di Armando Polito
Non so se i compilatori o gli aggiornatori dei moderni vocabolari stiano aspettando l’autorizzazione dell’UE (Acronimo di Unione Europea e non, come qualcuno potrebbe cominciare a pensare, Unione Ebete) o di Matteo Salvini (per via delle sue, qualche tempo fa inopinabili, caldane sudiste pro voto) per aggiungere al lemma arricciatura la seguente definizione: particolare, complesso e lungo trattamento, tipico del Barese, cui viene sottoposto il polpo prima di essere consumato crudo. Infatti neppure nello Zingarelli 2016 ai lemmi arricciare e arricciatura compaiono, rispettivamente, altri complementi-oggetto o di specificazione che non siano capelli, baffi, peli, tessuti, naso, labbra, narici, muri (strato di intonaco), foglie e pagine.
Di fronte all’autorizzazione, se verrà, questo mio intervento che tenta di andare alle radici di una pratica che già ad intuito appare antichissima, avrà avuto un peso irrilevante, ammesso che qualcuno dei geniali burocrati, prima ancora che politici, dai quali ormai è regolamentato pure il respiro, sia in grado di leggerlo e, quel che più conta, di capirlo, nonostante il ripetuto e rivoltante sciacquio di bocca con locuzioni tipo rispetto dei valori fondanti della civiltà occidentale …
Nel momento in cui scrivo apprendo che l’UE chiede all’Italia di adeguarsi al principio sovrano dell’apparire e non dell’essere, del surrogato e non del genuino, della confusione e non della chiarezza, degli imbrogli possibili e quasi autorizzati e non della loro, per quanto sempre teorica, difficoltà di realizzazione: a completare (?) nel settore lattiero-caseario i provvedimenti stigmatizzati qualche giorno fa in https://www.fondazioneterradotranto.it/2015/06/29/la-furficicchia-e-leuropa/, nel quadro della nefasta operazione in corso da tempo per mettere definitivamente in ginocchio l’unico, o quasi, settore in cui siamo apprezzati a livello planetario, quello agro-alimentare, i B&B (Burocrati e Buffoni) europei ci raccomandano di adeguarci al dio mercato e ci diffidano dal continuare a vietare sul nostro territorio l’utilizzo della farina lattea nella fabbricazione di latticini; il tutto per non ostacolare la libera concorrenza.
Il passato ha dimostrato che la raccomandazione/diffida dell’UE vale come imposizione a breve termine.
Sarebbe ridicolo, se non fosse tragico, che burocrati superpagati, quegli stessi che ogni momento si sciacquano la bocca con i valori fondanti di cui sopra, non siano riusciti qualche giorno prima a coniugare i verbi diffidare e imporre a proposito delle quote di accoglienza dei profughi ed abbiano sancito a tal proposito il principio della volontarietà. Insomma: per loro, ad onta dei valori fondanti, una scamorza fatta, per giunta, col latte in polvere, vale molto di più di una vita umana. Volontariamente evito di parlare (chissà che vocaboli verrebbero fuori!) dello strozzamento-ricatto in corso nei confronti della Grecia ed è squallido pensare che la morsa verrà (per quanto?) allentata solo per evitare il rischio che essa venga attratta nella sfera sovietica … come se uno stato, anzi un popolo, fosse un pallone da arpionare o da scaraventare lontano …
Mi chiedo: quale altra demenziale ed aberrante decisione dovremo sorbirci prima che anche dalle nostre parti venga indetto, da chiunque, purché sia indetto, un referendum per decidere se uscire o no da questa gabbia di ipocriti servi di una lobby e dell’altra pure, visto che chi ci rappresenta come nazione non batte ciglio per insipienza o, se così fosse sarebbe ancora più grave, per convenienza e connivenza?
Meglio cambiare bruscamente registro e passare da quello politico-sociale al personale.
Chi, dopo aver catturato un polpo anche di medie dimensioni ed averlo morso in testa, non lo ha sbattuto ripetutamente su uno scoglio per ammorbidirlo in previsione della cottura? Io! Ricordo come ieri un’avventura tragico (per il polpo e per me)-comica (per l’osservatore esterno) occorsami una quarantina di anni fa. Ero intento a pescare dal mio posto preferito: lungo la scogliera alle spalle della masseria Bellimento c’è una specie di piattaforma, con l’acqua non più alta di mezzo metro, lunga una decina di metri e larga un paio, oltre i quali c’è uno strapiombo di almeno dieci metri, una postazione ideale per la pesca con la canna, C’è, però, l’inconveniente che si deve pescare stando in piedi, perché, a differenza di questi ultimi protetti da un paio di scarpe di plastica spessa, il sedere resterebbe soggetto all’inevitabile supplizio delle spine dei ricci che allora tappezzavano (ora non so) la piattaforma. Si avvicinava il tramonto e ormai era in atto quella che sarebbe stata l’ultima calata della giornata. Mentre attendevo il tanto atteso strappo, mi sentii come sfiorare la scarpa destra e poi accarezzare la caviglia e lo stinco. Rimasi come paralizzato quando mi accorsi che un polpo mi aveva avvinghiato (!) quella parte del corpo probabilmente attratto dal colore bianco delle scarpe. Per qualche secondo sperai, continuando a tenere in mano la canna, che allentasse la presa e se ne tornasse a farsi i fatti suoi lontano da me. Non successe, e a quel punto l’istinto predatorio prese il sopravvento (era il mio primo polpo!). Posai la canna in acqua, mi chinai leggermente e allungai la mano forse con la residua, contraddittoria speranza che il mostro (!) per paura fuggisse. Al contrario, lasciato il piede, il polpo più veloce del fulmine mi aveva avvinghiato la mano e tutto l’avambraccio. Con una freddezza incredibile (ormai l’istinto predatorio aveva preso un irreversibile sopravvento) con l’altra mano recuperai la canna e, trascinandone lenza ed amo, mi allontanai dalla piattaforma a distanza di sicurezza. Sapevo che i pescatori, professionisti o dilettanti che fossero, appena estratto il polpo dall’acqua ponevano fine alla sua agonia mordendone la testa. Scoprii di non essere capace nemmeno di un polpicidio ma non sarei sincero se non dicessi che forse in quella occasione era prevalente il senso di schifo. Mi inquietava pure il fatto che ormai il sole era tramontato e che il crepuscolo non sarebbe stato né lungo né, peggio ancora, gradevole con il polpo i cui tentacoli cominciavano a lambirmi pure la spalla. C’erano da percorre quasi trecento metri attraverso la macchia prima di arrivare alla masseria che allora era la base di partenza per le mie battute (!) di pesca. Intanto il polpo era giunto a minacciare perfino gli occhiali e la loro eventuale caduta, ammesso che non si fossero rotti, per uno al quale mancavano (per fortuna mancano ancora oggi ..) dieci diottrie per occhio, sarebbe stato veramente l’atto finale della tragi-commedia in corso. Con un coraggio insospettabile gettai a terra la canna e con la mano liberata afferrai il polpo per la testa e cominciai a tirare. Non so quanto durò quest’operazione, so solo che mi ritrovai con il collo e le spalle ancora preda di quell’abominevole abbraccio, nonostante il polpo risultasse quasi decapitato e il suo ultimo saluto alla sua vita e alla mia umanità (?) fu una quantità impressionante di milanu1 schizzato da tutte le parti. In certe occasioni vorresti che due minuscoli tergicristalli fossero montati sulle lenti. Sfruttando i pochi millimetri quadrati delle lenti rimasti indenni, ripresi la canna e con il polpo che nemmeno da morto voleva staccarsi (in quei momenti ti sfugge il concetto e il funzionamento della ventosa …), dopo aver attraversato con passo molto affrettato la macchia, feci il mio trionfale ingresso in masseria, dove si svolse la parte comica, che vi risparmio (ci volle quasi il trattore di mio cognato per liberarmi dal cadavere del polpo e un quintale di acqua e due confezioni di bagnoschiuma perché il mio corpo tornasse all’antico(?) splendore (?) offuscato, fortunatamente per poco tempo, dal milanu …
Il polpo, dunque, era stato martirizzato ma aveva evitato il destino riservato ai suoi simili: niente morso sulla testa, niente sbattimento sugli scogli. E sullo sbattimento, che già ad intuito si direbbe una pratica antichissima, le prime due testimonianze, sia pure indirette, ci giungono da Ateneo di Naucrati, un autore greco del II secolo d. C., la cui opera, Deipnosofisti2 (alla lettera: Saggi a banchetto), è preziosa perché contiene il nome e i frammenti di autori che altrimenti sarebbero da considerare perduti integralmente e per sempre (in gergo tecnico tradizione indiretta).
Nel capitolo 8 del libro I Ateneo ci tramanda alcuni versi di Platone (non è il filosofo del V-IV secolo a. C. ma l’omonimo e contemporaneo commediografo), appartenuti alla commedia Faone, dei quali trascrivo quelli riguardanti il nostro tema: πουλύποδος πλεκτὴ δ᾽, ἂν πιλήσῃς κατὰ καιρόν,/ἑφθὴ τῆς ὀπτῆς, ἢν ᾖ μείζων, πολὺ κρείττων ((Il tentacolo del polpo, se l’hai battuto convenientemente, quando è alquanto grande, bollito è di gran lunga migliore che cotto sulla griglia).
Il capitolo 100 del libro VII contiene, alcuni frammenti, di vari autori, che hanno come tema il polpo. Quello che a noi interessa più direttamente è di una commedia (Dedalo), perduta, di Aristofane, il commediografo greco del V-IV secolo a. C.: πληγαἱ λέγονται πουλύπου πιλουμένου (si chiamano colpi di bastone del polpo battuto).
Nonostante l’assenza del contesto, vi si potrebbe ravvisare un riferimento, sia pure estremamente sintetico, a tal punto da assumere forse, nel secondo passo le sembianze di un proverbio, alla fase iniziale dell’arricciamento, che descriverò dettagliatamente alla fine.
Tuttavia, la battitura del polpo appare pratica consueta se in Aristotele (IV secolo a. C.), Historia animalium3, IX, 25 si legge: Τὸ μὲν οὖν πλεῖστον γένος τῶν πολυπόδων οὐ διετίζει· καὶ γὰρ φύσει συντηκτικόν ἐςτιν· σημεῖον δ᾽ ἐστίν, πιλούμενος γὰρ ἀφίησιν ἀεί τι καὶ τέλος ἀφανίζεται (La maggior parte della specie de polpi non vive più di un anno. E infatti per natura è soggetta a diventare molle; ne è segno infatti che quando il polpo è battuto si rammollisce sempre un po’ e infine diventa quasi invisibile).
Ne approfitto per ricordare, a proposito della grossa percentuale di acqua che entra nella costituzione del polpo, il proverbio Lu purpu si cucina cu ll’acqua sua stessa (Il polpo si cucina con la sua stessa acqua), usato anche in senso metaforico per dire che spesso chi ha torto non va corretto perché l’evolversi degli eventi lo farà ravvedere da solo. Connessa con la battitura, invece, è la locuzione Purpu male vattutu (Polpo battuto male) registrato dal gallipolino Emanuele Barba nel suo Proverbi e motti del dialetto gallipolino, Stefanelli, Gallipoli, 19024:
Anche qui lo slittamento metaforico nella sfera umana: come il polpo non battuto adeguatamente è duro, non gradito al gusto, così l’uomo non sufficientemente “domato” non è gradito al corretto vivere civile. Siccome non c’è due senza tre, ecco infine l’espressione, ove la metafora si colora di osceno, Nd’ha ffritti purpi! (Ne ha fritti polpi!), con cui si stigmatizza l’attivita amatoria piuttosto intensa di una donna con uomini diversi. Lascio immaginare cosa simboleggi il purpu e da dove nasce il fuoco della frittura. Non conosco locuzione che indichi metaforicamente la stessa cosa per l’universo maschile e il fenomeno mi lascia perplesso perché in passato, a differenza della donna, il numero elevato di conquiste era una nota di merito e non di disprezzo.
Per essere originale dopo il tre mi spingo fino al quattro, lasciando all’amico Massimo Vaglio il compito del commento: La morte ti lu purpu ggh’è la cipoddha (La morte del polpo è la cipolla).
Dopo questa parentesi dialettale con finale erotico-sociologico (!) e culinario, torniamo agli autori antichi.
Sempre sulla battitura e ancor più chiaramente, sia pur molto più avanti nel tempo rispetto agli autori citati prima, Zenobio (II secolo d. C.), Proverbi5, III, 24: Δὶς ἑπτὰ πληγαῖς πουλύπους πιλούμενος· ἐπὶ τῶν κολάσεως ἀξίων. Παρόσον ὁ πουλύπους θηρευθεὶς τύπτεται πολλάκις πρὸς τὸ πίων γενέσθαι (Il polpo battuto con quattordici colpi: per i degni di punizione, poiché il polpo catturato viene battuto ripetutamente affinché diventi gonfio).
Ho tradotto liberamente con gonfio il πίων originale che alla lettera può significare grasso, abbondante, ricco, opulento, fertile, perché mi pare evidente nel proverbio l’adattamento di significato all’aspetto finale del colpevole, reale o presunto, oggetto di pestaggio, tema molto di moda, insieme con quello della tortura, dopo la recente condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti umani per quanto avvenuto a Genova nel 2001 in occasione del G8.
Credo che il passo di Zenobio costituisca la tappa intermedia, certificata, del processo più o meno lungo che portò dalla semplice battitura all’arricciamento, che consta di quattro fasi:
1) sbattitura: il polpo, ripulito delle interiora che si trovano nella testa, e privato di occhi e becco che si trova in mezzo ai tentacoli,, viene ripetutamente scagliato su una superficie dura, preferibilmente gli stessi scogli, finché i tentacoli non si allungano.
2) battitura: il polpo, adagiato su una superficie dura e liscia, viene percosso con una paletta di legno; i tentacoli si allungano ancora e il loro colore rosso sparisce.
3) agitazione: il polpo viene agitato in acqua di mare e strofinato su una superfice liscia fino a quando i tentacoli non mostrano un iniziale arricciamento producendo schiuma.
4) cullatura: il polpo viene messo in un cestino piano o in una vaschetta di plastica e rotolato e cullato delicatamente finché non si chiude su se stesso a palla con i tentacoli ben arricciati.
Purtroppo non ho potuto controllare l’interessantissima notizia che si legge in Luigi Sada, La cucina pugliese, Newton Compton, Roma, 2012, s. p., riprodotta nel dettaglio che segue in formato immagine6:
Mi auguro solo che tale informazione sia stata trascritta con un rigore più elevato rispetto a quello che contraddistingue lo sciatto Plecté poliùpodos piléses (per vedere quanto lo sia, anche in rapporto all’identificazione della battitura con l’arricciatura, qui definita sicura, basta rivedere il testo originale che prima ho riportato) …
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1 Liquido nero simile a inchiostro che il polpo espelle in funzione difensiva. La voce è dal greco μελαίναν (leggi melàinan), accusativo femminile singolare con valore sostantivato dell’aggettivo μέλας/μέλαινα/μέλαν (leggi melas/mèlaina/melan)=nero . Per la serie Quando non si buttava via nulla: la sacca del nero, asportatqa col suo contenuto, veniva fritta.
2 I brani greci citati sono tratti dall’edizione a cura di G. Kaibel, Teubner, Stuttgart, 1887.
3 Il brano greco citato è tratto dall’edizione a cura di C. Tauchnit, Holtze, Lipsia, 1869.
4 Integralmente leggibile e scaricabile in https://archive.org/details/proverbiemottid01barbgoog.
5 Il brano greco citato è tratto da Corpus paroemiographorum Graecorum a cura di Leutsch e Schneidewin, Vandenhoeck e Ruprecht, Gottingen, 1839.
6 Tratto da https://books.google.it/books?id=VKGD3z27f_MC&pg=PT34&lpg=PT34&dq=%22polpo+rizzuto%22&source=bl&ots=Gyo1VyivCh&sig=m-FDDuwVCji_jg5TuezeVMEv3eY&hl=it&sa=X&ei=SRqRVbjOMcSyUYO8jeAB&ved=0CCgQ6AEwAQ#v=onepage&q=%22polpo%20rizzuto%22&f=false, dove il testo è parzialmente consultabile.
Non capisco niente di polipi e quindi mi astengo, in proposito da ogn commento. Ma vorrei invcece dirti che qui c’è un altro che la pensa esattamemte come te su quanto hai deto riferito alle cazzate (deleterie) della truppa europea e di quella nazionale e mi associo alla necessità che anche da noi si proceda, come in Grecia ad un referendum. Siamo già in due, speriamo di afre dei proseliti.
Caro Sergio, aspetta e spera …, tanto la prossima cazzata non tarderà: Il 9 p. v. l’UE discuterà una legge sulla cosiddetta “libertà di panorama”, per cui potrebbe essere richiesta un’autorizzazione (vedremo a chi e a che prezzo …) per scattare una foto ad un monumento pubblico in vista della sua condivisione sui social network. Tutto ciò per evitare l’eventuale sfruttamento commerciale della foto condivisa. Sarebbe interessante sapere, tanto per fare una sola riflessione, quante persone, mentre loro ingannano il tempo con questi giochini, hanno deciso di farla finita perché non più in grado di vivere una vita dignitosa.
Che imbecille che sono! La vita, quella degli altri anzitutto, poteva essere un valore fondante agli albori del sogno europeo. Poi, grazie a chi sappiamo, il sogno (che sarebbe potuto diventare realtà per tutti se, come al solito, agli iniziali meritori intenti non fossero seguite in astratto solo parole e in concreto provvedimenti in gran parte demenziali) è rimasto tale per pochi eletti (in entrambi i sensi …) ma è diventato un incubo per i più. Cosa infatti debbo pensare di fronte allo squallido spettacolo di chi si ostina a difendere l’indifendibile e non si rende conto che, come diceva Orazio, est modus in rebus? Le res sono quelle che sono, il modus, secondo me, è stato da tempo superato e non si può pretendere all’infinito, lo dice la storia, che ad inghiottire amaro siano sempre gli stessi, quelli che non hanno finora incontrato nessuno che paghi o “doni” “a loro insaputa”, come te e me.
mi consenta, egregio professore, di esprimermi alla maniera degli antichi: è un beneficio per molti di noi il Suo modo di fare CULTURA- Dio l’accompagni sempre-con cordiale stima -peppino
La ringrazio e spero sempre di essere all’altezza, magari pure mezza …
Caro Maestro, sempre interessanti e illuminanti i tuoi scritti e probabilmente le considerazioni richiestemi dopo tanta cultura alta risulteranno banali, ma ovviamente non posso ritrarmi nella tana come un polpo. Diciamo subito che il polpo per le sue aspre e marcate caratteristiche organolettiche, risulta certamente il più sapido sia fra tutti i cefalopodi ottopodi, nonché fra i cefalopodi decapodi a condizione che (come non pochi sconsiderati usano fare) non venga privato della pelle. Normalmente, il pesce e le creature marine in genere, come i funghi si sposano aromaticamente con l’aglio. Sono davvero poche le eccezioni, tra queste il polpo il cui gusto decisamente marcato, le sue chiamiamole pure, asprezze selvatiche, vengono arrotondate ed esaltate dal gusto dolciastro della cipolla. Dal detto popolare, si evince come il matrimonio fra il mollusco e il bulbo sia piuttosto datato, ma indubbiamente, ben riuscito!!!
Caro Massimo Chef, ti ringrazio per la preziosa integrazione, ma, come vedi, non perdo tempo a “vendicarmi” del “Maestro”, anche se ammetto che il tuo nome mi ha facilitato le cose …
[…] Il polpo arricciato […]