di Armando Polito
Qualcuno penserà che proprio io, che su questo blog non mi son lasciato mai sfuggire l’occasione di stigmatizzare l’anglofonia imperversante nella nostra lingua, questa volta non ho potuto o voluto evitare di usare una voce (amarcord, appunto) che ha tutti i crismi per sembrare inglese.
Se per monitor che sembra anch’esso inglese ma in realtà è latino (la voce inglese nasce dalla locuzione monitor screen, il cui primo componente è il latino mònitor che significa avvertitore, da monère=far ricordare, avvertire) viene scomodata la lingua dei nostri antenati, per amarcord il passo nel tempo è molto più vicino e coinvolge non il latino ma il dialetto romagnolo, visto che la voce, titolo di un film di Federico Fellini del 1973 e di una raccolta di poesie in vernacolo dello stesso Fellini e di Tonino Guerra (loro era stato il soggetto e la sceneggiatura del film) uscita per i tipi di Edice Odeon a Praga nello stesso anno e per quelli di Rizzoli a Milano l’anno successivo, deriva dalla locuzione m’arcord=mi ricordo.
Debbo aggiungere, però, che Tonino Guerra in un’intervista dichiarò che in realtà amarcord nasce da – Amaro Cora! -, ordinazione con cui i ricchi avventori manifestavano nel bar la raffinatezza del loro gusto. Insomma, la prima etimologia, che pure è l’unica riportata da tutti i vocabolari, sarebbe solo frutto di una casuale assonanza. Amarcord per amarcord: i meno giovani (diciamo così …) ricorderanno senz’altro lo spot del tapino che al bar chiedeva – Un brandy! – e all’invito del barista a specificare quale ribadiva – Uno qualunque! -; il poveretto veniva di botto sepolto da un coro di – Che figura! – ed umiliato da – Il signore sì che se ne intende! – rivolto dal barista ad un altro avventore che subito dopo aveva ordinato il brandy del momento pronunziando il nome forte e chiaro.
Lascerò ora da parte etimologia, filmografia, pubblicità e vi accompagnerò in un breve viaggio sul filo della memoria; e lo farò coll’aiuto di alcune immagini d’epoca, tratte tutte dalla comunità facebookiana Salento come eravamo, che invito a visitare perché ne vale veramente la pena. Il confronto con la situazione attuale, quando sono coinvolti i luoghi, è stato fatto con l’ausilio di immagini tratte ed adattate da Google Maps. A tal proposito invito i lettori a non esitare ad inviare alla redazioni foto recenti in cui taglio e prospettiva coincidono maggiormente con quelli della foto antica.
NARDÒ, VIA XXV LUGLIO (incrocio con via Verdi)
LA PUTICHEDDHA
Prima dell’avvento della grande distribuzione con i supermercati e le loro sezioni specializzate ogni rione aveva la sua rivendita di generi alimentari, cioè la puticheddha, diminutivo di puteca, sulla cui etimologia rinvio a https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/11/24/la-puteca-e-lapoteca-natura-ovvero-a-volte-le-parole-tornano-ma-in-che-modo/. Nel locale, per lo più non molto ampio, si respirava un’atmosfera particolare, intesa nel senso letterale di aria impregnata dalla miscela dei profumi dei generi alimentari in vendita ed in quello metaforico di rapporto umano tra il gestore ed il cliente. Nella foto è visibile il bancone in cui quelli che qualcuno con ironia macabra potrebbe definire loculi erano dei cassetti contenenti i legumi, ovviamente sfusi, che venivano prelevati ad occhio (e ci si sbagliava raramente …) nella quantità voluta dal cliente (si procedeva, comunque, subito dopo alla pesatura) con la sèssula1, una sorta di grande cucchiaio prima di legno, poi di latta.
La forma particolare dell’attrezzo aveva ispirato la frase offensiva capu ti sèssula, equivalente all’attuale testa di cazzo.
Tra il commerciante ed il cliente si instaurava un rapporto fiduciario che aveva il suo risvolto più concreto nella libretta, su cui veniva annotata giorno per giorno la spesa, sovente con registrazione delle singole voci, per procedere di solito alla fine del mese al calcolo del totale e al saldo del debito. Non erano escluse in qualche caso dilazioni nel pagamento, senza interessi (anche se qualche commerciante disonesto e finto benefattore provvisorio avrà alla resa dei conti aggiunto qualche 0 in posizione strategica, approfittando della scarsa dimestichezza del cliente con l’aritmetica …).
La pratica del pagamento dilazionato era tanto diffusa che non era neppure necessario che il cliente pronunciasse la fatidica parola: – Segna! -.
LA CHIAMATA
Nessuno può dire se i due giovani sulla Vespa portarono quel giorno a termine, e con quale esito, il loro primo tentativo di approccio (chiamata, di solito precedente la vera e propria dichiarazione d’amore). Sembra che la foto abbia congelato tutti gli ingredienti della situazione: il procedere lento della Vespa, l’apparente indifferenza delle due ragazze che già sanno, e forse sperano …, cosa potrebbe significare quel rombo smorzatamente scoppiettante, gli spettatori, di tutte le età, distribuiti su più piani e, per giocare con le parole, debbo far notare come parecchi hanno scelto il balcone del primo piano con largo anticipo, oppure vi si sono precipitati all’ultimo momento …
Qualche anno dopo alla Vespa si sostituirà la macchina con il conducente comodamente seduto, mentre lei leggermente piegata verso il finestrino abbassato, sarà impegnata in una conversazione scandita da parte sua da gesti tra l’ammiccante ed il pudico, in cui non sarà certamente l’interpretazione di una poesia o una riflessione di natura filosofica l‘oggetto del contendere, mentre, ad intervalli più o meno regolari, lo sguardo volerà a destra, a sinistra e pure dietro alla scoperta di infami (lo penserà lei ma lo dico pure io oggi …) delatori.
LI CANDILLINI TI LA ZZITA (I cannellini della sposa).
L’uscita degli sposi (zzitu e zzita, probabilmente dal toscano citto/citta=ragazzo/ragazza ) dalla chiesa e la loro sfilata per le strade del paese erano accompagnate dal lancio di cannellini. Cannellino in tutti i vocabolari è considerato diminutivo di cannello, a sua volta diminutivo di canna. Non bisogna, però, pensare alla sua forma allungata che somiglia con un po’di fantasia, ad una piccola canna, un cannello, appunto; bisogna pensare alla cannella, cioè alla spezia che, imprigionata all’interno dello zucchero, costituiva l’anima di questa specie di confetto. Che poi cannella sia diminutivo di canna per la forma con cui è messa in commercio non cambia nulla in rapporto alla precisazione che mi è sembrato doveroso fare. Candillini deriva da cannellini con dissimilazione –nn->nd- (probabilmente per ipercorrettismo, cioè per il processo inverso che dall’italiano quando ha portato alla variante salentina quannu; in altre parole: cannellino ha subito una “correzione” perché il suo gruppo -nn- sembrava dialettale.
Era scontato che in quella circostanza frotte di ragazzini facessero a gara a raccogliere dal selciato il maggior numero di candillini, e non certo con l’intenzione di rilanciarli. Non era certamente molto igienico, ma forse il sistema immunitario a quei tempi in tutti, ragazzini e non, funzionava meglio …
Prima di congedarmi con le immagini successive senza commentarle voglio precisare che la sostituzione del punto interrogativo del titolo con numeri superiori all’1 potrà avvenire solo se i lettori manifesteranno il loro interesse (ho detto interesse, non gradimento …) con un commento o, preferibilmente, come ho già auspicato, con una collaborazione in cui il documento, meglio se antico, abbia il suo ruolo principale.
LU FURNU
(CONTINUA?)
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1 In italiano sèssola o sàssola, di incerta origine. Secondo il Rohlfs la voce probabilmente è dall’arabo sàthal=secchio per attingere, a sua volta dal latino sìtula, dal quale, attraverso la forma tarda sicla, è derivato l’italiano secchio.
Carissimo Professore intervengo succintamente sulle prime due foto: La fera, ho un ricordo dei primi anni ’50 Nardò si tenne il 25 Aprile e si svolse sullo sterrato dell’inizio di Corso Galliano andando verso la Porta di mare con ai lati la fine del Castello e al lato opposto la Chiesa dei Paolotti. Per LA PUTECA è la storia della mia infanzia, mio padre l’aveva su Via Lata all’angolo da cui parte Via Matteotti e quel mobile coi loculetti era usato per i vari tipi di pasta sfusa, per LA LIBRETTA il negoziante onesto non poteva barare perchè erano due una per lui ed una per l’avventore su cui congiuntamente veniva segnato l’acquisto. Ma quanti erano coloro che non riuscivano ad onorare il debito. Quelli erano i tempi.