di Armando Polito
Foruncolo nel dialetto neretino è frùnchiu. La voce italiana è dal latino furùnculu(m), forma diminutiva con sfumatura dispregiativa di fur=ladro, come homùnculus (da cui l’italiano omuncolo) è da homo=uomo. Stesso etimo ha la voce dialettale, che ha seguito la trafila furùnculu(m)>*frunclum (sincope di u in posizione atona)>frùnchiu [(normale passaggio -cl->-ch- come in chiaro da claru(m), etc. etc.
Cosa hanno in comune, però, il ladro ed il foruncolo? Furùnculus in latino, oltre che significare ladruncolo1, designa pure in Celso (I secolo d. C.)2 la spiacevole infiammazione purulenta che conosciamo e in Columella (I secolo dopo C.)3 il germoglio della vite. Proprio la caratteristica di detto germoglio, quando è secondario, di sottrarre, rubare, nutrimento alla pianta ha ispirato lo slittamento metaforico dal significato originario di piccolo ladro.
La metafora, si sa, è una delle figure retoriche fondamentali della produzione letteraria, sia in prosa che poesia, anche se, è arcinoto, essa ebbe la sua stagione più felice nell’età barocca. Il troppo storpia in ogni campo, compresa la letteratura e non è un caso se il suo abuso non abbia sortito in quel periodo esiti sempre poeticamente felici, nonostante la poetica fosse stata teorizzata dal suo massimo rappresentante, Giovambattista Marino, nell’arcinota affermazione È del poeta il fin la meraviglia/(parlo de l’eccellente, non del goffo):/chi non sa far stupir, vada a la striglia.4
Con lo scopo esclusivo di stupire non era raro, come puntualmente successe, che parecchi partorissero immagini più goffe che eccellenti, a volte così elaborate da rendere quasi impossibile la ricostruzione dei passaggi intermedi e da essere, in qualche caso, pressoché incomprensibili; il tutto a riprova che la tecnica, in ogni campo, è importante ma da sola non basta.
Per tornare al nostro foruncolo, va sottolineato che il passaggio metaforico dal concetto primitivo di ladruncolo a quello di foruncolo (quasi ladro di linfa al corpo) e di germoglio della vite (quasi ladro di linfa alla pianta, com’è quello secondario, in neretino pitalora5) è complicato quanto basta per conferire alla traslazione dei toni poetici. In più ho il sospetto che proprio questa metafora non sia firmata da Columella, cioè che forùnculus (=germoglio della vite) non sia un termine quasi tecnico, ma che lo scrittore romano l’abbia mediato dal popolo e che la metafora, perciò, sia frutto della fantasia popolare, nella fattispecie contadina, e non dell’elaborazione mentale di un letterato.
Non ci sono sospetti, invece, per l’origine tutta popolare della metafora che sottende riu, in passato usato anche come sinonimo di frùnchiu ma più spesso per indicare le classiche sbucciature delle ginocchia dei bambini un po’ irrequieti del tempo che fu, specialmente quando a tali escoriazioni, per quanto superficiali, subentrava un’infezione.
Riu, infatti, avrebbe il suo corrispondente italiano in reo che nel linguaggio corrente è sinonimo di colpevole, conservando in questo il valore sostantivale originario [dal latino reu(m)=colpevole], ma che nel linguaggio letterario ha assunto il valore aggettivale di malvagio, crudele.
Prima ho detto avrebbe, perché è questa l’opinione del Rohlfs il quale nel secondo volume del suo vocabolario al lemma corrispondente non avanza alcuna proposta etimologica, nemmeno in forma dubitativa, ma nel terzo, che funge da appendice (dunque riservato agli ultimi aggiornamenti) si legge “riu=pustoletta: [=it. rio=cattivo]”.
Mi meraviglia, però, il fatto che il maestro tedesco esibisca una certezza assoluta nel terzo volume dopo aver gettato la spugna, anzi dopo non aver proprio iniziato il combattimento, nel secondo. È impossibile che egli non abbia pensato ad un’ipotesi etimologica e di colpo, sia pure dopo un po’ di tempo, abbia creduto di aver trovato la soluzione del problema, passando dal buio pesto alla luce piena.
Già, ma a cosa avrà pensato, magari provvisoriamente, nel primo tentativo, che pure avrà fatto, rivelatosi infruttuoso? Solo un pazzo potrebbe sostenere che di massima è attendibile la ricostruzione di un processo mentale di un altro (quando non siamo in grado di analizzare e controllare nemmeno i nostri …), ma mi chiedo se non sia balenato al Rohlfs almeno il sospetto che riu potesse corrispondere non all’italiano rio (=colpevole), ma all’altrettanto italiano rio (=ruscello) [dal latino rivu(m)=ruscello, con sincope di v intervocalica, come nel nostro dialetto in faa da fava, nae da nave, etc, etc.], che ai più anziani ricorderà Rio Bo, la poesia, immancabile nelle antologie dei tempi passati, di Aldo Palazzeschi, mentre solo qualche giovane particolarmente sveglio sobbalzerà nel percepire l’assonanza con Riobbo, il nome della discoteca di Gallipoli; ma, dopo il primo sobbalzo, se ci sarà, tutto si fermerà, non per sua colpa, lì …
Se è così, la metafora basata sull’idea di un fiumicello che scorre avrebbe un spessore più concreto rispetto a quella basata sul concetto astratto di crudeltà.
Comunque stiano le cose, almeno questo è certo: la poeticità di riu, come è più di quella di frùnchiu, è fuori discussione. Se, poi, dopo tutto quello che ho detto, frunchi e rii da oggi faranno meno schifo anche a pochi di voi, vuol dire, che almeno per quei pochi, questo post non sarà stato inutile … e per rispetto agli altri che, magari, trattenendo il ribrezzo, avranno letto stimolati solo da una curiosità di tipo facebookiano, questa volta non riporterò nemmeno in coda né una vignetta (visto l’etimo di foruncolo ci sarebbe andata …) né tanto meno un’immagine.
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1 Cicerone, In Pisonem, XXVII.
2 De medicina, V, 28.
3 De re rustica, IV, 22 e 24.
4 Murtoleide, Fischiata XXXIII, 9-11.
5 Da pedale, aggettivo di piede (la pitalora è la gemma parassita, perciò va eliminata, che si forma sul ceppo) secondo lo stesso processo di formazione di cazza>cazzale>cazzalora, strattu>strattale>strattalora, ‘mbruffu>’mbruffale>’mbruffalora, etc., etc.