di Armando Polito
Infatti, grammaticalmente parlando, sono entrambi infiniti presenti, ma il primo è passivo, il secondo attivo. Secondo me non esiste altro verbo la cui diatesi (passiva o attiva, appunto) esprima meglio la condizione dell’uomo del nostro tempo. Abbiamo strumenti formidabili che ci consentono di entrare in comunicazione a distanze prima inimmaginabili con gli altri o di assumere dati, immagini, suoni (fra poco, forse, anche profumi e, naturalmente, puzze …) e poi, in una sorta di perversione psico-tecnologica con punte di esibizionismo spesso di natura imitativa, usiamo facebook o simili per esprimere un sentimento, di qualsiasi natura, nei confronti, magari, di una persona che fisicamente sfioriamo ogni giorno, trattandosi di un componente e convivente della nostra famiglia. La tecnologia, annientando quello che si chiama pudore del sentimento, ha permesso a tutti di soddisfare il teoricamente legittimo diritto ad una piccola fetta di notorietà, insomma, di apparire, anche se parecchi (forse, chiedo scusa per la presunzione che filtra dall’avverbio, io in primis …) farebbero meglio a non comparire e qualcuno (rileggi ciò che è scritto nelle parentesi precedenti), addirittura, a scomparire.
Alessandro Manzoni scrivendo I promessi sposi rimproverava alla storia di scrivere le sue pagine non tenendo conto degli umili e lo stesso concetto celebrerà in versi poco più di un secolo dopo Bertolt Brecht nella celeberrima Domande di un lettore operaio, il primo trovando conforto nella fede, nella promessa di compensazione nell’al di là e beccandosi da parte dei non credenti l’accusa di illusorio paternalismo, il secondo vedendosi appiccicata addosso l’etichetta di comunista, quando sarebbe bastato riflettere sui due versi finali (Tante vicende./Tante domande.) per comprendere come il poeta e l’uomo, anticipando ciò che ancora oggi a stento si distingue, aveva una fiducia, per quanto amara, nell’ideale, non nell’ideologia.
Se ogni potere, compreso quello religioso, fosse interpretato come servizio da espletare con sacrificio e non come, al contrario, vale semanticamente nella frase ti faccio un servizio così … (sarà derivata dal gioco del tennis? e ti faccio un mazzo così, sarà connessa con l’omaggio floreale dei funerali?), l’umanità veramente vivrebbe, senza che nessuno attenda la morte per avere giustizia, una seconda età dell’oro, ammesso che ci sia veramente stata la prima … E sotto questo punto di vista io non sto con Manzoni ma con Brecht.
Dopo questo deragliamento pseudo socio-psico-politologico (polito sì, dirà qualcuno, logico meno …) torno all’assunto del titolo e concludo dicendo che l’essere connesso dev’essere uno stimolo in più per il cervello, non la causa della sua parziale atrofia; e il link (di origine protogermanica, ma secondo me potrebbe avere collegamenti con il latino ligare, da cui il nostro legare) in particolare non dev’essere un surrogato delle sinapsi cerebrali ma uno stimolo a farle funzionare al massimo del rendimento. Essere connesso, dunque, deve liberarsi della sua valenza grammaticale passiva, se non vogliamo che essa annienti nella realtà quella attiva insita in connettere.
Poi ci sarà sempre il solito furbo che, magari, grazie pure alla scritta sulla camicia (quella sulla felpa, ormai, è inflazionata …) penserà di rimediare.