di Nicola Morrone
Ci siamo alzati alle 5 del mattino, pensando di arrivare al santuario tra i primi: siamo invece arrivati quasi per ultimi. Alle 6 la chiesa è gia’ affollata e in fondo alla navata il quadro tollera paziente le carezze dei fedeli, prima di essere portato in processione. Gli altri pellegrini giungono alla spicciolata: di fronte alla chiesa si intravedono già, ammucchiati, i loro rudimentali bordoni, caratterizzati dai segni secolari della devozione petrina (la canna, il ginepro, l’immagine di san Pietro).
Dentro la cappella procede la liturgia cantata, fuori è già una festa di volti, voci, colori. Arrivano i primi gruppi di fedeli che recano gli “altarini”, di squisita fattura artigianale. Nella paziente cura con cui sono stati confezionati, oltre che nel sacrificio con cui verranno trasportati, a spalla, per dieci lunghi chilometri, si esprime una devozione ancora fortemente radicata nei confronti del Principe degli Apostoli.
Questi gruppetti, stretti intorno alla loro macchina processionale, rappresentano l’altra faccia della socialità religiosa, quella spontanea, che ha deciso di organizzarsi per condividere, in maniera informale, questo importante momento di fede. Alle loro spalle, dietro lo stendardo e distinti dall’abito di pertinenza, procedono le confraternite, immagine della socialità religiosa istituzionale.
Nell’arcaico slancio emotivo dei primi e nell’ordinato procedere delle seconde si riassume buona parte della processione petrina, integrata naturalmente dai fedeli che procedono separatamente ai lati, e dal gruppo conclusivo, costituito dal clero, che si stringe intorno al quadro del Santo. All’altezza di C.da Piacentini si aggiungono infine i portatori di tronchi, coloro che hanno deciso di compiere lo sforzo penitenziale più grande e al tempo stesso più vistoso.
E’ una fatica non lieve: i portatori procedono a piccoli tratti, e la loro sosta è sottolineata dal tonfo greve dei tronchi, un “tunf” preceduto dal consueto “Ahi Maria!”.
Vivendo dall’interno questo momento collettivo di preghiera e penitenza, si comprende la specificità della processione petrina che, a dfferenza delle altre processioni manduriane, ha una struttura estremamente semplice, fortemente ripetitiva e cantilenante, “circolare”. Poichè essa è scandita nella quasi totalità del suo lungo percorso da un unico canto, quel “Dio ti salvi o Maria”, notissima preghiera semidialettale che la connota da tempo immemorabile.
Per noi, che l’abbiamo ascoltata l’ultima volta nella processione del 1989, cui partecipammo insieme all’indimenticabile padre Raffaele Bonaldo, risentirla ha costituito una grande emozione, come è stato per gli amici che ci hanno accompagnato durante il percorso e, crediamo, per tutti i partecipanti.
Nessuno era da solo nel compiere il lungo cammino di penitenza, da tutti effettuato in modo composto e lieto, con un occhio al tempo, clemente, e alla meravigliosa campagna circostante. All’arrivo nel paese i pellegrini ritrovano lo stesso mare di voci, suoni e colori lasciato a Bevagna, ma decuplicato.
Nei pressi della cappella della Pieta’ si rinnova il rito della “consegna” del quadro alle autorità cittadine. Poi San Pietro “andrà a trovare” la Madonna e San Gregorio e insieme saranno esposti nella Chiesa Matrice alla venerazione dei fedeli; tutto terminera’ con il rientro del quadro a Bevagna.Ce ne torniamo a casa rincuorati: nei momenti che contano, sappiamo ancora stare insieme.