di Paolo Vincenti
Chi ricorda il famoso spot della Levis degli anni Ottanta, saprà che l’autore di quella straordinaria canzone, “When a man loves a woman”, era Percy Sledge, scomparso da pochi giorni all’età di 74 anni. La canzone era del 1966 ma presto diventata un classico, evergreen. Così, chi ha letto il bellissimo libro “Memoria del fuoco”, ha appreso in questi giorni della scomparsa del suo autore, l’uruguayano Eduardo Galeano, che gli amanti del calcio conosceranno anche per un’altra famosa opera, “Splendori e miserie del gioco del calcio” del 1997. Ma perché scrivo queste note? Non mi appassionano i necrologi. Lo faccio solo per affermare, una volta di più, il grande valore della memoria. Nessuno può negare che Percy Sledge sia stato un grande cantante, nessuno che Galeano sia stato un enorme scrittore. In questi giorni è tornato di attualità il massacro degli Armeni compiuto dai Turchi nel 1915. Così nessuno può negare che quello sia stato un “genocidio”. Il genocidio degli Armeni, operato dall’esercito turco, è una triste pagina di storia del Novecento e si configura come una sorta di terribile preludio allo sterminio degli ebrei da parte dei nazisti. Nelle persecuzioni, persero la vita moltissimi poveri armeni, anche se le cifre esatte non sono conosciute e anzi sono materia di scontro fra gli studiosi. Fra la cifra di un milione e mezzo di cui parlano gli Armeni e i cinquecentomila dichiarati dal governo turco, la verità dovrebbe stare nel mezzo, dunque si potrebbe parlare di ottocentomila morti. La strage di questo popolo viene commemorata il 24 aprile.
In realtà gli Armeni erano perseguitati già dall’Impero ottomano nell’Ottocento. Ma nel periodo immediatamente precedente la Prima Guerra Mondiale, precisamente nell’aprile del 1915, iniziò una lenta ma decisa oppressione, prima nei confronti degli intellettuali armeni, che vennero deportati in Anatolia e massacrati, poi, la persecuzione si allargò a tutta la popolazione, da sempre mal tollerata dai Turchi. Vennero chiuse scuole, chiese, e i sacerdoti massacrati all’interno di esse. Si iniziarono così delle deportazioni, chiamate “marce della morte”, in cui persero la vita, per fame e stenti, o perché fucilati, una larga parte della popolazione armena. I soldati dell’esercito oppressore e principali responsabili delle fucilazioni, erano conosciuti come “Giovani Turchi”: essi avevano preso il potere nel 1909 ed erano giovani indipendentisti e rivoluzionari che contestavano il vecchio regime ottomano e che, sebbene liberali e costituzionali, finirono per essere sommersi dal caos che imperversava nella nazione in quella temperie storica e per macchiarsi anche di orrendi delitti. (Il fatto che un gruppo di dissidenti interni all’attuale Partito Democratico italiano abbia adottato questo nome, non fa certo onore alla stessa corrente di partito). Il governo turco non ha mai riconosciuto la responsabilità di quella strage ed essa è sempre stata una delle maggiori cause di tensione fra la Turchia e l’Europa. In particolare, la questione armena, oltre ad essere al centro di un lungo e infuocato dibattito politico e ideologico, ha portato molti europei, contrari all’ingresso della nazione turca nell’UE, a sostenere la tesi dell’incandidabilità. Bisogna dire infatti che pure gli studiosi si sono divisi in riferimento al genocidio. Gli storici turchi sono totalmente negazionisti, e addirittura ad Ankara viene punito con il carcere chiunque affermi l’esistenza del genocidio. Gli studiosi della comunità internazionale invece sostengono con forza l’atrocità e la programmatica persecuzione operata ai danni del popolo armeno. Recentemente il dibattito si è riacceso in occasione di alcune dichiarazioni del Papa Francesco I che ha parlato esplicitamente di “genocidio”. Il Papa ha sostenuto una inequivocabile verità, chiedendo di pregare per i tanti cristiani armeni trucidati. In occasione del centenario del massacro, questo fatto diventa di tutta evidenza. Le reazioni del governo turco sono state immediate e violente. Un durissimo attacco del Presidente Erdogan ha messo a repentaglio le relazioni internazionali fra il Vaticano e la Turchia. Ma l’uscita di Papa Francesco ha colpito nel segno, andando a toccare una ferita aperta, una piaga ancora purulenta. In questo Bergoglio è stato in continuità con il suo predecessore Giovanni Paolo II che pure parlò di genocidio quando, nel 2001, firmò una dichiarazione congiunta con il Patriarca Karekin II. I debiti con la storia vanno saldati e alla memoria riconosciuto il grande valore che essa ha per i popoli e per le generazioni avvenire. Le ritorsioni della Turchia non tarderanno e infatti Erdogan ha già dichiarato che saranno espulsi 100.000 armeni. “Ha ferito la nostra società”, ha affermato l’ambasciatore presso il Vaticano, Adnan Sezgin, costretto prontamente a tornare in patria; “un attacco vergognoso” lo ha definito Erdogan, “avverto il Papa di non ripetere questo errore, e lo condanno”. Lo sceriffo turco lancia l’anatema sul vicario di Pietro. Anche Antonio Gramsci l’11 marzo del 1916, su “Il Grido del popolo” dedicò un articolo al genocidio. Era, il suo, un monito affinchè quanto successo in Armenia non cadesse nell’oblio. “L’indifferenza è figlia dell’ignoranza”, dice Gramsci. Nei campi di sterminio, venne attuata una operazione di pulizia etnica, in quanto gli armeni erano considerati dei sovversivi poiché di religione cristiana e di etnia diversa, dunque difficilmente omologabili nello stato ottomano, a fatica “gestibili”. Il loro sterminio venne programmato dai Giovani Turchi con furore nazionalista. Nel loro progetto panturco, non vi poteva essere posto per culture e lingue diverse, quindi anche per i Greci e per i Curdi. Il massacro venne stabilito ed attuato con una mobilitazione massiccia dell’esercito e con i conseguenti delitti di torture, stupri, umiliazioni di ogni genere, islamizzazione forzata dei cristiani armeni e loro seppellimento nelle fosse comuni. L’obiettivo degli ottomani era la cancellazione della comunità armena come soggetto storico, culturale e soprattutto politico. I loro beni e le loro terre vennero sequestrate, le donne superstiti al massacro inviate negli harem e cancellata anche scientemente la loro memoria.
Il genocidio armeno fu riconosciuto, nel 1985, dalla sottocommissione dei diritti umani dell’Onu, e nel 1987 dal Parlamento europeo. I Paesi che riconoscono il genocidio sono 20, tra cui l’Italia, dopo una risoluzione votata dalla Camera nel novembre 2000. Una interessante posizione di mediazione fra le due tesi contrapposte è sostenuta sull’ “Internazionale” di aprile 2015 dal reporter Gwinne Dyer , il quale, sostenendo di aver esaminato moltissimi documenti, afferma che la verità non sta tutta da una parte o dall’altra. “L’impero ottomano” sostiene Dyer, “ nel novembre del 1914 era incautamente entrato nella prima guerra mondiale a fianco della Germania. L’esercito turco aveva marciato verso est per attaccare la Russia, allora alleata di Regno Unito e Francia. Quell’armata fu annientata in mezzo alla neve vicino alla città di Kars e i turchi furono presi dal panico. Per un errore strategico i russi non contrattaccarono subito, ma se avessero deciso di farlo ai turchi non sarebbe rimasto quasi niente per fermarli. I turchi si sforzarono di mettere insieme una qualche forma di linea difensiva, ma alle loro spalle, nell’Anatolia orientale, c’erano dei cristiani armeni che da qualche decennio stavano lottando per l’indipendenza dall’impero ottomano. Vari gruppi di rivoluzionari armeni avevano preso contatto con Mosca, offrendosi di provocare delle rivolte alle spalle dell’esercito turco nel momento in cui le truppe russe fossero arrivate in Anatolia. Quando ricevettero la notizia che l’esercito turco era in rotta, alcuni di loro pensarono che i russi stessero arrivando e agirono prima del tempo. Analogamente i rivoluzionari armeni del sud, vicino alla costa mediterranea, erano in contatto con il comando britannico in Egitto e avevano promesso di scatenare un’insurrezione in coincidenza con gli sbarchi britannici previsti nella costa meridionale della Turchia, vicino ad Adana. All’ultimo momento Londra decise di spostare l’invasione molto più a ovest, ma anche in questo caso alcuni rivoluzionari armeni non ricevettero il messaggio e scatenarono comunque la ribellione. Il governo turco andò nel panico. Se i russi fossero penetrati nell’Anatolia orientale, tutti i territori arabi dell’impero sarebbero stati tagliati fuori. Per questo ordinarono la deportazione di tutti gli armeni nell’est della Siria, attraverso le montagne, d’inverno e a piedi, dato che non c’era ancora una ferrovia. E poiché non c’erano soldati regolari disponibili, furono soprattutto le milizie curde a scortare gli armeni verso sud. Molti miliziani curdi approfittarono dell’occasione per violentare, rapinare e uccidere. La mancanza di cibo e il clima fecero il resto, provocando la morte di quasi la metà dei deportati. Per quanto non sia chiaro fino a che punto il governo turco fosse informato di questa tragedia, di certo non fece nulla per fermarla. Altri armeni morirono a causa del clima torrido e delle malattie nei campi in cui furono ammassati in Siria. Fu un genocidio commesso attraverso il panico, l’incompetenza e l’incuria deliberata, ma non può essere paragonato a quanto successe agli ebrei europei”.
Il Segretario dell’Onu Ban Ki Moon ha definito il massacro degli armeni “crimine atroce”, mentre il Presidente degli Stati Uniti Obama ha parlato prudentemente di “massacro” per non compromettere i delicati rapporti con lo stato turco. Ma un conto è la diplomazia e un conto la verità storica. La stampa mondiale non è d’accordo con Dyer e continua a parlare di “genocidio”.
In Turchia la situazione è davvero esplosiva. Fuori da ogni ipocrisia linguistica ed accomodamento,quella di Erdogan è una dittatura. I diritti umani sono spesso calpestati come Amnesty International denuncia da anni. Ci sono movimenti di protesta violenti, come quello dei nazionalisti curdi e inoltre una guerra non dichiarata con la Siria. Aggiungiamo l’annosa questione di Cipro che da tempo immemore divide la Turchia dalla Grecia sul possesso di quell’isola. Con tutto questo, e anche con altro, si vorrebbe far entrare Ankara nell’Ue, cioè un paese a libertà controllata, un regime, in un consesso democratico come l’Unione Europea. È un modo per tenerla a bada, qualcuno dice, per addomesticarla. Mah!
Sono tre milioni gli abitanti dell’Armenia ma questo popolo, quasi come quello ebreo, ha subito negli anni una enorme diaspora. Secondo le fonti ufficiali, gli armeni nel mondo sono circa 8,5 milioni, dei quali la maggiore concentrazione si trova in Russia e in Usa, con 1 milione in entrambi i paesi. In Italia, risiedono stabilmente 2000 armeni. Il silenzio a volte può essere davvero assordante. Io spero che, a cento anni dal massacro del popolo armeno, almeno nel nostro paese si possano debitamente ricordare quel sacrificio e commemorare le vittime. Cento anni di oblio sono davvero troppi. La ragione e la pietà umana dovrebbero andare al di là della fede religiosa e portare anche il governo turco a fare un mea culpa, chiudendo i conti con il passato. Del resto, basta ascoltare le musiche tradizionali armene, come a me è capitato qualche giorno fa attraverso la radio che commemorava l’olocausto, per commuoversi al suono del duduk, il tipico strumento musicale armeno, e della voce sgraziata ma toccante dei loro canti di dolore.