di Gianluca Fedele
Ho conosciuto Carolina Sperti a Copertino durante un concorso tra artisti organizzato da Anna D’Amanzo, dove ho avuto l’onore e il piacere di fare da giurato, anche se in realtà le opere della Sperti non erano in gara. Ci trovavamo all’interno della chiesa di Santa Chiara, una location incantevole nella quale le sue sculture erano disposte sugli altari laterali e la presenza di queste deliziose fate di terracotta la si percepiva come di esseri animati, tutt’altro che inadeguate in quel contesto. In esposizione ma spettatrici anch’esse nella mostra.
A fine serata, dopo la premiazione dei vincitori, mi presento alla scultrice e ci scambiamo i contatti con la promessa di risentirci. Passato qualche mese provo a ricontattarla e tra i suoi vari impegni d’artista riesce a dedicarmi un’ora per l’intervista che vi apprestate a leggere.
Siamo in casa sua, a Lecce, dove vive e realizza le sue opere. Io le esprimo immediatamente la mia contentezza perché finalmente converso con una donna per Fondazione Terra d’Otranto e lo faccio iniziando proprio da lei che rappresenta giustappunto figure dalle sembianze e dai contenuti femminili.
D.:
Le mie abitudini prevedono che prima di incontrare l’artista io faccia una ricerca per conoscere chi ho di fronte; uno tra gli aspetti che mi hanno incuriosito maggiormente è stato quello legato ai tuoi studi; un percorso universitario che non riguarda l’arte, quantomeno in senso stretto. Dalla filosofia alla scultura: due attitudini correlate?
R.:
Credo che la filosofia e l’arte siano più vicine e simili di quanto si pensi. I miei studi hanno più che altro maturato il modo di concettualizzare le ragioni di quei tormenti che tutti ci portiamo dentro ma è l’estro artistico a rendere il mio pensiero realmente comprensibile ai più.
Nella personale ricerca di una formula espressiva creativa ho perfino provato a dipingere, esperienza circoscritta a un approccio abbastanza repentino; tuttavia è nella tridimensionalità che ho individuato il mio equilibrio, il mio più alto accordo tra pensiero e materia.
Mi piace immaginare le diverse sfaccettature di un corpo statuario come una sorta di metafora della coesistenza: più volumi dagli aspetti differenti che si compongono armonicamente sulla superficie di un unico elemento a tutto tondo.
E infine il contatto con la terra nella quale ritrovo una dimensione quasi primitiva ma obbligatoria.
D.:
Galeotto fu un corso di scultura, dico bene?
R.:
Si, nel 2001 seguii un corso tenuto dall’insegnante Maria Teresa Gigante, organizzato dalla Società Operaia di Lecce, e qui ricevetti i primi rudimenti, il primo vero contatto con la massa plastica imparando a maneggiarla per avere da lì un minimo di dimestichezza nel modellarla. In seguito la mia esperienza si è arricchita tramite l’incontro col pittore Maurizio Muscettola con cui è nata nel tempo una prolifica collaborazione artistica.
D.:
Da allora sono passati quattordici anni. Come nascono queste deliziose donnine di creta?
R.:
Le donne di terracotta sono scaturite dalla mia fantasia nella maniera più semplice e naturale che si possa immaginare, si sono perciò rivelate nelle loro fattezze in modo del tutto spontaneo. Ci ho anche riflettuto sopra e probabilmente nella prerogativa della femminilità si cela una variante intima; detto questo non vorrei che si occludessero gli eventuali spunti per ulteriori e poliedriche interpretazioni personali del fruitore. Nei lineamenti gentili si celano disordini emotivi che sono genericamente umani e certamente indipendenti dal sesso.
Se proprio ci si incaponisce a voler utilizzare una chiave di lettura univoca potremmo adottare l’universo femminile come criterio di una cultura alternativa, cioè un atteggiamento più sensibile di approcciarsi a talune sollecitazioni emotive.
D.:
È importante per un artista il giudizio del pubblico?
R.:
Personalmente trovo entusiasmante che ognuno colga una propria chiave di lettura, forse è proprio questo aspetto che determina l’arte, il fatto di far riflettere. A suffragio di ciò ricordo delle signore intervenute a una esposizione delle mie opere le quali astanti, trovatesi a meditare presso una particolare Donna di terracotta che dentro di sé ne conteneva un’altra, giunsero alla conclusione che uno dei messaggi racchiusi fosse legato al tema della maternità. In realtà non era assolutamente mia intenzione caratterizzare quell’opera adducendo quel genere di interpretazione ma trovai comunque piacevoli le loro considerazioni interessate.
D.:
Ricordo di aver visto delle tue opere dove l’elemento della serratura e della chiave ricorrevano di frequente; cosa si apre con quelle chiavi e cosa si cela dietro quelle serrature?
R.:
A dire il vero non si apre nulla, la chiave è piuttosto un invito a comprendere. C’è una delle mie Donne di terracotta, ad esempio, che custodisce alla spalle tre chiavi ma nessuna delle quali però apre la sua porta; un po’ a simboleggiare l’inaccessibilità dell’universo intimo femminile.
D.:
Quali sono gli artisti ai quali ti ispiri?
R.:
Sinceramente non ho riferimenti artistici che mi condizionano nella produzione. Del mondo della pittura però mi piace molto Modigliani, le sue figure femminili slanciate e i volti dalle espressioni eteree.
D.:
Anche le tue Donne hanno degli sguardi eterei?
R.:
Loro sono immerse in una dimensione onirica, assorte in una specie di vagheggiamento nel quale amano perdersi. Una caratteristica tipicamente femminile questa, poiché credo che le donne, abbiano coltivato nei secoli un mondo interiore più ricco e variegato rispetto agli uomini, per sfuggire probabilmente ai limiti della realtà di un mondo troppo spesso maschilista.
D.:
Ci sono persone che col loro passaggio ti hanno segnata artisticamente?
R.:
Penso che tutti gli incontri che ho avuto mi abbiano “influenzata” in qualche modo. Voglio dire che il contatto umano e il confronto con gli altri danno sempre dei nuovi spunti per migliorarsi e andare oltre i propri limiti fatti di quelle certezze che momentaneamente si erano raggiunte.
Per me aggiungere punti di vista al modo di vedere le cose che ci circondano vuol dire peraltro arricchire la creatività sovrapponendo nuovi artifici alla materia, donando conseguentemente ulteriori punti di vista dai quali apprezzare l’opera finita. Che possiamo anche essere noi stessi.
Esperienze e sensazioni che apparentemente non hanno alcuna connessione col mio lavoro a volte operano in forma inconscia per poi palesarsi nel momento in cui produco modellando le diverse forme.
D.:
Quando immagini le tue Donne di terracotta tra qualche anno le figuri ancora con quest’aria antica, quasi anacronistica o avranno una metamorfosi?
R.:
Loro evolvono con me ovviamente e in funzione di me, questa è una certezza. A parte l’uso dei diversi materiali, già ci sono degli enormi cambiamenti rispetto a quelle che erano le fattezze originali. Ora sto lavorando affinché la superficie, dalla pelle ai vestiti, diventi una sorta di tela per trasmettere anche altro. Ma non aggiungo altro, è una sorpresa per chi saprà aspettare.
D.:
Aspetteremo. Che differenza passa tra ricerca materica e ricerca filosofica nella tua attività?
R.:
Per ciò che concerne l’aspetto tecnico devo dire che a me piace molto sperimentare. Come accennavo, ultimamente nell’impasto ho adoperato moltissimi materiali, dagli stucchi particolari alla cera, fino al cemento e alla semplicissima terra rossa. Aggiungici che spesso mi adopero a reperire vecchi arnesi da masserie abbandonate, immaginando così di poter dare nuova vita a oggetti desueti.
Da un certo punto di vista credo che tutta questa ricerca sia in qualche modo connessa al senso stesso di concetto, purché lo scopo non sia frutto del mero desiderio di stupire, del rincorrere spasmodicamente l’illusione di creare qualcosa di nuovo a tutti i costi.
Utilizzare sì immagini nuove ma per trasmettere soprattutto messaggi innovativi e propositivi in funzione del contesto sociale che si vive. E poi non è detto che l’arte debba risultare “bella” per forza; persino una foto dai contenuti atroci può essere pregna di significati altissimi.
D.:
Ho come l’impressione però che spesso i messaggi che un’artista vorrebbe veicolare non abbiano alcuna presa sugli animi più ruvidi, che poi talvolta sono proprio i destinatari prediletti. Condividi questa mia riflessione?
R.:
Condivido ma è una questione di coscienza e di consapevolezza. Io credo che se la cultura dominante di una società apatica prende il sopravvento sull’individuo, impedendogli di mantenersi in contatto con la parte più intima e libera del sé, purtroppo a quel punto è estremamente difficile scalfire questa patina grigia narcotizzante. C’è solo un modo per risvegliare il pensiero critico e con esso la sensibilità alla “bellezza” ed è il sapere, l’istruzione. A partire dalla scuola.
Conoscere la storia è fondamentale poiché ci sono delle dinamiche le quali, nonostante il progresso, ritornano sempre e sempre uguali. Allora dovrebbe essere anche questo il compito di un insegnante: attualizzare certi eventi per rendere partecipi i giovani. Si crea così una coscienza che è alla base di ogni azione.
D.:
Come sono i rapporti tra gli artisti del nostro territorio?
R.:
Nel mondo dell’arte – come certamente in tanti altri ambienti – vigono delle regole non scritte fatte di ordinaria competizione, tale rivalità talvolta degenera nell’arrivismo e nell’utilitarismo. Questo ovviamente vale per tutte le declinazioni dell’arte; che si tratti di scultura, pittura, scrittura o persino musica.
Nel nostro tempo, tra l’altro, è anche aumentata la produzione creativa perché ci sono tanti individui che dipingono, scrivono, suonano, ecc.. Emergere è diventato più difficile e gli ambiziosi sono costretti a sostenere una lotta spietata.
Per quanto mi riguarda, a prescindere dalle collaborazioni, da ciò che va in porto e dai progetti che abortiscono, quello che preme è sempre il rapporto umano e il rispetto. Per questa ragione cerco di relazionarmi più che posso in maniera autentica e quando riconosco i meccanismi di cui sopra provo a tenermene fuori.
D.:
Le gallerie, in tutto questo fermento, che ruolo ricoprono?
R.:
Personalmente finora non ho mai esposto in una galleria, forse perché mi ha sempre inibito farlo, ma non escludo di trovare un giorno la persona giusta con la quale intavolare prima di tutto un rapporto di fiducia, oltre che professionale.
Ora come ora non disdegno le esposizioni come quella nella quale ci siamo conosciuti, in chiese o per i vicoli dei centri storici, poiché ho la possibilità di confrontare le mie opere con un pubblico variegato e non settoriale come immagino sia nelle pinacoteche.
Ad esempio tra pochi giorni prenderò parte ad un concorso che si terrà nel borgo antico di Giovinazzo, presso il quale sono stata selezionata a partecipare.
D.:
Sulla gonna di una delle Donne di terracotta ho intravisto un foglio con dei versi. La poesia è un’altra delle tue passioni?
R.:
Si. Devi sapere che sono autrice di un libro di poesie intitolato “Sentore di coccinelle”, pubblicato nel 2013 dall’Editrice Argo, per cui vi è una sorta di rimando tra le sculture e i versi; alcuni concetti che avevo espresso nelle poesie ritornano per materializzarsi in maniera più istintiva negli atteggiamenti delle mie Donne, nelle loro braccia lunghissime e nelle feritoie dei loro corpi. Due espressioni quindi dello stesso bisogno.
Anche qui mi torna in soccorso la filosofia che insegna a porsi sempre nuove domande e a rifuggire dalle certezze; in qualsiasi cosa io faccia è bandito l’assolutismo ma venero invece la convivenza armonica degli opposti, che è una realtà. Qualsiasi sentimento, positivo o negativo che sia, va coltivato e mai represso perché essi coesistano.
D.:
Cosa riserva il futuro a Carolina?
R.:
Io credo che se nel futuro ci sia una certezza quella è l’imprevedibilità. Scelgo consciamente di evadere dal determinismo, dalla necessaria concatenazione di causa ed effetto perché la realtà dimostra che non è così che funziona il mondo ma che tutto ruota invece attorno ad atti di vera libertà.
Fa piacere imbattersi in un articolo come questo, navigando in Fondazione di Terra d’Otranto, conoscere ciò che fermenta nel mondo salentino e crea novità d’arte. Complimenti all’artista in questione, le sue Donne di terracotta raccontano molto nel loro silenzioso stare.
Non ho letto l’articolo per adesso,no tempo.Mi sono molto soffermato sulle foto delle sculture.Complimenti all’artista per le sue opere,molto belle e interessanti, leggerò poi l’articolo intervista, me ne scuso al momento.
certo tipo di incontri, richiamano l’umana sacramentalità che è nell’uomo nel suo essere e ” navigare” poi : all’interno di Fondazione incrocia culturalmente con….-la convivenza armonica degli opposti che ci porta a riflettere; e una bellezza tutto ciò, certo ,viverla è faticoso, scostati come siamo dal riordinare una scuola come luogo del nostro gioco per imparare a costituire il sapere . Grazie sempre a voi Tutti e cordialità al bravo Muscettola,peppino