Io i paesini li amo, amo i loro vicoli, amo di essi la noia e quella fottuta routine

Nardò. Piazza Salandra
ph Aristide Mazzarella

di Stefano Manca

Ha cominciato Marchionne, definendo Firenze una città «piccola e povera». Da lì la rivolta dei fiorentini e dell’allora sindaco Matteo Renzi. Un mese fa una concorrente di Nardò del Grande Fratello ha dichiarato di provenire da «un paesino della Puglia». Infuocate reazioni: «Paesino? Come si permette? Siamo 30mila!», ha reagito uno. «Siamo 32mila!», ha detto l’altro. «Siamo 38mila!», ha rilanciato un altro ancora. «Siamo 38mila marine escluse!», ha precisato un altro demografo. Ho smesso di leggerli prima che superassero Tokyo. Adesso la questione si ripresenta a Lecce. Una residente del centro non trova parcheggio nel fine settimana e lascia l’auto in sosta vietata con un biglietto: «Se dev’essere spostata citofonate al civico 8 di questa via. ‘Sti cazzo di paesani hanno intasato Lecce». Per «paesani» l’automobilista intendeva coloro i quali nel weekend abbandonano la provincia (il «paese», appunto) e vanno a Lecce (la «metropoli», evidentemente). In tutti e tre i casi citati («città piccola», «paesino», «paesani») i piccoli centri sono percepiti come le residenze di chi parte in svantaggio, di chi deve recuperare, di chi non sa allacciarsi le scarpe. Persino chi oggettivamente ci vive, in un paesino, ne rifiuta l’etichetta. Se il paese vi fa schifo, datelo a me. Io i paesini li amo, amo i loro vicoli, amo di essi la noia e quella fottuta routine, amo Totò e Peppino che arrivano a Milano e tirano fuori le galline dalla valigia, amo pure chi il paesino lo lascia, amo quel sentirsi un inviato all’estero quando scrivo di fatti minuscoli avvenuti a sei chilometri da casa mia, amo le biografie vere e quelle inventate che si mescolano nella piazza, amo l’arrivo del cantante vintage e se ne parla per otto mesi, amo il campanile e stanotte amo la mia mente chiusa perché così non entrano gli spifferi delle vostre cazzate.

 

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4 Commenti a Io i paesini li amo, amo i loro vicoli, amo di essi la noia e quella fottuta routine

  1. Complimenti all’autore! “Stanotte” è il crinale che fa la differenza fra una mente ormai chiusa per sempre ed una (mi auguro che ce ne siano molte simili, altrimenti siamo fottuti per sempre) che ogni tanto si chiude a riccio perché la stupidità, frutto nei casi migliori della superficialità, dalla persona sensibile ed intelligente non va capita (capirai che gusto a farlo in quattro secondi …); va, al più, compatita e, doverosamente in casi come questo, lapidariamente, com’è stato fatto, stigmatizzata.

  2. Nu paise nci ole “Armenu pe lu gustu cu ne li putimu scire”

    Nu paise ole cu ddice ca nu te sienti sulu, tantu cu te ricuerdi ca intra li cristiani, le chiante intra la terra ncete quarche cosa ca puru quannu nu ncisinti stae addrhai ca te spetta.
    traduzione di Ersilio dal caposaldo “la luna e i falò” di C.Pavese
    Ricordati chi sei:e le radici Ca Tieni
    Questo è crescere in un paese del Sud tra i due mari,
    significa capire che ci sono modi diversi di pensare da quelle che hai imparato a casa.
    Ma fuori è un’altra avventura, nel paese c’è la passeggiata per fare conoscenza con altre persone e divertirsi con gli amici, e pensi che quello è il migliore dei mondi in cui abbia un senso vivere.
    Crescere in un paese è come una punizione, ma poi trovi dei compagni uguali a te, nel PAESE
    vuol dire avere il tuo fruttivendolo, il tuo macellaio che ti hanno visto crescere, i maestri dell’asilo elementari il tabacchino dove papà ti mandava a prendere le sigarette.
    Ritornare al paese dopo 2 anni rincontrare gli amici in mezzo alla piazza o nelle feste patronali ti accorgi che sono rimasti uguali, e pensi che la vita non era poi tanto male, soprattutto perche ora non sembra affatto essere meglio, ora che fatichi tutti i giorni per ricordarti chi sei, quali erano le cose che ti facevano sentire viva.
    Ora cerchi con tutte le tue forze di portare un po del tuo stramaledetto Paese nella giungla cittadina
    che divora l’uomo e lo costringe a correre, correre, correre, senza mai fare caso la faccia di chi ti cammina vicino “Tanto è uno sconosciuto” così improvvisamente l’anonimato che hai cercato e desiderato per una vita , ti pesa e vorresti di nuovo essere quell’uomo di cui tutti conoscono la faccia, o almeno perchè in paese tutti hanno degli amici d’infanzia. E ti accorgi di non essere felice oggi come ieri. Perchè per la felicità bisogna essere portati.

    Ersilio Teifreto Autore

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