di Armando Polito
Chi, fanatico del fai da te, non ha mai pensato di comprarsi un trabattello con l’intento, per esempio, di dare una rinfrescata ai muri di casa risparmiando un bella somma? Certo, ad usare un pennello e a diluire nel modo corretto la tintura non è necessaria una laurea, ma una certa esperienza è indispensabile per evitare di sprecarne di più su se stessi e sul pavimento che sui muri, a parte il rischio di capovolgere con una mossa maldestra il secchiello e, può succedere, l’intero trabattello. Per questo nella stragrande maggioranza dei casi, fallito ogni entusiastico e velleitario programma, questo attrezzo viene subito esiliato in garage; e lì il più delle volte è destinato a morire arrugginito. Ben altro destino ha, giustamente, questo attrezzo nelle mani dell’artigiano che lo utilizza per guadagnarsi il pane. Poi ci sono, soprattutto nel caso di restauri, le grandi impalcature che, in base a certi contratti dove poco conta l’avanzamento dei lavori, costituiscono da sole una vera e propria miniera d’oro, essendo prevista una remunerazione giornaliera fissa per il semplice fatto che sono state montate in un determinato luogo.
Trabattello nei dizionari etimologici è considerato dubitativamente diminutivo di trabatto, macchina costituita da due o tre setacci oscillanti di lamiera o rete metallica disposti in serie, usata per liberare le sementi dalle impurità.
Più chiaro, invece, è l’etimo del suo corrispondente dialettale salentino, l’andita. Sembra il femminile dell’italiano àndito, voce che designa in un edificio un luogo di passaggio o di disimpegno, un corridoio lungo e stretto; estensivamente e nel basso uso è sinonimo di bugigattolo, ripostiglio, sgabuzzino. Formalmente e semanticamente tutto quadra, ma sarebbe errato considerare la voce dialettale come dipendente da quella italiana. Entrambe, infatti, sono attestate nel latino medioevale. Ecco come sono trattati ANDITUS (da cui la voce italiana) e ANDITA (da cui quella dialettale) nel glossario del Du Cange (riporto i lemmi originali in formato immagine per fare più presto e per evitare errori di trascrizione; seguirà, come al solito, la mia traduzione):
ANDITUS o ANDITA. Per gli Italiani Andito, via, passaggio, piazza. Carta di Alfano arcivescovo salernitano presso Ughelli: Sulle piazze, e i passaggi e le sue vie. Aggiungi tomo 8 p. 76. 569. Carta di Roberto re di Sicilia anno 1321 presso Waddingum tomo 3 nel regesto p. 126: Le case o le botteghe … site nella città di Napoli nella piazza del porto, all’interno dei passaggi o della parte comune di attraversamento. Più in basso: Dentro la zone di attraversamento e il passaggio comune. Erroneamente vi è scritto Anditus. Avvertimento di Pandolfo IV principe di Capua presso Muratori tomo 2 p. 309: Con monti e colli, territori colti e incolti, vie e passaggi e sentieri, etc.
Se a qualcuno ora è venuta la tentazione di comprare o farsi prestare un’andita per eliminare spendendo pochissimo (e, tutt’al più, rilasciando ricevuta fiscale a se stesso …) quella maledetta macchia che campeggia in alto quasi al centro, irraggiungibile (se non con l’andita …), del soffitto, faccia attenzione alla sua solidità e stabilità, nonché al montaggio corretto. Se, infatti, i pezzi sono sottodimensionati oppure qualche incastro è difettoso e qualche eventuale bullone allentato, è inevitabile che l’andita diventi pericolosa perché prima llèttica1, poi ‘mbèrtica2 ….
* Ti l’àggiu titta cchiù ti nna fiata ca ddh’àndita ca t’hannu ‘ncuddhatu pi ppicchi euri prima llèttica e ppoi ‘mbèrtica (Te l’ho detto più di una volta che quel trabattello che ti hanno appioppato per pochi euro prima ondeggia e poi si ribalta).
Se la conseguenza è solo un tremendo spavento, per tornare a sorridere basta ascoltare Tu mi rubi l’andita di Andrea Baccassino …:
https://www.youtube.com/watch?v=_qAr_FSOnmE
In Piemontese, il “Trabat” è il setaccio per granaglie, o, anche estensivamente “donna di malaffare”, mentre quello che voi chiamate “àndita” qui è “trabial” o anche “strabial” forse (con te azzardarmi è sempre difficile) dal latino trabs, bis?
Altro che azzardo! Dico anzitutto che pure per me il vostro “trabial” sembra essere forma aggettivale da “trabs”=trave (componente essenziale, al pari del traliccio di sostegno, altrimenti dove vai?, di qualsiasi trabattello). Nel latino medioevale (Glossario del Du Cange) è attestato un “trabale” come “lignum, quod transit per rotas”. Se non basta, per spiegare quella “i” in più in “trabial”, lo stesso glossario registra un “trabea” (diverso dal classico “trabea”che indica un tipo di toga guarnito di strisce orizzontali di porpora, dettaglio, questo che, però, lo collega sempre a “trabs”) con la definizione di “porticus tecta”=portico coperto (senza nemmeno scomodare troppo la fantasia, che cos’è il il trabattello su cui siano state collocate due assi di passaggio?); da “tràbea” ad una forma aggettivale neutra “*trabeale”>”*trabiale”>trabial il passo è breve.
Dopo avere sistemato il “trabial” passo al “trabattello” per ribadire la mia perplessità nei confronti dell’etimo comunemente, anche se dubitativamente, proposto (il setaccio, anche pensando alla sua serie sovrapposta, mi pare assolutamente non congruente sul piano semantico), perplessità confermata dal vostro “trabat” anche nel suo significato estensivo (l’idea del battere o, comunque, del movimento del setaccio, metaforizzata nella donna di malaffare).
Per essere più chiaro: se “trabatto” deriva chiaramente da “tra- “(dal latino classico “trans”=attraverso)+”battere” (dal latino medioevale “bàttere” , a sua volta dal classico “battùere”), considerare “trabattello” suo diminutivo a questo punto mi sembra, più che dubbio, avventato. E proprio il tuo “trabs” mi fa ipotizzare un “trabatto” diverso da quello di prima (il setaccio, tanto per intenderci) che potrebbe essere composto dalla locuzione “trabe actum”=condotto per mezzo di una trave. E di questo, non dell’altro, sarebbe diminutivo il nostro “trabattello”.
Non appena avrò tempo mi lancerò sulle tracce di questo secondo, per ora ipotizzato, “trabatto” e, se lo troverò, sarai il primo a saperlo.