di Armando Polito
Ogni fenomeno, prima di manifestarsi, ha un periodo più o meno lungo di latenza a seconda della forza delle cause che lo tengono in quiescenza, finché non prevalgono col loro effetto dirompente e, in un certo senso, contagioso quelle di segno opposto che ne hanno costituito la miccia, più o meno lunga, ma inesorabilmente innescata, esauritasi la quale, arriva l’esplosione. Anche la durata di un fenomeno (inteso e come episodio singolo e come sua ripetizione nel tempo) è legata all’azione di alcune forze che lo favoriscono, finché il prevalere di quelle di segno opposto decreta la fine del singolo episodio e, in alcuni casi, la sua estinzione. Emblematico, mi pare, a tal proposito il tarantismo: la sua sparizione conferma che la tarantola e il suo morso erano solo un pretesto per liberare, soprattutto nella donna, ataviche pulsioni per secoli represse non certo per sua volontà, conferma, cioè l’origine cultural-ritual-psicologica del fenomeno che gli studi di Ernesto De Martino, com’è noto, hanno messo in evidenza. Il tarantismo, insomma, si è progressivamente spento non perché si è estinta la tarantola o il sistema immunitario ha azzerato gli effetti del suo morso ma perché inesorabilmente col mutare del costume, liberazione sessuale della donna in primis, è venuta meno la necessità di mantenere come pretesto, alibi, copertura, l’animaletto ed il suo morso al fine di uscire dall’isolamento repressivo attraverso un percorso identificativo (alcuni movimenti delle tarantate ricordano quelli del ragno)-liberatorio (i movimenti stessi, eccitati dalla musica, scaricano la tensione e l’energia a lungo represse). Probabilmente tale processo sarebbe stato solo più lento se non fosse stata rivoluzionata, rispetto al passato, l’agricoltura con l’introduzione delle macchine che hanno esonerato uomini e donne dalle operazioni di coltivazione e raccolta, per non parlare dei veleni che di certo hanno ridotto drasticamente il rischio di un incontro ravvicinato di un tipo che in passato, molto probabilmente, era, sia pur inconsciamente ma non troppo, desiderato e, forse, pure cercato …
Per tornare a De Martino: La terra del rimorso non omette di citare in ordine cronologico due autori che possono essere considerati gli antesignani della sua interpretazione. Il primo è, a sorpresa, un poeta, il secondo un medico, rispettivamente Giovanni Pontano (1429-1503) e Giorgio Baglivi (1668-1707).
Dal dialogo Antonius del Pontano riporto di seguito in formato immagine e con la mia traduzione a seguire un brano tratto da un’edizione (integralmente leggibile al link https://books.google.it/books?id=WS1ZAAAAcAAJ&pg=PT197&dq=ioannis+iovanni+pontani&hl=it&sa=X&ved=0CCcQ6AEwAWoVChMI1IbF4LKNxwIVBF0UCh0sswMP#v=onepage&q=antonius&f=false) di sue opere varie uscita a Venezia nel 1512 per i tipi di Giovanni Rubeo e Bernardino Vercellese.
Amico -Antonio soleva ripetere che [i pugliesi] sono i più felici degli uomini-
Ospite -Quelli che hanno la fortuna di abitare in una regione tanto calda?-
Amico – [Diceva] infatti che gli altri uomini essendo tutti stupidi a stento potevano addurre qualche giustificazione sufficientemente onesta della loro stoltezza e che in verità i soli pugliesi avevano perfettamente pronto un motivo per scusare la pazzia, cioè quel ragno che chiamano tarantola, per il cui morso gli uomini impazzirebbero; e che il luogo più felice è dove il massimo della felicità è il fatto che chiunque volesse desiderare il frutto della sua pazzia potrebbe coglierlo onestamente. [Diceva] poi che ci sono ragni dal veleno diverso e tra questi anche quelli che spingono alla libidine, che essi sono chiamati concubitarie che da questo ragno solo solite essere morse spessissimo le donne e che sarebbe lecito e non vietato che esse cercassero gli uomini liberamente ed impunemente e che questo veleno non può essere neutralizzato in altro modo, sicchè sarebbe un rimedio per le donne pugliesi ciò che per le altre costituirebbe una vergogna. Non ti sembrerebbe questa la più grande felicità?-
Ospite -Per Priapo1, grandissima!-
Analogamente dal Dissertatio de anatome, morsibus et effectibus tarantulae del Baglivi scritto nel 1695 riporto un brano tratto dalla p. 617 dell’edizione di tutte le opere uscita per tipi di Posuel a Lione nel 1714 (integralmente consultabile al link http://lib.ugent.be/europeana/900000084459).
Non bisogna qui negare la possibilità che nelle nostre regioni si presenti realmente il fenomeno del veleno della tarantola e dei tarantati; tuttavia le donne, che sono gran parte dei tarantati, molto spesso simulano questa malattia con sintomi alla donna familiari; infatti sia per piccoli fuochi d’amore, sia per un danno del patrimonio familiare o di altri mali tipici cui le donne sono più sensibili, sono prese dalla noia, per la continua tristezza derivante da tali situazioni degenerano nella disperazione e quasi nella malinconia. A tutto questo s’aggiunge una vita solitaria alla maniera delle monache di clausura, lontana da ogni per quanto onesta possibilità di parlare con gli uomini della famiglia. Si aggiunge parimenti l’aria infuocata, il temperamento caldissimo delle donne, i cibi caldi e molto nutrienti, la vita oziosa, etc. E per questi motivi tanto principali che secondari frequentemente degenerano nella tristezza e in uno stato d’animo malinconico e per la stessa ragione sono rallegrate moltissimo da ogni accordo di musica e dalle danze. Perciò, per servirsi di questa opportuna occasione di musica permessa ai soli tarantati, si fingono tarantate. All’inganno poi ed alla simulazione si aggiungono il pallore del volto, la tristezza, la difficoltà di respiro, l’angoscia, la cattiva immaginazione e gli altri sintomi più del simulato che del vero veleno delle tarantate (ed essendo questa danza estremamente gradita alle donne, presso le nostre passò in modo di dire, il Carnevaletto delle Donne); e, sebbene le sole donne di quando in quando simulino questa malattia, non allo stesso modo tuttavia si deve sospettare che questo succeda anche negli altri tarantati; infatti parecchi uomini, peraltro eruditi e religiosi, non credendo minimamente ai tarantati, si esposero essi stessi al pericolo e, morsi in Puglia dalla tarantola, caddero in imminente pericolo di vita e se non fosse intervenuta subito la musica in breve sarebbero morti, come riporta anche il nostro Epifanio2 nel passo lodato.
Il De Martino non cita, però, un altro autore e, siccome questi è, come il Pontano, un poeta e devo dare giustificazione del titolo di questo post, lo faccio io.
Di seguito fra breve un brano di Giovanni Mario Crescimbeni (1663-1728) tratto da L’Arcadia, De’ Rossi, Roma, 1708 (integralmente consultabile e scaricabile al link http://books.google.it/books?id=ez4dFjf-xsMC&pg=PA212&dq=crescimbeni+arcadia&hl=it&sa=X&ei=7RRKVNi1MY7YPMiLgeAJ&ved=0CCwQ6AEwAg#v=onepage&q=crescimbeni%20arcadia&f=false).
Al nostro tema sono dedicate le pp. 68-85 e assicuro il lettore curioso che la loro lettura sarà gradevole anche sotto l’ombrellone o nella hall di un albergo. Susciterà la meraviglia dei bagnanti o degli altri ospiti quando vedranno sullo schermo del tablet non qualche giochino o le solite foto gossippare ma dei caratteri non proprio moderni. E, se sarà salentino, saprà sfruttare meglio ciò che il Crescimbeni gli offre per catturare l’attenzione di quella brunetta, biondina o rossina che sola soletta, appare, senza ombra di dubbio, sensibile solo al fascino del meridionale sì, ma intellettuale …
E così, mescolando Dante, Crescimbeni, tecnologia e vanità maschile basata su presupposti tanto inconsistenti quanto velleitari, qualche poeta moderno particolarmente ispirato potrà far dire alla donna:
Quando leggemmo il disiato morso
esser curato da cotanto ballo,
il salentino ingrifato più che orso,
mentr’io cotta dicevo -Fallo!, fallo!-,
mi morsicò la gota e quasi svenni.
L’uomo no, ma il tablet era da sballo …
Lascio immaginare il seguito della storia e passo al nostro, comunque beneaugurante …, Crescimbeni col suo brano che sembra la trascrizione artistica delle affermazioni scientifiche del Baglivi (non a caso con quest’ultimo siamo alle soglie dell’illuminismo, con Crescimbeni agli inizi).
La fantascienza spesso ha anticipato il futuro e la poesia si è avventurata in esplorazioni di regola riservate alla scienza e non è certo col tarantismo che l’ha fatto per la prima volta, né, per fortuna, è stata e sarà l’ultima …
Anche quest’anno la Notte della Taranta ha celebrato il suo trionfo. Bisognerà aspettare un poeta, prima ancora che un sociologo (sarebbe il compito immediato di un cronista indipendente …) che metta in evidenza come a ben pochi interessava la musica tradizionale salentina, sia pur intesa in senso lato, e che i gridolini sbavati delle giovani e meno giovani (ma anche di qualche giovane e meno giovane …) erano solo all’indirizzo di uno spaesato Ligabue, che, però, aveva fatto già conoscere la sua salentinità d’adozione facendosi ritrarre davanti ad una friseddha? Come non mettere in risalto, per converso, l’onesta intellettuale degli Aramirè che da tempo hanno rinunciato, con tutte le conseguenze negative, soprattutto di natura economica, che la loro scelta comportava, a salire su un palco le cui luci anno per anno si stanno sempre più trasformando da stroboscopiche in stronzoscopiche (non mi riferisco agli artisti veri o presunti, che in qualche modo devono pur campare, ma al pubblico, attore passivo di un’invereconda e prostituente mistificazione)?
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1 Poteva in questo caso un umanista del calibro del Pontano, umbro di origine ma napoletano di adozione, coinvolgere Ercole o Giove e non Priapo che con il suo mostruoso attributo bene in vista è stato immortalato in più di un affresco pompeiano?
2) È il mesagnese Epifanio Ferdinando (1569-1635), autore di Centum historiae seu observationes uscito per i tipi di Baglioni a Venezia nel 1621 (integralmente consultabile e scaricabile al link https://books.google.it/books?id=WghBAAAAcAAJ&printsec=frontcover&dq=Centum+historiae+seu+observationes&hl=it&sa=X&ved=0CCAQ6AEwAGoVChMIzYPhjJ6NxwIVwu9yCh0v-wMN#v=onepage&q=Centum%20historiae%20seu%20observationes&f=false), dove sono registrati casi di tarantolati morti per non essere stati sottoposti in tempo alla terapia musicale.
Tutto vien svenduto per il vil denaro e ciò che era una modalità sacrale sia pure pagana diventa solamente un acchiappacitrulli sensa alcun senso. Peccato, perchè così si van perdendo tutte le nostre radici e senza radici, come si sa, l’albero muore e così pure la civiltà.