di Paolo Rausa
I miei riferimenti spazio-temporali, storico-artistici, ora hanno lasciato il tempo ad un altro elemento di orientamento: le mappe dove gli untori hanno lasciato il segno della sfida. Una croce rossa, una x, il simbolo della xylella, come la discesa di Carlo VIII in Italia. Solo che qui rischiano sul serio gli ulivi patriarcali. Ovviamente non sono tanto vecchi come quelli dell’Orto di Getsemani, luogo in cui si manifestò il tradimento di Giuda – tutto ritorna negli avvenimenti umani e divini! – ma questi ricordano l’alleanza dei messapi contro gli spartani di Taras, quando riuscirono a respingere l’invasore e a riconquistare la propria terra.
Motivi storici e nostalgici, che ben si possono riferire alla situazione attuale in cui versa il Salento. Incontro volti noti al presidio, dove ormai ci arrivo ad occhi chiusi. Qui è il mio cuore. La cronaca scorre via come se fosse dettata da dentro. Alessandro va in giro a farsi rilasciare interviste, punti di vista sulle prospettive e sulle speranze di questa lotta che da qui non si muove. E’ in questa contrada nelle campagne di Veglie, Sferracavalli, che il popolo degli ulivi ha posto il suo quartiere generale, il suo avamposto, luogo da cui il nemico-avversario teme possa essere ‘scatenato l’inferno’. Solo che qui di armi non se ne vedono!
E’ strana questa guerra che ti accoglie con i ritmi scatenati di Sergio, filosofo e chitarrista di fama, il pensiero che trova modo di esprimersi sulle corde di uno strumento musicale: folle e geniale insieme. Tania recita una sua poesia sull’oliva, tenta così di strappare l’attenzione alla melodia. Tende, gazebi, un teepe indiano come a ricongiungersi a quella vicenda dei pellerossa, alla lettera che Capriolo Zoppo nel 1854 scrisse al presidente degli Stati Uniti, Roosevelt Pierce, per rispondere alla richiesta di comprare la loro terra: ‘Tu, Grande Padre che stai a Washington, vuoi compare la terra, il cielo e l’aria ma questi non appartengono a noi ma tutti gli esseri viventi…’. Chissà se la capiranno questa lezione il Commissario Silletti, che a nome del governo conduce le giubbe blu, e tutti gli altri, politici e scienziati.
E poi tavole improvvisate imbandite di ogni ben di Dio, frutto della terra salentina e preparato dalle mani d’oro delle nostre donne. Oronzo, il più anziano, è pronto con un bicchiere di rosato, poi intravedo Giovanna, che è scesa finalmente dall’albero ma il suo ruolo non è meno importante perché si sincera affannosamente se tutto scorre bene. E poi tanti giovani, bambini che si fanno coinvolgere e poi travolgere dal ritmo della pizzica, che un gruppo intona sotto un albero di ulivo segnato da morte certa ma che per oggi vive.
Una festa, il modo migliore per rispondere ai piani di eradicazione. ‘Non siamo un popolo da colonizzare. Risponderemo colpo su colpo! – enfatizza Mimmo. Di fronte ai balli e ai canti si comprende come dalle lotte stia nascendo un nuovo Salento, consapevole della propria coscienza e deciso a difendere la propria terra e gli ulivi che ne sono espressione, la più antica, la più sacra.