. Falco con il contributo finanziario di un’anonima famiglia di confratelli, è stato restituito ad una piena leggibilità: in un’epoca imprecisata, infatti, il suo aspetto originale era stato modificato da ampie ridipinture, che ne avevano alterato le cromie. L’anonimo ridipintore aveva accentuato gli aspetti drammatici e patetici della scultura, connotando il corpo di Cristo morto con abbondanti fiotti di sangue, probabilmente sulla base di un’estetica controriformata, mirante a toccare le corde più intime dell’osservatore, anche al fine di indurre il fedele ad una riflessione più profonda sul mistero della passione di Cristo.
Oltre a quello della datazione, rimane aperto anche il problema attributivo: non abbiamo finora trovato termini di confronto pertinenti per questa scultura, la quale, comunque, prescinde dai modelli più in voga in ambito locale tra i sec. XVI e XVII, vale a dire quello “genuinesco” e quello “francescano”, di cui a Manduria sono presenti alcuni esempi.
Per il momento, l’unica opera che pare essere parzialmente accostabile alla nostra è forse il crocifisso ligneo della chiesa di San Francesco a Gallipoli, attribuito ad un ambito culturale di pieno Rinascimento [Cfr. F. B. Perrone, I Conventi della Serafica Riforma di San Nicolò in Puglia (Galatina 1981),vol.2, p.21].
L’anonimo maestro del crocifisso manduriano, come quello gallipolino, modella il legno in maniera sintetica, con pochi, sicuri colpi di sgorbia, ma riserva la giusta attenzione anche ai particolari (si noti, in questo senso, il trattamento del perizoma, del torace e delle braccia). Il pathos è decisamente contenuto: se non fosse per il compiacimento virtuosistico che caratterizza alcuni dettagli (per es. la capigliatura di Cristo), nonchè per l’assetto generale del corpo del Nazareno, di impressionante magrezza, ci troveremmo di fronte ad un artista che, per il senso di equilibrio che caratterizza la composizione e per la padronanza del dato psicologico, potrebbe dirsi “classico”.
Nicola Morrone