Un viaggio in Expo 2015 tra scienza, alimentazione e agricoltura, su cui irrompe l’enciclica ‘Laudato si’’ di Papa Francesco
di Paolo Rausa
Ad appena due mesi dall’apertura l’Expo dispiega tutta la sua potenza espositiva. Un decumano, lungo un chilometro e mezzo in direzione est-ovest, che incrocia il cardo, a sua volta lungo 350 metri, all’altezza di piazza Italia da cui si intravede il suggestivo albero della vita, che richiama con una visione avveniristica e tecnologicamente avanzata l’Albero della vita della Cattedrale romanica di Otranto. Un grande mosaico pavimentale che aveva ordito tra il 1163 e il 1165 Pantaleone, il monaco basiliano del monastero di San Nicola a Casole. E’ veramente entusiasmante e suggestivo vedere affacciarsi su queste strade di concezione consolare romana padiglioni di ogni parte del mondo degli oltre 130 paesi partecipanti, circa 60 dei quali sviluppano uno spazio auto costruito e gestito, mentre gli altri costituiscono i cluster monotematici (il riso, il caffè, cacao e cioccolato, frutti e legumi, spezie, bio-mediterraneo, isole mare e cibo, cereali e tuberi e infine le zone aride), i quali mettono in evidenza gli aspetti naturali e gli sforzi che ogni paese sta compiendo per affrontare il problema alimentare e climatico. La nostra visita a piedi comincia dall’ingresso ovest, Cascina Triulza, a cui si arriva comodamente in treno, il nostro dalla zona sud est è il passante ferroviario S14 con partenza da Rogoredo. Il Padiglione 0 introduce l’argomento, una grande biblioteca, i semi, gli attrezzi agricoli che hanno aiutato l’uomo a estrarre i frutti dalla terra, l’allevamento e i pesci che pendono dal cielo, lo spreco alimentare, il listino della borsa. Il primo a cui ci si ferma è il padiglione del Nepal, non ancora ultimato, oggetto di pellegrinaggio e di solidarietà da parte dei visitatori che già dalla mattina arrivano numerosi. Si visitano i padiglioni facendo necessariamente una scelta, dettata dal caso o da quanto si è sentito dire. Poi l’Angola e il Brasile, ma la fila che si intravede distoglie. Il Vietnam e la Repubblica di Corea, avveniristica: il cibo come sfida. I cluster del riso e del cacao: i paesi espongono i loro prodotti della terra e artigianali. La Thailandia, il paese dell’oro, l’Uruguay, ci saremmo aspettati un omaggio al presidente Mujica e alle popolazioni indigene, ma è troppa l’ansia di attrarre visitatori, allora si propone la bellezza dei territori, la Cina che si limita ad esporre in una struttura a pagoda un letto di canne meccaniche che simulano il lento fluire del ritmo naturale, la Colombia divisa in 5 climi che dimentica Medellin e la lotta al narco traffico, l’Argentina con la sua carne grigliata che ci spinge ad una sosta. Stanchi, ma non domi siamo pronti alla seconda parte del percorso, l’oriente: Azerbaigian e Kazakhstan, molto curati nei particolari espositivi. Questo si prepara a celebrare il prossimo expo dell’energia nel 2017 e affida il racconto della sua storia ad una artista che illustra sulla sabbia le vicissitudini di un paese proiettato nel futuro, specie quando ci introduce con la visione tridimensionale sugli aspetti naturali ed architettonici, tanto che pare quasi di immergersi nel mare e di toccare terra tra il frumento o di sfondare il palazzo presidenziale. La sosta al centro Conferenze dove vari studiosi e il cardinale Angelo Scola illustrano i contenuti dell’enciclica di Papa Francesco ‘Laudato si’’, sulla natura come atto di creazione e sulla responsabilità dell’uomo sui danni all’ambiente. Poi Israele, cosa abbiamo fatto a favore dell’umanità in termini di scoperte, e la Germania, che assume su di sé le sorti del pianeta con un’esposizione didascalica e puntuale su che cosa fare. Straordinaria! Piazza Italia e l’Albero della Vita, suggestivo con l’acuto lirico che libera i colori e fascia la struttura. Slow Food e la sostenibilità, il giardino degli aromi, l’Oman, una nazione marittima che si scopre anche agricola. L’altoparlante chiama alla chiusura e invita a uscire. Stanchi ma soddisfatti. Da ritornarci per completare il giro, almeno altre due volte. Molte riflessioni, sui popoli, sui loro diritti negati, sui problemi del cibo, non sulla sua mancanza ma sulla cattiva distribuzione, sugli sprechi. L’umanità è qui riunita, mostra il meglio di sé, ma non può nascondere il fatto che fuori di qui urgono guerre e carestie. C’è materia e di azione e di riflessione per tutti, cittadini e governanti compresi.
Gli effetti speciali, indubbiamente suggestivi ma costosissimi e che sarebbero demenziali se alla loro labilità non fossero connessi interessi poco chiari presenti e futuri (perciò non demenziali, ma criminali), per me, sottolineo per me, non costituiscono nemmeno un tentativo, per quanto scorretto, di approccio al problema che l’autore ha così bene espresso nel finale, ma solo un’esibizione, squallida nonostante le apparenze, di potenza tecnologica che per me, sottolineo per me, è sorella … di sangue delle famigerate “bombe intelligenti”.
Quanto all’albero (di Pantalone …), che, peraltro, è troppo simile a quello di Singapore per non suscitare sospetti di plagio e a proposito del quale Vittorio Sgarbi ha dichiarato a suo tempo che Moira Orfei avrebbe fatto di meglio, ho messo in funzione tutti i miei neuroni per tentare di cogliere qualche “richiamo” a quello di Pantaleone. A parte la “e” in meno (se veramente si sono ispirati al mosaico otrantino, sono riusciti a fottersi pure quella?), a me sembra una palma inesorabilmente attaccata dal punteruolo rosso, metafora della propagazione all’intorno più della morte che della vita …
sono un pò perplesso ….per il prof .Rausa –cordialità sempre-peppino.