di Rocco Boccadamo
Sullo sfondo che s’innalza in direzione nord e nord-ovest, l’ininterrotta, armonica e uniforme catena di vette alpine, sequenza invero familiare e saldamente stagliata nella mente di chi scrive da più di mezzo secolo, risalendo al 1963 il primo impatto del ragazzo del lontanissimo Sud con tale panorama.
Al che, il cuore sembra subito stringersi per l’emozione e, in pari tempo, dilatarsi sull’onda di composti e però ugualmente inarrestabili sentimenti di gioia.
Invece, a terra, sulle superfici di campi e giardini, ecco, oltremodo diffusi e, per il mio sentire, ammalianti, i segni tipici di questo periodo stagionale, sotto forma di arbusti o piante o semplicemente foglie di platani, dal colore che va dal giallo morbido al rosso quasi arancione e viola.
Nella circostanza, non si tratta di semplici e pedisseque sfumature cromatiche, bensì, quasi, di un ideale alfabeto magico, con rami e, giustappunto, foglie che fungono da lettere, consonanti e vocali, insieme che si lascia leggere alla stregua delle omologhe raffigurazioni stampate negli abecedari e, inoltre, proprietà eccezionale, capace addirittura di parlare, di rivolgersi agli occhi e alla mente di passanti e/o osservatori.
Incede senza intoppi, il convoglio sulla strada ferrata e, puntualmente, guadagna la penultima stazioncina della tratta, quindi pressoché periferia rispetto alla meta, il cui nome, Basiliano, rimanda la suggestione del viaggiatore salentino all’antico ordine monastico che tante tracce ha lasciato dalle sue parti, specialmente nell’area del Capo di Leuca.
Di lì a poco, al riecheggiare dell’annuncio dell’altoparlante della destinazione finale e al primo sguardo che si pone naturalmente sulle strutture ed edifici d’intorno, un sussulto intenso viene a rinnovarsi nell’animo.
Quanti viaggi, quante visite, quanti transiti, durante stagioni ormai lontane e che, tuttavia, hanno segnato profondamente un intero corso esistenziale!
Non si presenta granché mutata la città nella sua sostanziale configurazione, malgrado il cospicuo tempo passato dagli iniziali contatti.
Anzi, adesso, conferisce l’idea di essere più aggraziata, ben tenuta, ogni cosa appare in fondamentale ordine, si snodano, i movimenti e i percorsi della gente, in silenziosa risolutezza, senza intralci né inceppi.
Così si snocciola anche il traffico, scorrevole seppure intenso.
E dire, che è radicalmente cambiato, al contrario, il popolo che anima questo capoluogo, passato dal cento per cento d’indigeni, o, a voler concedere, d’immigrati originari d’altre regioni italiane, in particolar modo del meridione, a un’alta aliquota di stranieri, provenienti da ogni dove, Asia, Africa, Sud America, Paesi dell’est europeo.
La prerogativa di detta evoluzione sul fronte della stanzialità è che si scorgono pochi casi di
“ospiti” vaganti inutilmente e/o proponendo alle persone incontrate risicate e inutili paccottiglia.
I “nuovi” sono integrati, almeno in ampia maggioranza, nei tessuti cittadini o del territorio, lavorano, e ciò vale come indubbio insegnamento pure per noi stessi italiani: i “posti”, per chi voglia darsi da fare, qualsivoglia sia la sua origine, ci sono, esistono.
Ad ogni passo, ci s’imbatte in esempi, non importa se piccoli basta che siano reali e concreti, che comprovano siffatta realtà.
Freschissime, personali esperienze, ho acquistato una bottiglia d’acqua minerale e della frutta presso un esercizio commerciale gestito da un giovane cinese.
A breve distanza, sono poi sfilato dinnanzi a ben due negozi con l’insegna “Sartoria su misura”, con, all’interno, intente a lavorare, altre figure della medesima nazionalità.
Analogamente, gestori asiatici in un bar per un cappuccino e un cornetto.
Infine, d’origine straniera, una parte del personale del ristorante dove ho consumato la cena, con la bella sorpresa aggiuntiva che, fra i gruppi d’avventori che andavano man mano accedendo, specie se giovani, si scorgevano non rari volti di ragazzi e ragazze giunti nel nostro Paese da terre una volta impensabili.
Ci vogliono ancora alcuni giorni perché arrivi San Martino, ma, in centro, fra vetrine predisposte sul tema e le prime grandi stelle argentee o dorate a penzolare sospese da un edificio all’altro, una, in particolare, pendente dalla facciata della sede municipale, già affiora e si respira aria natalizia.
Suona forse imprecisa la definizione di “ricca” per la città meta del mio viaggio, ma non v’è dubbio che il contesto si può definire “benestante”, senza paura di smentita, la vita, in altri termini, si dipana agevole e tranquilla, all’insegna della laboriosità e dell’impegno: del fenomeno “starsene con le mani in mano” non è dato di scorgere la minima traccia.
Innumerevoli e, talora, a brevissima distanza, le insegne luminose di banche e finanziarie, sia italiane che straniere, cui s’alternano sportelli o vetrine proponenti “money transfer”.
Fin qui, la descrizione d’insieme d’un viaggio e una visita di ritorno. Per completare il quadro, bisogna, ad ogni buon conto, aggiungere che, a monte della trasferta, si è posto, come molla determinante, il desiderio forte di recare un saluto fisico a un antico amico, compagno e sodale d’una lunga serie d’incontri, vacanze e ricorrenze, negli anni in cui, per entrambi, prevalevano la gioventù, l’iniziativa e il pieno vigore fisico.
Il distacco da lui s’è consumato circa un anno fa.
Adesso, finalmente, ho avuto agio di rivederlo e anche di rivolgergli un pensiero da vicino, in una piccola area ombreggiata da cipressi, nella verde periferia, posta sotto lo sguardo della corona di cime montane richiamata all’inizio delle presenti note.
Mandi, vecchio amico mio.