Copertino nella seconda metà del ‘900
Ricordi a volte tragici, a volte amari, a volte grotteschi
di Antonio Gala
Ascoltavo nel corso della mia infanzia il rombo assordante delle sirene, quando sotto il fuoco incrociato degli aerei angloamericani o tedeschi, scuotevano il nostro inconscio costringendo tutti, adulti o in tenera età, a trovare scampo nei rifugi o all’ombra dei nostri pergolati, ove riuscivamo, nonostante il rombo dei bombardamenti, a consumare gli avanzi delle nostre calde minestre, lasciate sul tavolo da pranzo delle nostre povere mense.
La città di Copertino, nel secondo dopoguerra, ha vissuto tutti i disagi legati alle problematiche della ricostruzione dalla fame e dalla povertà, ma soprattutto alle divisioni di una società, lacerata dai due conflitti mondiali che spesso si ripercuotevano anche all’interno delle famiglie. Piazza del Popolo era lo specchio delle idee che animavano i tre principali schieramenti; dagli altoparlanti posizionati nei punti cruciali del paese si scandivano i nomi dei protagonisti che si alternavano nelle piazze, quasi sempre affollate secondo gli orientamenti espressi dai partiti principali: le bandiere rosse sventolavano al nome di Pippi Calasso, il pioniere dell’antifascismo e dell’affrancamento del popolo salentino e regionale dalla povertà; l’onorevole Giuseppe Calasso affiancato dalla compagna e consorte Cristina Conchiglia che spese le sue energie per l’affrancamento delle tabacchine dallo sfruttamento e dalla servitù, per approdare poi al riconoscimento dei loro diritti, vilipesi e calpestati dai padroni, mentre il primo si prodigava per l’assegnazione delle terre dell’Arneo, incolte ed abbandonate nelle mani di feudatari che sfruttavano i contadini, in presenza di un vuoto sindacale che li proteggesse.
Che dire poi delle risposte legittimate da quello che accadeva in Russia, ove la dittatura social comunista mieteva vittime tra gli oppositori politici, risposte fatte proprie dallo Scudo Crociato, che con i vessilli bianchi alternava sul palco emeriti oratori, quali Codacci Pisanelli, l’attuale senatore a vita Urso o De Giuseppe, cui facevano seguito i copertinesi politici dott. Pando, dott. Ruberti, il prof. De Carlo.
Una ciliegina sulla torta piazzaiola ricomponeva le varie sfaccettature di diatribe e schiamazzi, che si sommavano in un quadro tragicomico quando entrava in scena l’onorevole Clemente Manco che insieme a Piero Sponziello attiravano l’attenzione pubblica con la loro bravura oratoria e competenza politica, il primo reduce della repubblica di Salò, ambedue poi militanti del M.S.I. di Giorgio Almirante.
Giovani universitari, di qualsiasi provenienza ideologica e di svariati settori professionali, accorrevano numerosi in piazza del popolo per ascoltare la verve oratoria dell’on. Manco, il quale ammaliava con la sua parola il pubblico, quando sotto il riflesso di quella lampada paonazza, come un globo fosforescente, che rendeva il suo viso come una figura spettrale, dal palco posizionato a lato del nostro amato Pascià, ricamava il suo discorso che non presentava una grinza di sgrammaticatura ed avviluppava destra e sinistra in un tiro a bersaglio, con la resa finale delle due parti sotto il fuoco incrociato delle sue invettive e della sua satira.
Era una fantasmagorica gara al diverbio, allo schiamazzo e agli insulti quella satira così forbita, che iniziando dall’elogio simpatico dell’oppositore politico, finiva poi col dileggio, definendolo come ciarlatano e parolaio, da cui derivavano tra i vari gruppi politici scorribande furibonde. Definire questa come allegria paesana, sarebbe forse riduttivo per chi è malato di nostalgia incurabile per un passato che definirei festaiolo rispetto ai tempi di oggi, in cui si è portato a perfezione l’istinto alla ribellione, divina (quella di satana contro Dio e le leggi divine), quella umana (con l’assassinio di Abele da parte di Caino), che ci ricorda le stragi dell’umanità, non ultima quelle dei campi di concentramento nazisti.
Sarebbe certamente bello rivedere, a proposito di Copertino nel secondo dopoguerra, il carretto con cui si vendeva la fortuna col pappagallo rinchiuso nella gabbietta, o i nostri nonni recarsi in campagna con l’asino e le bisacce, o lu “Sardone” raccogliere gli escrementi degli animali “lu rumatu” col carretto o ancora il cantiere de “li cazzapetre” pilotato dall’amico Totò Cimino, avaro di imprecazioni e parolacce , per la sistemazione delle strade dissestate e piene di pozzanghere.
Tempi felici quelli, quando i giovani si radunavano nell’oratorio di Don Rosario Trono, che ricordava il fondatore San Giovanni Bosco o nella Chiesa di San Giuseppe Patriarca, sotto la vigile e solerte presenza di Don Antonio Delle Donne; come non ricordare ancora Don Giuseppe Marulli, il custode delle memorie storiche copertinesi nella Basilica di Santa Maria ad Nives. Tempi felici, in cui i nostri ulivi secolari non avevano contratto il virus della xilella o non c’era la moria delle palme a causa del punteruolo rosso, ed un primario emerito come il Dott. Prof. Antonio Marcucci si salutava da questo mondo abbracciato alla madre natura, sotto un albero di fico o lu Cosiminu ‘Ttaccascope si portava nell’aldilà il ricordo dei suoi attrezzi con cui confezionava i suoi manufatti, che poi esponeva al mercatino, in piazza Castello.
Che dire poi del nostro asilo e delle suore dell’Istituto Moschettini, dei primi passi nella scuola elementare, con tanti bravi insegnanti, ligi alla cultura e rispettosi del nostro Tricolore e del Crocifisso, così vilipeso da alcuni docenti di oggi. A voi, cari miei predecessori, dedico questo mio componimento, con l’affetto che ancora mi porto nel cuore pi lu Ronzu ti li Scole e famiglia.