Breve antefatto.
Qualche giorno fa, m’è capitato di ascoltare un operatore culturale e della comunicazione, nonché docente universitario, d’origine e formazione musulmana e però da molti anni residente e svolgente attività in Italia.
A un certo punto, nel pieno della riflessione, con correlato incrocio di commenti, intorno all’attualissimo, triste e, per certi versi, drammatico fenomeno del cosiddetto autentico “Stato Arabo” che, dalla parte promotrice e costituente, si vorrebbe annidato sotto la sigla (invero, una delle tante) Isis, il personaggio in questione si è espresso con la seguente affermazione: “Premesso che Isis si può porre alla stregua d’una cellula impazzita, ad oggi formata da circa quarantamila particelle o combattenti o attivi o adepti, nell’organismo dell’Islam, religione, entità o mondo che, come noto, annovera un miliardo e seicento milioni di credenti, è soprattutto, se non esclusivamente, il popolo arabo – musulmano che deve valutare come impegnarsi e agire per arginare, sino a renderlo innocuo ed eliminarlo, il fattore degenerativo Isis. Non si vede, altrimenti, come lo stesso obiettivo possa essere utilmente ed efficacemente realizzato per opera del mondo e/o delle potenze occidentali, attraverso la diplomazia, la moral suasion e, finanche, con l’eventuale ricorso, che pure si andrebbe delineando, a interventi militari. Troppi, enormi e variegati sono oggettivamente gl’interessi sparsi e contrapposti che condizionano lo scenario”.
Riandando all’intitolazione iniziale dei presenti appunti, il seno “Acquaviva”, a Marittima, amena località del Basso Salento, è per me, da quando sono nato, un emblema, il mio angolo del cuore preferito. Un minuscolo sito, che annovera però contorni di bellezze naturali che definire incantevoli non conferisce appieno merito alla realtà: fazzoletti d’acqua cristallini, trasparenti e dalle tonalità cromatiche cangianti, con tratti in cui la distesa si fa addirittura viva e frizzante, in virtù dello sbocco di minuscoli rivoli d’acqua dolce, scorrenti nel sottosuolo di natura carsica che contraddistingue il territorio posto ai lati e alle spalle dell’insenatura.
Acquaviva, insomma, è, nel mio sentire, una casa alternativa o habitat ideale. Fra le sue sponde, sotto e sopra la sua distesa liquida, ho imparato a nuotare, vi ho trascorso lunghe stagioni di svago nelle fasi della fanciullezza, dell’adolescenza e della prima giovinezza, compresa la pratica della pesca in mezzo ai suoi scogli bassi ed erbosi, a ridosso d’una sorta di riva detta “rena dei ciucci”.
All’Acquaviva ho avuto agio d’essere compagno, attore e testimone d’una miriade di sequenze d’umanità, vuoi in mezzo o accanto a volti conosciuti del paese natio, vuoi in presenza d’altre genti lì convenute, per prendere un bagno ristoratore e rigenerante e poi abbronzarsi, da località vicine o distanti, nella quiete e, specialmente durante i decenni lontani, nel totale silenzio del raccolto tratto di mare.
Sono innumerevoli gli anelli di ricordi che s’affastellano nella mente, e addirittura più dentro, in relazione e con riferimento al luogo di che trattasi. Qui mi viene di rinnovarne e riproporne alcuni.
Acquaviva, mi rievoca la figura di un compaesano, tale Teodoro, semplice e laborioso contadino di taglia robusta e oltre, il quale, nei pomeriggi d’agosto, completata la sua giornata lavorativa e rinfrancatosi con un riposino, non mancava mai di portarsi, a piedi, da Marittima sino, giustappunto, all’Acquaviva, per il bagno.
Suona, invero, improprio, nel suo caso, parlare di bagno; Teodoro, infatti, si “calava” non una ma quattro – cinque volte, da lui, per la precisione, niente grandi nuotate, bensì soste prolungate e in assoluto immobilismo sul pelo dell’acqua, nella posizione comunemente detta “del morto”
Ma la peculiare caratteristica del rapporto Teodoro – mare dell’Acquaviva era che, dopo ogni uscita dal bagno e prima della successiva immersione, egli, seduto su un basso scoglio, s’apparecchiava una frisa di grano ricoperta da pezzi di pomodoro. Così, quattro – cinque operazioni, ossia a dire che, per Teodoro, s’inanellavano non soltanto bagni rinfrescanti e rigeneratori, ma pure stimolanti l’appetito.
E poi ancora, in connessione con il luogo in discorso, mi si riaffaccia la sequenza, anzi la lunga pellicola di Consiglio, verso la fine dell’estate, in autunno e d’inverno contadino e nachiro o capo ciurma negli stabilimenti vinicoli e frantoi oleari, durante il resto dell’anno pescatore, col supporto della sua piccola imbarcazione in legno, un gozzo o schifo in dialetto, denominata “S. Vitale”, in omaggio al protettore di Marittima.
Consiglio, fra l’altro primo cugino di mio padre, pescava perchie, sciudiuli, scianni, fuggiuni, saragotti, occhiate e lutrini servendosi della togna, versione dialettale dell’accezione italiana bolentino; talvolta calava una rete a maglie strette detta “tartana” per tirar su pesciolini di diverse specie tanto piccoli quanto squisiti, oppure una lunga lenza, denominata caloma, per la cattura delle aguglie, oppure, infine, tentava di far suoi grossi e pregiati esemplari, specialmente cernie, grazie a lenze, lunghe cordicelle color marroncino, attrezzate con ami di formato medio – grande, cui s’infilzavano, come esche, sardine o boghe, dotate d’una coppia di supporti di sughero e piombo, lasciate scivolare distese in profondità medio alte su fondali di rocce e, da ultimo, fissate a terra, per poterle agevolmente ritirare dopo alcune ore o una giornata o notte, in genere sui due pizzi, o piccoli promontori verso il mare aperto, dell’Acquaviva.
Negli anni cinquanta e sessanta, il locale tratto d’acqua doveva essere particolarmente pescoso, tant’è che, in ogni stagione estiva, Consiglio riusciva a catturare svariati esemplari di cernia, taluni di grossa dimensione, sino a cinque/dieci chilogrammi di peso.
Pesci, che, in attesa di portarli allo spaccio di vendita della Cooperativa pescatori di Castro, l’uomo di adoperava di mantenere in vita, lasciandoli immersi in mare con l’amo in bocca, semplicemente legati e appesi al suo battello “S. Vitale”, ormeggiato all’interno dell’Acquaviva.
Nessuno che fosse tentato di maturare “brutti pensieri” riguardo a quelle ghiotte prede rimaste all’aperto, in mare. Correvano tempi ben diversi rispetto agli attuali.
Cercando e sperando di emulare il cugino pescatore estivo, anche mio padre Silvio, sporadicamente, s’esercitava a calare una lenza, fissandola sempre al pizzo dell’Acquaviva e il giovanissimo figlio, una volta, potette essere testimone della cattura d’una preda, una cernia di medie ma ad ogni modo apprezzabili dimensioni.
Per completare la serie di ricordi, rivolgendo lo sguardo sulla punta sinistra, verso il largo, dell’Acquaviva, ecco stagliarsi la figura d’un altro compaesano, Michele, il quale, da solo o in compagnia d’un amico, ogni tanto lanciava in mare i “botti”, rudimentali bombe auto confezionate, il cui scoppio stordiva, facendole finire inermi a galla, frotte di pesci avvistate un istante prima nelle vicinanze della scogliera, in genere cefali e salpe, al che, Michele e l’eventuale compagno, via a tuffarsi nudi sulle onde e andare avanti e indietro per farne incetta e portare a casa un consistente bottino.
Con un occhio nuovamente al titolo di queste note, desidero adesso chiarire il perché dell’accostamento dell’Acquaviva all’Islam.
Ieri, a metà mattinata, mi trovavo nel cortile della mia villetta del mare, quando ho scorto, in transito a piedi sulla confinante strada provinciale, di ritorno dalla via litoranea, due giovani e carine ragazze con abiti di foggia musulmana, ossia col corpo quasi interamente coperto, tranne l’ovale del viso e pochissimo altro.
Sulla scia dell’inusitata visione, si è proposta avanti la curiosità: “Da dove venite, forse dall’Acquaviva?”. “Avete fatto il bagno?”. “Ma come l’avete fatto, vestite, oppure con i costumi che si usano qui da noi?”. “V’è poca gente, all’Acquaviva, in questo periodo, vero?”.
Le due ragazze si sono immediatamente dimostrate disponibili al dialogo, ora annuendo, ora sorridendo, nessuna parola, però, in riferimento alla mia domanda indiscreta circa l’abbigliamento, diciamo così, per il bagno marino.
Le giovani hanno, quindi, proseguito in direzione del centro abitato di Marittima. Se non che, del tutto fortuitamente, dopo una mezzoretta, recatomi all’edicola per acquistare il quotidiano, mi sono nuovamente imbattuto nelle loro figure, notandole cioè sedute su una panchina nei paraggi, con bagagli a fianco.
Sono state precisamente loro a rivolgermi ancora un sorriso, e così mi sono avvicinato, domandando come mai stessero a Marittima, da dove provenissero e che cosa le avesse portate nel Basso Salento.
Cordiali e pronte le risposte: l’Egitto è il loro paese, vivono temporaneamente in Italia per un master in geologia presso l’università di Bari, la breve vacanza nel Salento, scoperto molto bello, è scaturita da un week end libero da impegni.
Per contraccambiare, ho fatto cenno, alle simpatiche ospiti, di due miei brevi soggiorni, nel passato, in località turistiche del Mar Rosso e, sentendo ciò, i loro occhi son diventati vieppiù luminosi e i sorrisi vieppiù aperti.
M’è sembrato, inoltre, opportuno riferire alle giovani che, attualmente, il Nunzio Apostolico, cioè il rappresentante del Papa, nel loro Paese è l’Arcivescovo cattolico Monsignor Bruno Musarò, nativo di Andrano, località confinante con Marittima, e, guarda la coincidenza, in questo periodo, don Bruno è qui in vacanza. Replica delle giovani all’unisono: “Wow!”, con i loro sguardi a incrociarsi, quasi a voler scambiare la comune sorpresa e meraviglia.
Non c’è che dire, un bell’intermezzo di dialogo fra il narratore salentino dai capelli bianchi e radi e due giovani e simpatiche ragazze musulmane.
Speciale e originale cordone di collegamento, la magica insenatura “Acquaviva” di Marittima.