di Paolo Vincenti
Il profumo greve di tabacco si mischia all’aroma del caffè nella mattina dal sorriso aperto in verginale aspetto, quando balugina l’idea e la creazione prende forma sullo schermo del pc. La sua faccia si contorce in un lieve spasmo, mentre lo sforzo del parto tende i suoi nervi in un momento sospeso, che sarà fermo a jamais nel ricordo. L’aria carica di elettricità nella tensione del fiat, la luce del lampadario che tremola nell’istante supremo in cui l’idea risplende, ambigua, femminea, sensuale, plastica, lussureggiante, prima di esplodere e disperdersi in tanti rivoli. Ma egli questa volta l’ha colta, torrenziale, vorticosa, travolgente, impetuosa, e l’ha piegata nelle proprie mani fabbrili alla fiamma accesa dell’ingegno. Fulmen in clausola, stoccata finale, momento magico, calce viva ribollente, bilanciamento di fiele e miele, aprosdoketon, tinnire di campane a festa, exultet che dalla pergamena prende il volo per cieli salvifici e immensi.
Lo scrittore, in vestaglia da camera blu, ora si accende un’altra sigaretta e guarda ispirato fuori dalla finestra. Ai nuovi lucori del giorno, quello che si presenta ai suoi occhi poco prima sgranati in cauda venenum è uno spettacolo ancestrale di luce che Mater Matuta effonde sul mondo. E luce sia.
E la scrittura è un pensiero che marcia sempre, che cammina insieme da mattino fino a mezzogiorno e poi di nuovo da pomeriggio fino a sera. Un tarlo che non l’abbandona, un pungolo, un alibi, un’ipoteca sul futuro, il sale quotidiano, un grillo, un biglietto che gli ha impedito di spararsi una revolverata, una polizza sulla vita, al limite. Al limite di un giorno cremisi di ricordanze, di ansiti leggeri e rondini che svolazzano disordinatamente, c’è quel pianto sottile che attende al varco dei sogni, sul bordo del letto, al limitare di un ingresso che non attraversa due volte chi lo oltrepassa. Lo scrittore, mentre si prepara un altro caffè, guarda verghiano fuori dalla finestra.
Due nerboruti contadini portano a far riferrare il cavallo in una vicina mascalcia, ma intanto l’equino sgancia sulla strada i suoi maleodoranti bisogni che diverranno concime fertile di altre vite. Ciuffi di margherite ondeggiano nel grande campo screziato di giallo e di bianco che, al soffio dell’ostro, sembra quasi un mare fatato. Lontano, le ubertose colline e le valli in fiore festeggiano il giugno con un trionfo di odori e colori che sembrano inventati. Ora lo scrittore, dopo aver risposto al telefonino, si porta sull’altro lato dell’abitazione che si affaccia sul panorama di un orto concluso. Mentre bombiscono le api sulle ortensie e sugli agapanthus di cui gelose suggono il polline, ammira le insalatine e le patate, e già sente un languorino nello stomaco.
Più lontano dalla bassa cancellata del giardino partono dei sentieri di campagna, che si perdono nell’indefinito. Al poco vento, i cardi disperdono i loro semi e cicaleggianti contadine, appoggiate a grigie biciclette, invadono parlottando quei percorsi. Lo scrittore risponde ad un’altra chiamata e poi inforca gli occhiali borca lozzo che aveva posato su un tavolino e si rimette a lavorare sedendo allo scrittoio. Un uzzolo, un arabesco, un vagabondo pensée lo fanno di quando in quando rinterrogare su quali aeree aspirazioni, quale ghiribizzo, dalla sua terra di origine, al Nord, lo abbiano portato a trasferirsi nell’Ausonia, fra casette e stradine di campagna, veloci lucertole e muretti a secco, gente affabile e cordiale e ritmi di vita più lenti e umani. I raggi del sole riempiono la stanza e tutto brilla, come stillasse una pioggia di diamanti mandati dall’aldilà; il posacenere conta già dieci mozziconi e la tazzina è di nuovo piena di caffè. Il rincorrere dei pensieri tiene dietro al sentimento indifeso, fra provvidenziali resipiscenze e malvagie recrudescenze.
Lo scrittore guarda di nuovo fuori e il cielo d’Ausonia si riempie di presagi, segni dell’infinito, e il facitore compone l’opera armonica, come il ritocco del tempo, un avviso da oltre mondi, un incanto, uno scialo di luce, un portento. E su tutto questo, e su altro ancora, egli scrive.