di Armando Polito
I Sanfelice furono una delle famiglie nobili di Napoli più note e anche più titolate, contando numerosi feudi tra ducati, contee, principati e chi più ne ha più ne metta. La famiglia era ascritta al Seggio di Montagna di Napoli e godeva di privilegi anche nelle altre città del Regno di Napoli e in Francia.
Questo post riguarda due rappresentanti omonimi (vissuti in tempi diversi, uno soltanto in rapporto diretto con Nardò), la cui notorietà sembra aver resistito meglio per il vescovo che per il monaco e credo che ciò sia dipeso proprio dal maggiore o minore spessore pubblico, o, se preferite, di potere, legato ai rispettivi ruoli.
Seguirò l’ordine cronologico, anche perché, fortunatamente, mi consente di dare inizialmente rilievo proprio alla figura meno nota, un monaco appunto, e perciò considerabile, a torto come dimostrerò, meno importante rispetto alla più nota e citata, un vescovo, che, oltretutto, deve proprio alla sua posizione meno defilata, come ho detto, gli indubbi meriti che nessuno gli disconosce, appannati, tuttavia, da un eccesso di fiducia nei suoi collaboratori. Il mancato controllo, infatti, sovente sfocia nella complicità e non è possibile che con la sua cultura non si fosse accorto dell’attività truffaldina dell’abruzzese Pietro Pollidori e del discepolo di questi, il neretino Giovanni Bernardino Tafuri, in corsa a sprecare il proprio talento per confezionare testimonianze antiche che avallassero il prestigio della città di Nardò e della chiesa neretina.
Antonio Sanfelice fu un monaco francescano, erudito e letterato (dettagli tutt’altro che scontati sol perché era monaco …) la cui opera più importante è Campania, un trattato storico-geografico in latino uscito per la prima volta per i tipi di Sultzbach a Napoli nel 1541; mi sarebbe piaciuto riprodurre il frontespizio da http://pbc.gda.pl/dlibra/docmetadata?id=4589&from=&dirids=1&ver_id=&lp=1&QI=, dove il libro è integralmente leggibile, ma un maledetto plug-in che funziona solo con pc a 32 bit (il mio a 64, evidentemente, è troppo avanzato, ad onta della tanto decantata compatibilità verso il basso …) me lo ha impedito. Se qualche volenteroso volesse provarci e ci riuscisse, ce lo faccia sapere.
Se l’importanza di un libro è direttamente proporzionale al numero delle sue edizioni, bisogna ammettere che Campania godette di una grandissima considerazione vivente l’autore e per due secoli e mezzo dopo la sua morte. Mi accingo a provarlo, non prima, però, di aver aggiunto che nello stesso anno 1541 uscì Clio divina, una raccolta di poesie religiose in latino (altre edizioni per i tipi di Amati, Napoli 1567 e in appendice alle edizioni della Campania del 1596 e degli anni successivi. Di seguito lo scarno, è il caso di dire francescano, frontespizio tratto da https://archive.org/details/bub_gb_KIINOSR-PN0C, dove l’opera è integralmente leggibile.
Ritornando alla Campania, successivamente al 1541 essa fu pubblicata da Cancer, sempre a Napoli, nel 1562; nell’immagine che segue il frontespizio, altrettanto povero quanto il precedente (immagine tratta da https://books.google.it/books?id=oXODlAyswQMC&pg=PT6&dq=antonii+sanfelicii&hl=it&sa=X&ved=0CEoQ6AEwB2oVChMI6ru1td6yyAIVxdcaCh1h8QOQ#v=onepage&q=antonii%20sanfelicii&f=false).
Nel 1596 un’edizione uscì per i tipi di Carlino e Pace. Il credito di cui l’opera godeva è dimostrato dal fatto che essa fu inserita da Andreas Schott, con in coda la poesia De Campano amphitheatro, nella raccolta da lui curata Italiae illustratae seu rerum urbiumque italicarum scriptores varii, In Bibliopolio Cambierano, Francoforte, 1600, dove occupa le colonne 745-784 (https://books.google.se/books?hl=it&id=E9RUAAAAcAAJ&q=sanfelice#v=onepage&q=sanfelice&f=false).
Col titolo di De origine et situ Campaniae uscì per i tipi di Maccarano a Napoli nel 1636 (con biografia di anonimo preceduta dal ritratto del nostro). Più avanti dirò perché non ho potuto riprodurlo.
Nel 1656 un’edizione col vecchio titolo Campania uscì ad Amsterdam per i tipi di Giovanni Blaeu, con aggiunte in testa una tavola della Campania Felix e la dedica a Giuseppe Sanfelice, arcivescovo di Cosenza, governatore di Fermo, Imola e Perugia e nel 1652 nunzio apostolico a Colonia; in coda l’epigramma, sempre in latino, De Campano amphitheatro. Di seguito il frontespizio, questa volta decisamente meno francescano …, tratto da https://books.google.it/books?id=8Co3H_FET8wC&printsec=frontcover&dq=editions:n21_rlc0aLYC&hl=it&sa=X&ved=0CB8Q6AEwAGoVChMI7PDn9-OyyAIVQ70aCh23pwUF#v=onepage&q&f=false, dove l’opera è integralmente leggibile e scaricabile.
Del dedicatario Giuseppe Sanfelice ecco di seguito un’immagine tratta dal libro di Ferdinando Sanfelice (sento già qualcuno cominciare a parlare di parentopoli, nepotismo ed affini …) Diario dell’elezzione dell’Imperador Leopoldo I, Napoli, 1717, integralmente leggibile in https://books.google.it/books?id=WctEc9pxGnUC&pg=PA1&lpg=PA1&dq=Diario+dell%27elezzione+dell%27Imperador+Leopoldo+I&source=bl&ots=BuayLO8v8I&sig=JbVQBw9Jaumce-gVdyyx31xdj_w&hl=it&sa=X&ved=0CCUQ6AEwAGoVChMI4v3c3tS1yAIVSWkUCh1VhAf3#v=onepage&q=Diario%20dell’elezzione%20dell’Imperador%20Leopoldo%20I&f=false.
Ancora col titolo De situ et origine Campaniae, l’opera di Antonio venne inserita al terzo posto nella parte I del tomo IX della raccolta curata da Johann Georg Graeve Antiquitatum et historiarum Italiae, Vander, Lione, 1723. (https://books.google.it/books/ucm?vid=UCM531796946X&printsec=frontcover&redir_esc=y#v=onepage&q&f=false)
Nel 1726 uscì per i tipi di Paci a Napoli Campania con le note del vescovo Antonio1. Di seguito il frontespizio tratto da https://books.google.it/books?id=Y4UqAO-bSwIC&printsec=frontcover&dq=antonii+sanfelicii+campania&hl=it&sa=X&ved=0CDMQ6AEwBGoVChMIxpOYs9m1yAIVAvFyCh07Gg5A#v=onepage&q=antonii%20sanfelicii%20campania&f=false, dove l’opera è integralmente leggibile e scaricabile.
Nel 1796 ancora Campania per i tipi di Orsini a Napoli in un’edizione con il testo originale e la traduzione di Girolamo Aquino, a cura di Nicola Onorati; di seguito il frontespizio tratto da https://books.google.it/books?id=5DhYAAAAcAAJ&pg=PR67&dq=antonius+sanfelicius&hl=it&sa=X&ved=0CEEQ6AEwBWoVChMIlbz8guayyAIVw9caCh2y8Ab_#v=onepage&q=antonius%20sanfelicius&f=false, dove l’opera è integralmente leggibile e scaricabile.
Il volume è corredato all’inizio del ritratto dell’autore che di seguito si riproduce.
Dalla didascalia apprendiamo che il nostro era soprannominato Plinio, il che conferma, secondo me, ciò che ho detto sulla considerazione di cui godeva. Interessante quanto sul ritratto riporta l’Onorati a p. XV: “Il ritratto si è ricavato da un antichissimo bassorilievo di stucco, esistente nelle case de’ Sanfelici abitate per secoli nel borgo degli Vergini; dal quale bassorilievo io son di avviso che avesse fatto disegnare il Reggente Sanfelice quello, ch’ei premise alla sua ristampa del 1636, che, sebbene sia mal disegnato, e peggio inciso (qual era lo stato delle arti allora tra di noi); pur mostra assai chiaro di venire dal detto bassorilievo, o da pittura a quello somigliante: che il ritratto posto dinnanzi alla stampa di Napoli del 1726 dee essere assolutamente capriccioso, perché di un carattere affatto diverso; né al bassorilievo, né a quello datoci dal Reggente Sanfelice per niente somigliante; dal quale, come da monumento quasi che sincrono, volendosi il novello Editore dipartire; avea l’obbligo d’indicare donde ci avesse tirato il suo, come non fece.”.
Purtroppo non posso riportare il ritratto dell’edizione del 1636, irreperibile in rete e della quale l’Opac mi segnala l’esistenza di un solo esemplare nella Biblioteca universitaria di Bologna; nessun ritratto, invece, è risultato presente nell’edizione del 1726 consultata al link già indicato.
Comunque, il ritratto dell’edizione del 1796 fu poi ripreso, anzi copiato e firmato, da Giuseppe Morghen nell’incisione a corredo della biografia del nostro, a firma del citato Onorati, inserita nel terzo tomo (integralmente leggibile e scaricabile da https://books.google.it/books?id=M_xpH6MzQ20C&printsec=frontcover&dq=editions:nyGnSFQfGQMC&hl=it&sa=X&ved=0CFMQ6AEwCGoVChMIpb_4rNu1yAIVRtoaCh3sBgSl#v=onepage&q&f=false) di Biografie degli uomini illustri del Regno di Napoli, a cura di Domenico Martuscelli, Gervasi, Napoli, 1816, da cui è tratta l’immagine che segue.
A p. XVI il curatore così si esprime, sempre a proposito dell’edizione del 1726: “Sonovi pure lunghe annotazioni fatte al testo da Monsignor Antonio Sanfelice, Vescovo di Nardò; ma lunghe tanto, che opprimono lo stesso testo, scritto con quella mirabile sobrietà, che ne forma il pregio maggiore: son poi queste annotazioni quasi tutte tolte di peso con pochissima fatica dall’Apparato di Cammillo Pellegrino”.
Una stroncatura senza appello del vescovo, dunque, per quanto riguarda questo suo intervento da letterato operato sul lavoro di un suo ascendente. E mi piace chiudere, per rendere meno greve l’atmosfera, con l’ausilio proprio del nostro monaco e del suo De rhinocerote già citato in nota 1.
Ricordato che il nostro rinoceronte deriva dal latino rhinocerote(m), di cui il rhinocerote del titolo è il caso ablativo, che la voce latina è dal greco ῥινόκερως/ῥινοκέρωτος (leggi rinòkeros/rinokèrotos) composto da ῥίνος (leggi rinos=naso)+κέρας (leggi keras=corno) e che la n del nostro rinoceronte probabilmente è dovuto ad influsso di elefante, non mi resta che riprodurre il testo della poesia, tradurla e commentarla. Debbo però premettere che essa fu ispirata da un distico elegiaco che lo stesso Paolo Giovio (1483 circa-1552) asserisce, nel suo libro di nota 1, posto nell’atrio del suo museo (inteso come residenza in cui gli piaceva circondarsi di opere a lui care) in cui degli affreschi illustravano la natura di alcune creature viventi. Il distico recitava: Humanos elephas retinet sub pectore sensus/Rhinoceros nunquam victus ab hoste redit (L’elefante nasconde in petto sentimenti umani/Il rinoceronte mai torna vinto dal nemico).
Ecco la poesia di Antonio, 12 esametri, in cui il rinoceronte parla in prima persona e si contrappone all’elefante.
Io sono il rinoceronte strappato al nero Indo3 ; da qui, dove (sono) il vestibolo della luce e le porte del giorno, salii su una nave dell’Esperia4, vele temerarie che osarono andare a vedere nuove terre ed un altro sole. La città (Roma) un tempo aveva assistito allo spettacolo dei nostri scontri nello spettacolo del circo e l’arena aveva presentato come (nostro) nemico l’elefante5. Questo, massa che fida nello smisurato corpo, sfoga con me le patrie ire e le eterne lotte. Ma (noi rinoceronti) siamo corazzati6 da una triplice pelle e (sono nostre) armi una forza eccezionale e un corno dall’invincibile punta. Cade lo stesso elefante; mentre una freccia si conficca nell’addome, la solerte prudenza (dell’uomo) espugna le (sue) stupide forze.
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1 A parte Clio divina di cui si è già detto, fu autore di componimenti in latino sparsi qua e là: Ad illustrem Paschalem Caracciolum epigramma, in Pasquale Caracciolo, La gloria del cavallo, Giolito de’ Ferrari, Venezia, 1567, s. p. (https://books.google.it/books?id=KctWAAAAcAAJ&printsec=frontcover&dq=pasquale+caracciolo+la+gloria+del+cavallo&hl=it&sa=X&ved=0CCIQ6AEwAWoVChMIgfW79OK1yAIVAgwaCh0OAA01#v=onepage&q=pasquale%20caracciolo%20la%20gloria%20del%20cavallo&f=false); De rhinocerote, in Paolo Giovio, Gli elogi, Torrentino, Firenze, 1551, p. 207 (https://books.google.it/books?id=YyIBfYj26bsC&pg=PA319&dq=paolo+Giovio+gli+elogi&hl=it&sa=X&ved=0CCUQ6AEwAWoVChMI_YST4uS1yAIVhj8aCh3gEgqI#v=onepage&q=paolo%20Giovio%20gli%20elogi&f=false).
2 Vescovo di Nardò dal 1707 fino al 1736, anno della morte), fratello maggiore di Ferdinando (Napoli, 1675 – Napoli, 1748), architetto, uno dei maggiori esponenti del barocco napoletano.
Ritratto del vescovo; dipinto di proprietà privata (immagine tratta da http://www.europeana.eu/portal/record/08504/23F03A0A2021CC373FBB1DD775168392F56AA434.html?start=1&query=antonio+sanfelice&startPage=1&qt=false&rows=24)
Ritratto dell’architetto; immagine tratta da wikipedia (https://it.wikipedia.org/wiki/Ferdinando_Sanfelice), dove si legge Probabile ritratto del Solimena. Non so se l’estensore della scheda, o chi prima di lui, sia stato condizionato nell’attribuzione, per quanto probabile, dal fatto che l’architetto fu suo allievo o da motivazioni di carattere stilistico, ma, ad ogni buon conto, avrebbe fatto meglio a farci sapere da dove l’immagine è stata tratta; lo stesso rilievo va fatto per l’immagine che si vede tal quale (cambia solo la didascalia che, in corsivo, appare evidentemente aggiunta a mano: Ferdinando San Felice/Architetto Napolitano contro FERDINANDUS SANFELICIUS/PATRITIUS NEAPOLITANUS/AETATE SUAE LX) in http://www.nobili-napoletani.it/sanfelice.htm
Sul vescovo vedi: https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/09/03/il-conservatorio-della-purita-a-nardo-e-il-vescovo-antonio-sanfelice/; Marta Battaglini, I paramenti sacri del vescovo Antonio Sanfelice descritti nella visita pastorale del 1719, Congedo, Galatina, 1989; ; AA. VV., Un vescovo, una città. Antonio Sanfelice e Nardò (a cura di Maria Teresa Tamblè e Benedetto Vetere) Negroamaro, s. l., 2012 (estratto degli atti del convegno del 9-10 dicembre 2002); sul vescovo e sull’architetto vedi Antonio e Fernando Sanfelice. Il vescovo e l’architetto a Nardò nel primo Settecento, a cura di Marcello Gaballo, Bartolomeo Lacerenza e Fulvio Rizzo, Congedo, Galatina, 2003; sull’architetto: Mario Cazzato, Un inedito di Ferdinando Sanfelice, in Nardò nostra, Studi in memoria di don Salvatore Leonardo (a cura di Marcello Gaballo e Giovanni De Cupertinis), Congedo, Galatina, 2000.
3 Si sente l’eco del niger Indus di Marziale, Epigrammi, VII, 29.
4 Esperia è dal greco Ἐσπερία (leggi Esperìa)=terra occidentale, da ἐσπέρα (leggi espèra)=sera, regione del tramonto, ovest. Non credo sia casuale la contrapposizione, pur messa in bocca al coccodrillo, tra l’oriente e l’occidente, in cui l’alba e il tramonto diventano metafora della vita e della morte …
5 Nel 1514 un elefante bianco (chiamato Annone, in onore del generale di Annibale) giunse a Roma, dono del re del Portogallo al papa Leone X per la sua incoronazione. Dopo due anni lo stesso re donò allo stesso papa un rinoceronte. Quest’ultimo fu più fortunato perché perì per il naufragio nel golfo di La Spezia della nave che lo trasportava, al contrario di Annone che morì di angina due anni dopo il suo arrivo nella capitale. Ho definito il rinoceronte più fortunato dell’elefante perché la morte gli risparmiò la convivenza con l’uomo, profondamente convinto come sono che nessun essere vivente, neppure un albero, debba essere eradicato e trapiantato senza la sua volontà, se non per il suo bene o per cause di forza maggiore, condizioni che, nella fattispecie, come in tante altre vicende dei nostri giorni, non mi sembrano assolutamente ricorrere. Vedi anche la nota precedente.
6 Traduco così loricamur, prima persona plurale dell’indicativo presente attivo del verbo loricare, non attestato nel latino classico ma in quello medioevale (e con entrambi il nostro monaco giocava in casa …) , nel quale, oltretutto, loricati (participio passato di loricare) erano chiamati (cito dal glossario del Du Cange) Monachi sanctiorisas vitae, qui pro mortificatione, ut vocant, loricam ferream jugiter ad cutem induebant, nec pro quavis necessitate deponebant. Hos inter eminuit S. Dominicus cognomento Loricatus, a lorica ferrea quam per annos 15 ad carnem detulit (I monaci di vita più santa, che per mortificazione, come la chiamano, indossavano continuamente a fior di pelle una corazza di ferro e non se ne liberavano di fronte a qualsiasi necessità. Tra di loro eccelse S. Domenico detto il loricato, dalla corazza ferrea che per 15 anni indossò a contatto con la pelle).
Interessante come sempre l’articolo di Armando Polito su un’altro personaggio importante di “casa Sanfelice” sconosciuto ai più. Mi permetto soltanto di far notare come anche l’edizione del 1726, curata dal Vescovo A. Sanfelice, presenta l’incisione del frate, visibile qui:
https://books.google.it/books?id=Y4UqAO-bSwIC&hl=it&pg=PP8#v=onepage&q&f=false
(praticamente la pagina prima del frontespizio)
L’incisione in rame fu realizzata da Andrea Maillar o Magliar (tra i più bravi incisori del XVIII sec.) su disegno dell’architetto Ferdinando Sanfelice, che per l’occasione realizzò un bozzetto a penna, acquerello e sanguigna, attualmente conservato presso il Gabinetto dei Disegni del Museo di Capodimonte di Napoli. Da aggiungere c’è che lo stesso Ferdinando Sanfelice curò la dedica a papa Benedetto XIII presente all’inizio del volume nell’edizione del 1726.
Giovanni De Cupertinis
Ps. Il ritratto di Ferdinando Sanfelice, con la scritta nel cartiglio: “Ferdinandus Sanfelicius Patritius Neapolitanus aetatis suae LX” è conservato presso Museo Nazionale San Martino, Napoli.
Le sue preziose informazioni, per le quali le sono immensamente grato, hanno propiziato la stesura di un altro post che seguirà a breve.