di Armando Polito
Non si tratta di manifestazioni minori che avvenivano al tempo della Pasqua o, visto l’apparente diminutivo, della Pasquetta …
Forse non tutti sanno che a Roma la statua di Pasquino fu dal XVI al XIX secolo il supporto sul quale i cittadini puntualmente appendevano durante la notte foglietti di satira contro i potenti.
Il 1° novembre del 1632 un fenomeno simile avvenne a Nardò e in un colpo solo l’intero governo della città venne messo alla berlina e per l’occasione vennero scomodate, addirittura, le sacre scritture (in alcuni casi vere e proprie citazioni adattate, in altri, a mio avviso, ne è ravvisabile l’eco), il che fa pensare che gli autori fossero persone di un certo livello culturale, direi gli intellettuali non allineati dell’epoca. Non mi spingo a pensare che la scelta di quel giorno sia stata motivata dall’intento di celebrare all’incontrario quelli che, se non si sentono santi, poco ci manca, anche perché dovrei immaginare a quale tentazione di issare il cartello il giorno dopo, con un sentimento facilmente immaginabile, i Neretini abbiano dovuto resistere …
I brani che mi accingo a presentare separatamente in formato immagine con la mia traduzione della parte in latino evidenziata in rosso nell’originale e, quando è il caso, con le mie osservazioni che non si limitano solo al reperimento, quando ci son riuscito, delle fonti, sono tratti dal Libro d’annali de successi accatuti nella città di Nardò notati da D. Gio. Battista Biscozzo di detta Città, una cronaca che copre gli anni dal 1632 al 1656. Il manoscritto autografo è andato perduto ma ne restano parecchie copie. Di una di esse curò nel 1936 la pubblicazione Nicola Vacca in Rinascenza salentina, anno IV, n. 4 e di questa mi sono servito (http://www.emerotecadigitalesalentina.it/-annali-de-successi-citta-Nardo).
1)
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A nulla vale oltre, se non ad essere sbattuto fuori; ma ha buoi e pecore, si dedichi a loro.
Matteo, V, 13: Si sal evanuerit ad nihil valet ultra, nisi ut mittatur foras, et conculcetur ab hominibus (Se il sale di è disperso a nulla vale oltre se non che sia buttato fuori e disprezzato dagli uomini).
Da notare sul piano linguistico nichilum (per nihilum, variante di nihil) con l’esito –ihi–>-ichi- delle voci italiane annichilire e nichilismo, nichilità e nichilista.
Il Patrone dovrebbe essere il duca Giulio II Antonio Acquaviva, marito di Caterina, 6a duchessa di Nardò (la Domina citata più avanti nel brano n. 10).
2)
Il vino e le donne donne mi fecero traviare.
Ecclesiaste, XIX, 2: Vinum et mulieres apostatare faciunt sensatos (Il vino e le donne traviano i saggi).
3)
Non ricordare, o Signore, i peccati della mia gioventù e le mie ignoranze.
Salmi, XXV,7: Peccata iuventutis meae et delicta mea ne memineris; secundum misericordiam tuam memento mei tu, propter bonitatem tuam, Domine (Non ricordarti dei peccati della mia gioventù e dei miei delitti; Signore, secondo la tua misericordia, per la tua bontà ricordati di me)
Il ne memine vis che si legge (memine in latino non esiste e, oltretutto, l’intera locuzione non significherebbe nulla) è un errore per ne memineris. A questo punto, tenendo conto della dichiarazione che il Vacca fa nella prefazione (Inutile dire che ho conservato fedelmente il dettato della copia in mio possesso, senza aggiungere né togliere) non vedo altra spiegazione se non una delle tre che seguono: 1) lettura errata da parte del copista del manoscritto originale o della sua copia da cui ha trascritto; 2) errore del Biscozzi nel leggere e trascrivere il testo del cartello 3) errore nel testo originale apposto sul cartello. L’ideale sarebbe fare la collazione delle copie per quanto riguarda il punto incriminato, ma la prima ipotesi mi pare la più attendibile perché l’errore non sarebbe stato ammissibile, soprattutto in quei tempi, in un abate e sarebbe strano che fosse quasi l’unico a comparire nel cartello.
4)
Guardatevi dai segnati da me e fate attenzione pure agli altri inganni.
Il testo pone seri problemi e la traduzione che ho fornito suppone l’emendamento di et alinque dolosa erve me in et aliqua dolosa cavete. La prima parte (cavete a signatis meis) è, al pari di effuge quem, signo turpi natura notavit (evita colui che la natura ha contraddistinto con un segno vergognoso), un proverbio popolare di probabile origine medioevale che pretende di sintetizzare un passo della Bibbia abbastanza strano perché contrastante con lo spirito cristiano e fautore di una concezione emarginante del “diverso”, in linea col principio classico, altrettanto discutibile, per me idiota, della καλοκἀγαθία (la perfezione del corpo si accompagnerebbe a quella dell’animo e viceversa) e che nei nostri tempi ha trovato la sua applicazione più perversa nel famigerato concetto di razza pura e nell’attuale, dominante civiltà dell’immagine. Ecco il passo del Levitico (XXI, 16) da cui nasce questa vergognosa concezione: “Loquere ad Aaron: “Homo de semine tuo in generationibus suis, qui habuerit maculam, non accedet, ut offerat panem Dei sui; quia quicumque habuerit maculam, non accedet: si caecus fuerit vel claudus, si mutilo naso vel deformis, si fracto pede vel manu, si gibbus, si pusillus, si albuginem habens in oculo, si iugem scabiem, si impetiginem in corpore vel contritos testiculos. Omnis, qui habuerit maculam de semine Aaron sacerdotis, non accedet offerre incensa Domini nec panem Dei sui. Vescetur tamen pane Dei sui de sanctissimis et de sanctis. Sed ad velum non ingrediatur nec accedat ad altare, quia maculam habet et contaminare non debet sanctuaria mea, quia ego Dominus, qui sanctifico ea”” (“Dì ad Aronne: “L’uomo della tua stirpe nei suoi discendenti, che sbbia una macchia non si accosterà ad offrire il pane del suo Dio, poiché chiunque abbia una macchia non si accosterà: se sarà cieco o zoppo, se col naso mutilo o deforme, se col piede o la mano rotti, se gobbo,se piccolino, se ha gli occhi col leucoma, nel corpo la scabbia diffusa, l’impetigine o i testicoli schiacciati. Chiunque della stirpe del sacerdote Aronne che abbia un difetto non si accosterà ad offrire l’incenso dl Signore né il pane del suo Dio. Tuttavia si nutrirà del pane del suo Dio, delle cose santissime e delle sante. Ma non si accosti al velo né acceda all’altare, poiché ha una macchia e non deve contaminare i miei luoghi santi poiché io sono il Signore che li santifico””).
5)
Mi hanno circondato molti cani.
Salmi, XXII, 17: Quoniam circumdederunt me canes multi, concilium malignantium obsedit me (Poiché mi hanno circondato molti cani, l’assemblea dei calunniatori mi assedia).
6)
Il ricco e i poveri parlarono e dissero come qui si …
Anche qui quasi sicuramente, c’è un’eco biblica che, tuttavia, non sono riuscito ad individuare.
7)
La mia virtù venne a mancare nella vecchiaia.
Salmi, LXXI, 9: Ne proicias me in tempore senectutis; cum defecerit virtus mea, ne derelinquas me (Non farmi giungere alla vecchiaia: e quando sarà venuta meno la mia virtù non abbandonarmi).
8)
Destinato ad essere un arretra, Satana, e non tenterai il Signore Dio tuo.
Marco, VIII, 33: Qui conversus et videns discipulos suos comminatus est Petro et dicit: “ Vade retro me, Satana, quoniam non sapis, quae Dei sunt, sed quae sunt hominum” (Egli giratosi e vedendo i suoi discepoli minacciò Pietro e dice: “Vai dietro me, Satana, poiché non sai quelle cose che sono di Dio ma quelle che sono degli uomini”).
Matteo, IV, 7: Ait illi Iesus: “ Rursum scriptum est: “Non tentabis Dominum Deum tuum” ” (Ma a lui Gesù: “Di nuovo fu scritto: “Non tenterai il Signore Dio tuo””).
Per Patrone vedi il brano n. 1.
9)
Vidi un empio esaltato a dismisura ed elevato al di sopra di tutto, come un cedro del Libano, e passai ed ecco non c’era, lo cercai e non fu trovato il suo posto.
Da notare: tranxivit errore per transivi e quaesivit per quaesivi; tutto il testo è, con qualche variante, da Salmi, XXXV, 35-36: Vidi impium superexaltatum et elevatum sicut cedrum virentem; et transivi, et ecce non erat, et quaesivi eum, et non est inventus (Vidi un empio esaltato a dismisura ed elevato al di sopra di tutto come un cedro rigoglioso; e passai ed ecco, non c’era, e lo cercai e non è stato trovato)].
Per Patrone vedi il brano n. 1.
10)
Mi divora l’amore della mia padrona.
Da notare Domine per Dominae, mentre il dittongo si conserva in meae.
Anche qui ho il sospetto che si tratti di un adattamento biblico con concedit errore per comedit e sostituzione dI domus con Domine: Salmi, LXIX, 10: Quoniam zelus domus tuae comedit me (Poiché mi divora l’amore della tua casa]. Non sapremo mai se lo zelus è una forma di rispetto del potere della duchessa o un’illazione su qualcosa di più intimo …
Per Patrone e per Domine vedi il brano n. 1.
11)
Credo che l’errata lettura del copista (Gioculus potrebbe pure essere inteso per ioculus=scherzetto ma scandaliza è errore per scandalizat, mentre et ne eum non significa nulla) debba essere corretta sulla scorta del vangelo di Matteo XVIII, 9: et si oculus tuus scandalizat te erue eum … (e, se il tuo occhio è per te motivo di scandalo, strappalo …).
12)
Abbi cura di te stesso, in quanto ti hanno lasciato solo.
Luca,IV, 23: Et ait illis: “ Utique dicetis mihi hanc similitudinem: “Medice, cura te ipsum …”” (E disse loro: ” Senz’altro mi direte questa similitudine: “Medico, cura te stesso …””.
Marco, XV, 33-37: Et hora nona exclamavit Iesus voce magna: “ Heloi, Heloi, lema sabacthani? ”, quod est interpretatum: “ Deus meus, Deus meus, ut quid dereliquisti me? ” (E a mezzogiorno Gesù ad alta voce esclamò: ““ Heloi, Heloi, lema sabacthani? ”, chwe significa: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”).
Da notare relinquerunt (che s’incontra pure in testi a stampa dei secoli scorsi) per il classico reliquerunt.
13)
Conosci te stesso, come, Lucifero, cadesti quando al mattino sorgevi.
La prima parte (nosce te ipsum) è la traduzione latina del greco Γνῶθι σεαυτόν (conosci te stesso); Porfirio (III-IV secolo) nel suo Sul conosci te stesso (di cui ci restano solo tre frammenti) ci ha tramandato che nell’opera di Aristotele Sulla filosofia (anche di questa ci restano solo frammenti), si dice che tale iscrizione campeggiava sul tempio di Apollo a Delfi quando esso venne ricostruito in pietra.
Da quomodo ad oriebaris è adattamento da Isaia, XIV, 12-14: Quomodo cecidisti de caelo, Lucifer, fili aurorae? (Come. Lucifero, figlio dell’aurora, sei caduto dal cielo?)].
14)
Mi venne meno la lingua in gola.
Sembra un adattamento parziale (è la parte evidenziata in rosso) di Salmi, XXI: Aruit tamquam testa palatus meus, lingua mea adhaesit faucibus meis et in pulverem mortis deduxisti me (Arse come una pentola il mio palato, la mia lingua si è incollata al palato e mi hai ridotto nella polvere della morte).
15)
Un uomo essendo in onore non lo comprese, fu paragonato alle stupide bestie da soma e divenne simile a loro.
È, con sostituzione, certamente più offensiva, di insipientibus (stupide) con quae pereunt (che muoiono), da Salmi, XLIX, 21 Homo, cum in honore esset, non intellexit; comparatus est iumentis, quae pereunt, et similis factus est illis (L’uomo, essendo in onore, non lo comprese; fu paragonato alle bestie da soma, che muoiono e divenne simile a loro).