di Massimo Vaglio
Per la bontà delle sue carni, in diverse zone costiere, Salento compreso, ove viene appellato corza pilosa, viene attivamente insidiato con mezzi di cattura rudimentali il più efficace è la cosiddetta togna che consiste in un rigido filo di ferro zingato all’estremità del quale viene fissata un’esca carnea quale un pezzo di polpo o di seppia. I pescatori, perlustrano a piedi i bassi fondali rocciosi e appena scorgono una possibile tana vi avvicinano l’esca, se questa è abitata, il granchio si lancerà ferocemente sull’esca e verrà agguantato con un intrepida spericolatezza dagli stessi.
Sfruttando la l’indole combattiva di questo animale alcuni, usano fissare all’estremità dell’attrezzo una chela prelevata da un esemplare precedentemente catturato, che basterà affacciare alla tana per provare l’uscita del granchio, che sentendosi minacciato si presenterà in atteggiamento offensivo finendo per sbollire l’ira nel carniere del pescatore insieme ad altri sventurati fratelli.
Un altro sistema di cattura è quello praticato nelle ore notturne con l’ausilio di una fonte luminosa che abbaglierà i granchi immobilizzandoli rendendoli così facili prede chi pratica questa forma di pesca sovente non risparmia neppure i meno pregiati ma comunque saporiti “cauri di scoglio” ossia i granchi corridori (Pachigrapsus marmoratus) fuggenti abitatori delle battigie rocciose.
Fra i granchi di fondale i migliori sono le calappe o granchi melograno (Calappa granulata) noti nel Salento col simpaticoco appellativo di granchi dottore che pescati al largo dalle paranze vengono venduti a prezzi spesso irrisori insieme ai comuni granchi di rena sui moli d’attracco dagli stessi pescatori.
Una trattazione a parte meriterebbe la grancevola (Maja squinado) facilmente distinguibile sia dalla forma caratteristicamente triangolare del carapace e dai lunghi arti che gli conferiscono un aspetto che ricorda vagamente quello di un ragno. Spesso il carapace della grancevola è completamente ricoperto da alghe e cocreazioni calcaree e nelle acque salentine con i tramagli se ne pescano esemplari che superano il chilogrammo di peso e costituiscono un’altra prelibatezza marina di cui non si può che lamentare la scarsità.
Da qualche anno le acque salentine come già avvenuto in altre zone, si stanno popolando di una cosiddetta specie aliena di granchio, un vorace ‘immigrato marino’ che si teme possa mettere a rischio il già delicato e in parte compromesso equilibrio biologico dei nostri mari. E’ americano, proviene infatti dalla sponda occidentale dell’oceano Atlantico, ove lo si trova dalla Nuova Scozia all’Argentina, si tratta del cosiddetto granchio blu (Callinectes sapidus). Il suo corpo, dai bordi seghettati, ha una forma pressoché ellittica, con due spuntoni ai lati. Il suo carapace, di colore verde oliva è grande, fino a misurare venti centimetri di larghezza, per dieci di lunghezza. I suoi arti, di dolore blu turchese sono allungati e grazia alla loro forma gli consentono anche di nuotare sono fatte per camminare e nuotare, mentre le grandi chele, sono strumenti ideali per aggredire e catturare le prede. Possiede ottime qualità organolettiche. Naturalmente in cucina a seconda dei granchi che si impiegheranno il risultato potrà essere leggermente diverso, ma in ogni caso si sarà soddisfatta la voglia di granchi che, quando prende, prende.
La prima parte la potete leggere qui:
https://www.fondazioneterradotranto.it/2015/07/27/i-granchi-dei-nostri-mari-salentini/