di Massimo Vaglio
Il pasticciotto è il dolce per antonomasia degli abitanti del Salento leccese, ove è assolutamente immancabile in qualunque pasticceria degna di questo nome. Rientra perfettamente negli stilemi della cucina locale, caratterizzata come poche, da piatti semplici, sobri, ma dal gusto spesso sorprendente. Proprio, sorprendente, è l’aggettivo più appropriato per definire il gusto del pasticciotto, una sorpresa che aumenta quanto più aumenta la sua conoscenza, quando cioè si scoprono i suoi semplicissimi ingredienti.
Nessuna particolare alchimia, d’altronde, il segreto del suo universale gradimento e della sua inconfutata bontà, risiedono proprio nella sua semplicità.
Queste prerogative fanno si che con questo dolce i salentini usino scambiarsi omaggi nelle più disparate occasioni; da quelle liete, a quelle più tristi, è usanza, infatti, offrirli come “cùnsulu”, in questo caso come colazione consolatrice alle famiglie colpite da un lutto.
Per molto tempo, è stato esclusivo appannaggio della cucina aristocratica salentina e deriva probabilmente dalla torta di pasta frolla farcita con ricotta zuccherata ed altri ingredienti, ma già nei primi anni del “700 veniva sicuramente prodotto anche nella foggia corrente, come si scopre nell’archivio della Curia Vescovile di Nardò, ove, in un inventario redatto il 27 luglio 1707 in occasione della morte di Mons. Orazio Fortunato, tra le altre masserizie, compaiono: …barchiglie di rame da far pasticciotti numero otto…
Approdato poi nei caffè pasticceria, da almeno un secolo non ha modificato il suo look, salvo essere negli ultimi decenni leggermente rimpicciolito per andare incontro alle esigenze dietetiche della società moderna.
La tecnica di produzione, perfettamente codificata, segue un antico e severo protocollo e qualunque incauta violazione dello stesso non passa certo inosservata ai tantissimi estimatori locali.
L’infrazione più grave e purtroppo più comune è l’utilizzo della margarina vegetale al posto dello strutto, viene compiuta spesso in perfetta buona fede e giustificata da motivazioni salutistiche.
A questo punto non possiamo che bonariamente redarguire questi scrupolosi pasticceri, e invitarli a continuare ad usare secondo tradizione lo strutto. Infatti, questo spesso vituperato grasso, è molto più sano, nutrizionalmente parlando, della margarina, che invece, come autorevoli fonti ci rivelano dovrebbe essere tenuta lontana, non solo dai nostri amati pasticciotti, ma dovrebbe essere precauzionalmente e ragionevolmente, completamente esclusa dall’alimentazione umana.
Ecco la ricetta, secondo la tradizione:
Ingredienti: 1 kg di farina, 500 g di zucchero, 400 g di strutto, 7-8 tuorli d’uovo, la scorza grattugiata di 2 limoni, un pizzico di sale, un cucchiaino di bicarbonato di ammonio, una bustina di vaniglia. Crema pasticcera, per la farcia.
Disponete la farina a fontana, mettete al centro lo zucchero, lo strutto, le uova e gli aromi, amalgamate tutti gli ingredienti senza intaccare la farina. Infine, ammucchiate sopra la farina e lavorate il tutto velocemente e senza farlo riscaldare, sino ad ottenere una pasta frolla liscia ed omogenea. Riponetela in frigo e lasciatelo riposare per almeno un’ora, meglio ancora per una notte. Con latte, zucchero, farina, tuorli d’uovo, vaniglia, e scorza di limone preparate la crema pasticcera e fatela raffreddare. Allungate man mano la pasta frolla, sezionate dei pezzi, appiattiteli e rivestire i tradizionali stampi in metallo a foggia ovale preventivamente imburrati e infarinati. Ponete all’interno la crema pasticcera raffreddata e ricoprite con un altro strato di pasta frolla.
Con la pressione delle dita conferite la caratteristica forma a cupoletta e pennellatela, con uovo leggermente sbattuto. Infornate a 200°C sino ad ottenere un’invitante colorazione bruno dorata, infatti molto del gusto deriva proprio dalla caramellizzazione degli zuccheri. I pasticciotti devono altresì risultare friabili e uniformemente cotti. Estraeteli dagli stampi una volta freddi.