di Armando Polito
Il neretino sciùmbu (la variante dominante in Salento è sciùmmu) ha il suo perfetto corrispondente italiano in gibbo, che è dal latino gibbu(m). La variante neretina, con la sua dissimilazione-bb->-mb– conserva meglio il gruppo originale –bb-, mentre sciùmmu appare derivato da sciùmbu per assimilazione, dunque di formazione posteriore.
Sciùmbu, poi, è da gibbu(m) attraverso un intermedio *jubbum, a sua volta da un precedente *jibbum, secondo mutamenti fonetici ben noti, come, per esempio, in iùgu(m) che dà in italiano giogo e in neretino sciùu; iocu(m) che dà in italiano gioco e in neretino sciuècu, etc., etc. Da sciùmbu, poi, è derivato sciumbàtu che non designa il portatore di gobba ma uno che per uno sforzo o altro sembra ricordarne momentaneamente l’aspetto; chi, invece, è portatore autentico di gobba è detto sgubbàtu.
Esaurita la parte filologica rimarrebbe quella medica, per la quale rinvio a http://www.vesuvioweb.com/it/wp-content/uploads/Aniello-Langella-Scartiello-vesuvioweb-2012.pdf
Nel link appena segnalato il lettore troverà pure qualche mia riflessione sulla probabile origine della credenza popolare secondo la quale porta fortuna toccare la gobba di un gobbo, sfortuna quella di una gobba. Se sulla motivazione di questa credenza sono state formulate le ipotesi più svariate, tutti concordano sulla sua data di nascita che risalirebbe all’età medioevale. Nessuno, purtroppo, cita espressamente le fonti, ma credo che tale attribuzione cronologica dipenda dallo scartellato, l’omologo napoletano (nella foto sottostante l’ultimo amuleto a destra per chi guarda, frutto di incrocio tra il gobbetto e il cornetto, quest’ultimo evidente simbolo fallico) dello sgubbàtu neretino.
Sull’etimo di scartellato rinvio ancora una volta al post segnalato. Qui, però, debbo aggiungere qualcosa sul medioevale cartellus lì messo in campo; anzi riporto, con la mia traduzione a fronte, il lemma dal glossario del Du Cange, cosa che allora non feci per brevità, perdendo l’occasione di fare le riflessioni che ora sto aggiungendo.
Mantenendo le (forse …) dovute distanze tra santi e gobbi e utilizzando per comodità il linguaggio aritmetico, potremmo concludere che LA CASSETTA DELLE RELIQUIE: LE RELIQUIE=LA GOBBA:IL GOBBO.
Se questo è il ragionamento fatto per far risalire la credenza al medioevo, esso non fa una piega perché rientra perfettamente in quella mentalità che, va detto, di fronte a certi fenomeni non assunse un comportamento sempre univoco. Basti pensare alla sopravvivenza per lungo tempo, nonostante l’ormai più che millenario insegnamento di Cristo, del detto Guardati dai segnati da Dio!, in base all’idiota idea che la diversità corrispondesse ad un peccato da scontare (per i difetti congeniti: il peccato sarebbe stato commesso prima ancora di nascere o si pagava il fio per le colpe del genitore?). La stessa simbologia medioevale è estremamente ambigua, rappresentando spesso uno stesso animale ora un vizio ora una virtù.
Qui, evidentemente, il toccare il segnato da Dio, equiparato quasi ad un santo, proprio nel segno, non può che portare, non dico protezione, ma fortuna. E di solito, altra nostra idiozia, la fortuna viene identificata col successo, sì, ma quello economico in primis.
Penso, tuttavia, che la maggior parte delle credenze abbia un’origine antichissima e, a naso, questa mi sembra rientrare tra quelle.
A tal proposito voglio sottoporre all’attenzione del lettore qualcosa che ho trovato a distanza di circa tre anni da quel post “napoletano” e che, secondo me, potrebbe aiutare a risolvere in un colpo solo i problemi fin qui posti.
Svetonio, lo storico latino del II secolo d. C. così conclude la narrazione della vita di Domiziano1: Ipsum etiam Domitianum ferunt somniasse, gibbam pone cervicem auream enatam, pro certoque habuisse, beatiorem post se laetioremque portendi rei publicae statum. Sicut sane evenit, abstinentia et moderatione insequentium principum (Dicono pure che Domiziano stesso avesse sognato che gli era nata una gobba di oro sotto la nuca e che avesse ritenuto per certo che dopo di lui lo stato avrebbe presentato una condizione più felice e lieta. Come effettivamente avvenne per la moderazione dei principi che seguirono).
Nemmeno qui, come nel cartellus medioevale, c’è riferimento a tocco di sorta, ma può essere solo una coincidenza che la gobba aurea, per quanto onirica, fosse benaugurante? e sarebbe stato citato questo dettaglio se esso già nell’immaginario collettivo non avesse avuto tale valenza? e non è singolare, paradossalmente proprio perché scontata, l’identificazione dell’oro come fortuna e del suo portatore come simbolo del potere politico (cui si sovrapporrà in epoca medioevale quello religioso)? Io sospetto che tutto non sia dovuto al caso e che la credenza abbia origini ancora più antiche. Se avrò voglia, spingerò l’indagine al di qua di Domiziano e cercherò di capire perché la donna gobba porta sfortuna, al di là della scontata interpretazione che ne farebbe una delle tante manifestazioni di maschilismo2. Se viene fuori qualcosa, vi farò sapere. Nel frattempo riporto sul tema alcuni brani che ritengo interessanti.
Il primo direi che è di un’attualità estrema in tempi in cui pure la borsa cinese comincia a scricchiolare con il suo deleterio, capriccioso e quasi imprevedibile (chi può prevedere il gioco dello speculatore se non lo speculatore stesso?) effetto domino. Negli anni 1718-1720 il banchiere scozzese John Law, con l’emissione di nuove serie di titoli della sua Compagnia delle Indie, ne moltiplicava per venti il patrimonio azionario. Ecco la descrizione dello storico Pierre-Édouard Lémontey (1762-1826) di quella che per parecchio tempo dovette essere a Parigi una scena abituale al n. 65 di Rue Quincampoix, dove la banca del Law aveva la sua sede (poi, nel 1720, il tracollo e gli azionisti rimasti, come da copione ma pure loro con una credulona corresponsabilità …, spennati): Le besoin changea des hommes en meubles, et parmi ceux qu’enrichirent ces métamorphoses on cita un soldat dont l’immense omoplate valait un bureau, et un petit bossu qui, soutenue par un muraille, devenait un pupitre commode sur lequel on transigea pour des milliard3 (Il bisogno cambiò alcuni uomini in mobili e tra coloro che queste metamorfosi arricchirono si citò un soldato la cui immensa scapola valeva un ufficio e un piccolo gobbo che, appoggiato, ad un muro, diveniva un tavolo sul quale si fecero transazioni per miliardi).
Il secondo è un insieme di versi4 in cui l’autore, Giovanni Faustini (1615-1651), simpaticamente esalta la presenza e le virtù di tutto ciò che è curvo (l’arco, il cielo, il moto ondoso, il monte, il globo terracqueo, la nave, la culla, la sfera di cristallo dell’indovino, il ponte, il vaso, il naso, il ciglio, l’arco di Cupido, il fico, il delfino, il cuore) e, dunque, anche del gobbo:
Il terzo ed ultimo, quasi una versione in prosa del testo poetico appena letto e una scherzosamente sarcastica presa di posizione nei confronti dei medici e del loro tecnicismo linguistico, è tratto da Cicalata di Luigi Clasio5 in lode dei gobbi, Stamperia di Borgo Ognissanti, Firenze, 1808, pp. 20-216:
Chissà cosa avrebbero dato i simpatizzanti di Andreotti per leggere e divulgare quest’ultimo pensiero, sbattendolo in faccia ai denigratori ma, soprattutto, a chi per primo gli affibiò, tra i tanti, il nomignolo di gobbo!
Dalla politica (dopo Domiziano ed Andreotti) a Quasimodo, non il poeta, ma il personaggio del romanzo Notre-Dame de Paris di Victor Hugo, il quale mai avrebbe immaginato che il suo campanaro avrebbe spopolato nei numerosi film tratti dal suo romanzo, nel cinema d’animazione e nel music-hall.
Per tornare alla filologia e chiudere: in un’epoca di imperante cultura televisiva, scomparsi (nel senso che ne nascono sempre meno …) o quasi per fortuna i gobbi, la parola gobbo è destinata a sopravvivere, forse, solo per designare il cartellone o il rullo o lo schermo sistemato fuori campo, su cui scorrono le battute di dialogo da pronunciare durante le riprese. Solo che questo gobbo non ha nulla a che fare con quello più antico, derivando dall’inglese americano gobo, che è forse da go-between (=mediatore).
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1 De Vita Caesarum, Domitianus, VIII, 23.
2 Mi pare plausibile ipotesi di lavoro pensare che la gobba sia la versione in negativo di quelle protuberanze tipiche delle Veneri preistoriche (seno e sedere), la cui valenza propiziatoria è fuori discussione; ma la par condicio, rappresentata da certe rappresentazioni itifalliche (il modello di scartellato mostrato in foto ne è un esempio, per quanto più recente), a causa della gobba (sostantivo) dettaglio negativo nella gobba (aggettivo) va a farsi benedire e l’ombra del maschilismo torna ad aleggiare …
3 Histoire de la Régence et de la minorité de Louis XV, Paulin, Parigi, 1832, tomo I, p. 310.
4 All’inizio della scena XIII, dell’atto I della favola musicale L’Oristeo travestito (trascrivo dalle pp. 35-36 dell’edizione uscita per i tipi di Giacomo Monti a Bologna nel 1656 (https://books.google.it/books?id=lWcVAHu0kRYC&pg=PA35&dq=gobba+fortuna&hl=it&sa=X&ved=0CD8Q6AEwBjgKahUKEwiluauklszHAhXIORQKHWjUBlg#v=onepage&q=gobba%20fortuna&f=false).
5 Pseudonimo di Luigi Fiacchi (1754-1825), sacerdote fiorentino autore anche di favole, poemetti e sonetti pastorali, nonché filologo. Clasio, da lui stesso autoironicamente confezionato, sarebbe, secondo un procedimento molto ricorrente in quei tempi, la trascrizione di un aggettivo greco *κλάσιος (leggi clàsios) ricavato dal classico κλάσις (leggi clasis)=lo spezzare, il rompere, per cui Clasio sarebbe quasi la traduzione in greco di Fiacchi.
6 Chi lo desidera può fare lettura integrale di questo piacevole libro al link https://books.google.it/books?id=WobSPuHAXAgC&pg=PA25&lpg=PA25&dq=gobbi+famosi&source=bl&ots=zRh9Aq36Kr&sig=D5N5byjtOr4RRKWwBg-I2DzpZjc&hl=it&sa=X&ved=0CD8Q6AEwB2oVChMIk6m-oL3OxwIVy7gUCh0oBAYO#v=onepage&q=gobbi%20famosi&f=false.
ci avrei giurato che la derivazione sarebbe stata da “piombo”, anche se non riuscivo a trovare il senso. Ripensandoci, il metallo in dialetto si indica con “chiumbu”.
Inevitabile che a questo punto che io ti sproni a darci lumi su “scugghiatu”, riferito a chi altera il profilo della colonna vertebrale per l’eccessivo peso a cui è sottoposto
Il quesito che mi poni non è di immediata soluzione. Tuttavia, col rischio di scandalizzare tutti i frequentatori di facebook e della rete in genere che hanno inventato l’eufemismo “caxxo” … , cercherò di soddisfare la tua curiosità. “Scugghiatu” ha il suo esatto corrispondente nell’italiano antico “scogliato”, sinonimo di “castrato”. “Scogliato”, infatti, è da “s- “privativo+”coglia” (da un latino *còlea”, neutro plurale di un “*còleum” (nel latino classico “còleus”)=testicolo.
Dal latino tardo “coleone(m)”, poi, è derivato “coglione” e da questo “scoglionato”, usato, però, fortunatamente in senso metaforico.
Ritengo che il significato particolare assunto da “scugghiatu” implichi uno slittamento semantico da “testicolo” ad “ernia”; infatti a Vernole “cuia” è sinonimo di “ernia” e questo induce a pensare che la “s-“ privativa di “scogliato” qui abbia assunto l’altro suo valore, perfettamente opposto, cioè quello rafforzativo.
Non escluderei, infine, un incrocio, ma solo un incrocio, con “scoliosi” che, però, è dal greco “skoliòs”=storto; più di una volta, infatti, ho sentito dire “scogliosi” per “scoliosi” e, anche se in dialetto “scoglio” è come in italiano e non “scògghiu”, ci potrebbe essere stata una sua “dialettizzazione” come in “maglia”>”magghia”.
Non mi permetterei di controbattere, ma suggerisco ancora un’ipotesi.
Tu scrivi: “Scugghiatu” ha il suo esatto corrispondente nell’italiano antico “scogliato”, sinonimo di “castrato”. “Scogliato”, infatti, è da “s- “privativo+”coglia” (da un latino *còlea”, neutro plurale di un “*còleum” (nel latino classico “còleus”)=testicolo.
I testicoli in dialetto erano detti “cugghia” (S. Ippazio ne è il protettore), dunque il termine deriva dal latino, come hai indicato. Il peso eccessivo potrebbe causare un’ernia, ma potrebbe anche far divaricare gli arti inferiori, tanto da rendere evidenti le “cugghia”. Troppa fantasia?
La fantasia, anche se pericolosa, è, secondo me, come l’intuito, una dote fondamentale per scoprire, e dunque saperne di più, in ogni campo dello scibile. Nella fattispecie direi che la tua ipotesi è plausibilissima, anche se la visione degli attributi potrebbe essere agevolata ancor più dall’abbassamento dei pantaloni per un allentamento della cintura o per un cedimento delle bretelle o per un bisogno improvviso …
Se penso a certi modelli di pantalone col cavallo che arriva quasi alle caviglie, la nostra elucubrazione potrebbe essere un eloquentissimo esempio di come certe etimologie sono incomprensibili se si pretende di non tener conto del passato.
Vallo a spiegare a chi ritiene che sia importante solo il presente ..
Verissimo il pregiudizio che descrivi su chi vede una donna “sgubbata”, perché lo raccontavano anche a me. Sai anche come l’uomo ne annullava il possibile effetto negativo per la malcapitata visione? toccandosi le parti intime!
E no, Caro Armando, rimane ancora un’altra razza di “Gobbi” che sono per i “Torinisti” (Tifosi della squadra del Toro) come me, gli odiati tifosi Juventini! Fa d’uopo che tu li tenga presenti!
Tanto per metterla un poì sul ridanciano!
Cospargendomi il capo di cenere (se avessi avuto la gobba l’avrei fatto pure con quella), a parziale compensazione dell’involontaria quanto … peccaminosa ed imperdonabile omissione, segnalo http://www.ilpost.it/2014/11/24/tifosi-juventus-gobbi/.