di Armando Polito
Il lettore avrà subito pensato alla parola resa immortale da Cambronne e chi mi conosce si sarà pure meravigliato credendo che io abbia usato, in funzione di autocensura, i puntini di sospensione, la cui versione moderna nelle registrazioni vocali corrisponde al bip, simpatico solo nel suono. La deformazione professionale mi costringe innanzitutto a far notare al lettore che siamo in presenza di tre parole ben distinte (dunque è da escludere la replica cambronniana) e che le tre m sono precedute dal segno dell’aferesi (il che significa che all’inizio è caduto qualcosa, lo vedremo dopo) e che il neretino mberda è da scrivere senza tale segno iniziale, in quanto il gruppo mb– nasce solo per dissimilazione da mmerda, in cui il raddoppiamento della consonante iniziale è di natura espressiva, in linea con tante altre parole in cui si verifica tale fenomeno (provate a riflettere anche sulla locuzione italiana, solo per fare un esempio, è caduto e poi ditemi se non è percepibile anche in essa un raddoppiamento, per quanto leggero, di c). E poi, dalla merda, opportunamente curata, in fondo, si ricava il concime, ma penso che quella delle persone in questione non sia in grado di assolvere nemmeno a questa funzione.
Non perdo tempo e dico che le tre parole misteriose sono ‘mpiddhuscinatu, ‘mpuragnutu e ‘mpruscinutu.
Esse non evocano certo immagini all’altezza del nostro paesaggio (in assenza beninteso, come troppo spesso succede, della presenza di rifiuti di ogni genere) ma metaforicamente potrebbero valere per stigmatizzare, più di merda, la caratura morale (e, nonostante tutto, rimangono quasi un complimento …) di certi comportamenti nostri e, quel che è peggio, di coloro che sono stati eletti (non da me, non voto da più di trent’anni; questa rinuncia, sofferta, ad un diritto fondamentale l’ho voluta e dovuta fare per non rinunciare ad un diritto ancora più grande, quello alla libertà, all’indipendenza ed al rispetto di me stesso prima ancora che a quello degli altri) nostri rappresentanti. Ma, forse, loro non hanno colpa perché si adeguano ai desiderata della maggioranza degli elettori, anche se questa, secondo il mio punto di vista fortunatamente, si avvia ad essere surclassata dagli astenuti, a meno che una forza nuova, giunta al potere, non riesca a dimostrare che anche nella stanza dei bottoni è diversa, anzitutto moralmente, da quelle che l’hanno preceduta.
‘Mpiddhuscinutu è participio passato di ‘mpiddhuscinire, cioè mostrare la piddhùscina, la muffa. Nel Rohlfs si legge che puddhìscina (di cui il neretino piddhùscina è variante non registrata nel suo vocabolario) è “deformazione del latino fuligine”. Dico solo che sarebbe stato meglio che quel fuligine fosse stato corretto in fuligine(m) e che, in ogni caso, fosse stato detto (perché non si spiegherebbe il passaggio -l->-ddh-) che la voce dialettale è dalla variante volgare *fulligine(m), che s’incontra in testi a stampa a partire dal XVI secolo. La convivenza, d’altra parte di fuligo e di *fulligo è corroborata dalla geminazione di l presente in altre voci dell’epoca classica: sollers accanto a solers, sollemnis accanto a solemnis, etc. etc; e in italiano fulligine è attestata già nel XIV secolo (nella Mascalcia di Lorenzo Rusio) e continuerà nei successivi.
Ecco la trafila: fullìgine(m)>*pillùgine>piddùscina.
Oggi il termine ‘mpiddhuscinutu (quell’’m iniziale è ciò che rimane della preposizione in con valore locativo-rafforzativo) potrebbe essere esteso, al di là della metafora politica prospettata all’inizio, ai nostri agrumi attualmente colpiti da un’insolita epidemia, ancora più icasticamente di quanto non indichi il termine comunemente usato: fumaggine. Tornando a *fulligo, a me pare che la voce possa essere fatta rientrare tra quelle composte del tipo di origo=origine (da òrior=nascere), lentigo=lentiggine (da lens=lenticchia), vertigo=movimento vorticoso (da vèrtere=volgere), etc. etc., in cui il secondo componente è la radice del verbo àgere=condurre. Quale sarebbe, allora, il primo componente di *fulligo? Io credo che potrebbe essere il verbo pollùere=imbrattare, da cui in italiano polluzione, originariamente a definire l’eiaculazione spontanea ed involontaria che ha luogo durante il sonno preceduta di solito da sogni erotici, poi, di ritorno (sono più che sicuro che gli inglesi sono al corrente dell’origine latina del loro termine, noi no …) dall’inglese pollution, come sinonimo di inquinamento ambientale.
Come sono lontani i tempi in cui nulla si buttava e le mamme invogliavano i figli a mangiare il pane ‘mpiddhuscinutu e pure quello ‘mpruscinutu, perché avrebbe fatto spuntare i denti d’oro! Mi chiedo se dietro la credenza popolare si nasconda solo un inganno educativo o se anche la muffa del pane, come tante, non abbia in sé particolari proprietà. Non mi illudo, però, che qualcuno, in un’era di travolgente e stravolgente consumismo come la nostra, sponsorizzi qualche ricerca in tal senso, mentre risorse preziose sono criminalmente sperperate in altre inutili, perché il loro esito, scontato, era stato già scritto dalla cultura contadina di ogni epoca.
‘Mpuragnutu è participio passato di ‘mpuragnire usato col significato di suppurare. Chi potrebbe mai sospettare che le due voci hanno in comune il componente principale? Comincio da quella italiana. Suppurare è, tal quale, dal latino suppurare, composto da sub=sotto+pus/puris=pus. Voci correlate in greco sono πύος (della terza declinazione, leggi piùos) e πύον (della seconda, leggi piùon) col significato di pus e il verbo πύθω (leggi piùtho)=fare imputridire, dal quale il latino putère=essere marcio, puzzare, puter o putris=marcio, pùtidus=puzzolente, pùteus=pozzo, sfiatatoio e, dal precedente puter/putris, putrère=essere marcio e pùtridus=putrefatto, guasto, corrotto (e con quest’ultimo significato, solo con questo?, ogni riferimento alla politica per come oggi è intesa viene più spontaneo che con la voce precedente).
‘Mpuragnùtu è da ‘mpuragnire, composto dalla preposizione in (anche qui con valore locativo/rafforzativo) e da puragna, usato, come sinonimo di pus, nel Leccese, ma non a Nardò, e nel Brindisino, in cui in alcune zone è usata la variante pragna. Puragna deriva da un latino *purànea (materia purulenta) come stamegna (vedi https://www.fondazioneterradotranto.it/2010/06/02/dalla-maglietta-di-lana-grezza-al-formaggio-dalle-batterie-alle-cellule-staminali-da/) dal latino medioevale stamìnea, forma aggettivale dal classico stamen. Nel nostro caso *purànea è forma aggettivale da pus/puris.
‘Mpruscinutu per il Rohlfs (il filologo tedesco si starà rivoltando nella tomba dopo la recente colossale furbizia, anzi truffa, automobilistica ordita nel suo paese, simbolo, fino ad ora, di ordine e rigore …) è forma accorciata di ‘mpiddhuscinatu; se dal punto di vista semantico tutto va bene perché i due vocaboli in fondo possono essere considerati sinonimi (anche se il primo indica l’ammuffimento iniziale, il secondo quello avanzato), sul piano fonetico il proposto accorciamento sembra essere una soluzione di comodo e poco convincente perché comporterebbe un terremoto ben più cospicuo di quello prodotto da una semplice sincope. Io credo, invece, che ‘mpruscinutu sia participio passato di ‘mpruscinire e che questo derivi da in (sempre con lo stesso valore locativo-rafforzativo che assumeva nelle voci precedenti) e una forma verbale (*puriginare) derivata da purigo/purìginis voce del latino scientifico (il che non esclude una sua derivazione “volgare”) usata ora come sinonimo di scabbia (Teodoro Corbeo, Pathologia, Edter, Norimberga, 1647, ora di infiammazione, ascesso (p. e. Gabriele Frascati, De aquis Returbii Ticinensibus commentarii, Bartolo, Ticino, 1575, p. 72). Il vocabolo mi evoca l’immagine di certi politici che volentieri farebbero passare una legge che prevedesse la possibilità per loro di continuare ad occupare la poltrona anche dopo la morte, previa adeguata mummificazione. Nemmeno i faraoni erano arrivati a tanto …).
Vi do appuntamento, se non a tempi migliori, almeno a vocaboli e a riflessioni meno stomachevoli …