di Luigi Caputo
Tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento visse un nostro compaesano cui la gente neretina spesso si rivolgeva per conoscere, un po’ per curiosità un po’ per bisogno, previsioni di diversa natura in ispecie sulle condizioni meteorologiche, sui conseguenti prevedibili riflessi per i raccolti dell’annata, sull’oroscopo personale (volg.:”la pianeta”), sulla previsione del sesso del nascituro (volg. :”l’epatta”), ecc.
Una sorta di “frate Indovino” laico, di quartiere, sempre disponibile a fare crocicchio e a dare gratuitamente risposte alle usuali curiosità popolane, dalle quali trarre possibilmente conforto e buoni auspici, grazie alla paziente e solenne consultazione di uno “strano”, vecchio e consunto libro, spesso lasciato contestualmente visionare o leggere (a seconda del grado di improbabile scolarizzazione) anche dall’incuriosito interlocutore di turno.
Il libro, divenuto popolarmente famoso (ancora oggi se ne ricordano i più veterani del paese) veniva, stranamente, chiamato “Lu munarca” e qualcuno finiva anche con l’identificare con detto termine lo stesso possessore ed interprete del volume.
In realtà tale nomignolo non aveva alcuna attinenza con alcun titolo regale. per il semplice motivo che “Lu munarca” altro non era che la traduzione foneticamente e grossolanamente ricavata dall’effettivo titolo del libro “L’almanacco (perpetuo)” che l’approssimata pronuncia, tipica delle assonanze dialettali, riusciva radicalmente a trasformare snaturandone l’originario significato.
Tale performance fonetica, peraltro, fu adottata per dare il nome ad un calendario, l’almanacco neretino “Lu munarca ti Nardò” che venne con successo stampato e divulgato anche all’estero dal Circolo culturale Nardò Nostra dal 1982 per oltre una quindicina d’anni.
Ma torniamo al famoso vecchio libro del nostro compaesano “indovino”. Si trattava forse di un’opera che avesse qualche attinenza con storia, usi e costumi della città di Nardò ?
Niente di tutto questo!
Quel vecchio libro, infatti, cui sono legato personalmente per motivi “ereditari”, ho avuto modo di custodire e contemplare.
Per rispettarne la patina del tempo impressagli dagli evidenti segni della logorata rilegatura delle circa 500 pagine color seppia, ho più volte resistito alla tentazione di farlo restaurare.
Il volume, un trattato teorico pratico di Astrologia, reca il titolo, nella prefazione e non sulla consunta e spessa copertina “L’Almanacco di Rutilio Benincasa”. Nel proemio dell’opera (ristampata innumerevoli volte dalla lontana prima edizione del 1593) lo stesso autore, scrittore calabrese (1555-1626), spiega che la <<parola Almanacco non vuol dir altro, che una notazione che si fa di giorno in giorno in tutte le ore, minuti, punti, ed altre cose necessarie ed appartenenti all’Astrologia. La Fisionomia altro non vuol dire che riconoscere le persone nella faccia secondo l’inclinazione naturale o a buoni o a cattivi costumi…>>.
In particolare il Benincasa nel presentare la (terza) parte dell’<<indovinatrice>> : <<dagli stolti si dice quella, che giudica la vita di ciascun uomo così circa lo stato del corpo, come anco della fortuna e condizione di esso, e solo si possono congetturare dalla umana mente le inclinazioni ai vizi, alle virtù ed agli studi, e i costumi, le infermità, i pericoli, ecc.>>.
Interessante è il cenno della piena sottomissione alle regole della Chiesa, evidentemente per sottolineare, con i comprensibili timori della dottrina cristiana del ‘500, con estrema chiarezza il ricorso lecito alle previsioni frutto soltanto della scienza astrologica:
<<Onde avverta il Lettore che in quest’opera intendo osservare quanto si comanda nelle regole dell’indice romano e Bolla di Sisto V, sottomettendomi sempre umilmente al giogo di Santa Madre Chiesa romana , dalla quale non intendo punto allontanarmi; protestandomi anco, che in tutti i luoghi dell’Opera dove si tratta di futuri contingenti liberi si hanno da intendere senza certezza, ma secondo le inclinazioni o modo di parlar degli antichi Astrologi, il qual modo si corregge dalle regole di Santa Chiesa.”
Come il nostro paesano sia venuto in possesso del libro non si sa esattamente.
Il volume in questione è una ristampa del 1720 (con una presentazione del testo curata dal Beltrano) e qualcuno ha ipotizzato che potrebbe essere stato un regalo di un monaco della chiesa dell’Incoronata di Nardò, zona in cui, a fine ‘800 il possessore del libro, da giovane aveva abitato nelle vicinanze e ove gli avrebbero anche insegnato a leggere e scrivere.
Piace ogni tanto consultare le pagine ingiallite dell’Almanacco con la scusa di verificare se le previsioni dell’anno in corso, tratte dal calendario perpetuo siano …veritiere.
Ma forse è solo un modo per assaporare la semplicità del volgare del ‘500 ed il fascino intramontabile della cultura dell’antico.
NdR: sull’argomento si legga anche quanto ha scritto Armando Polito:
E dopo 33 anni ecco che finalmente si svela l’arcano del famoso almanacco del Benincasa che ha dato il nome a “Lu munarca ti Nardò” che io stesso feci nascere nel 1982. I miei nonni mi avevano raccontato di questo personaggio locale che consultava e prediceva leggendo questo libro, ora tornato alla ribalta grazie al tuo contributo, ma il cui destino allora nessuno conosceva. Dopo due edizioni, pur di mantenerlo in vita come almanacco in dialetto neritino, fondai l’associazione culturale Nardò Nostra, che durò per 14 anni, tanti quante furono le edizioni del Munarca, nel quale cercammo di raccogliere particolarmente i proverbi correlati ai mesi e alle stagioni. L’almanacco oggi è rarissimo da trovare, ma sapientemente ci preoccupammo di conservarlo presso la biblioteca comunale di Nardò, dove è tuttora consultabile. Era ancora stampato con i caratteri a piombo e con i “trasferibili”.
Grazie Luigi per avermi permesso di riparlarne dopo tanti anni
Grazie a te Marcello per la cortese pubblicazione del mio articolo che mi ha dato anche la gradita opportunità di conoscere gli interessanti approfondimenti sull’argomento, grazie ai preziosi contributi riportati sulla Fondazione Terra d’Otranto tra i cui soci sono onorato di far parte.
Solo un dettaglio integrativo di natura bibliografica al post, al cui autore faccio i miei complimenti: l’edizione da lui posseduta (del 1720) dovrebbe essere stata stampata a Bassano per i tipi di Giovanni Antonio Remondini. Tale edizione è a disposizione al link https://books.google.it/books?id=HUFSAAAAcAAJ&pg=PA208&dq=rutilio+benincasa+almanacco+perpetuo&hl=it&sa=X&ved=0CD8Q6AEwAzgKahUKEwim64etqcnHAhWGfhoKHQAOCXc#v=onepage&q=rutilio%20benincasa%20almanacco%20perpetuo&f=false.
Da un controllo fatto, però, mi risulta che l’aspetto delle pagine riportate dall’autore non è uguale alle corrispondenti della citata edizione digitalizzata, come chiunque può agevolmente verificare (mi riferisco all’aspetto grafico, oggi diremmo formattazione, non al testo che è identico). Non corrisponde neppure il numero delle pagine (500 contro 696).
Pregherei l’autore del post di ricontrollare la data di edizione del suo esemplare, perché, se dovesse essere confermato il 1720, saremmo in presenza di due edizioni diverse fatte dallo stesso editore nello stesso anno, a riprova ulteriore di quanto tal genere di pubblicazione “tirasse” anche in passato.
Preg.mo Prof. Polito
La ringrazio per il puntuale e gradito dettaglio bibliografico e le qualificate note integrative al libro in argomento. Di particolare interesse è stata per me anche la lettura del suo articolo che ha arricchito la mia conoscenza sull’opera del Benincasa, frutto di sua meticolosa e qualificata ricerca.
Per quanto riguarda la data di edizione del mio esemplare (appartenuto al mio bisnonno materno) posso confermarle che , in assenza di specifica data di stampa, ho potuto risalire al 1720 per i seguenti due riscontri :
-la trascrizione a penna su una pagina del libro “Stampato il 1720”;
-l’inizio del calendario perpetuo che coincide proprio con l’anno 1720
(vale a dire 1720 – 1747 -1776- 1804 … e via di seguito).
La ringrazio ancora e resto a disposizione per ogni eventuale ulteriore precisazione.
Luigi Caputo
Ed io ringrazio lei per l’interesse riservato alle mie note, soprattutto perché, senza l’ulteriore dato da lei fornito, la riflessione fatta nel periodo conclusivo del mio post sarebbe rimasta una mera ipotesi, un esercizio della mente (non è poco, ma non è tutto …). Nel campo della conoscenza (ma anche in quello della delinquenza, per riprendere un concetto amaramente ironico inserito a suo tempo nel post) al certo (almeno a quello, visto che al vero, forse, non arriveremo mai) si giunge non da soli ma con la giusta compagnia. Non mi resta che augurarmi ed augurarci che tale tipo di incontri, come quello qui avvenuto, per quanto virtuale, diventi sempre più frequente. Cordiali saluti. Armando Polito