di Armando Polito
Est modus in rebus, sunt certi denique fines/ultra quos citraque nequit consistere rectum.
Sono due esametri di Orazio, il celebre poeta latino di più di duemila anni fa, come non sa chi, invece, leggendo e pronunciando Ora zio, crede di avere a che fare con il titolo di qualche commedia all’italiana, a compensazione, per la par condicio di Grazie, zia!, il film con Lisa Gastoni, che fece scandalo e furore nella mia verde età …
La traduzione in italiano dei versi orazioni è la seguente: C’è un limite nelle cose, ci sono, insomma, confini precisi al di là ed al di qua dei quali non può esistere il retto.
Dopo aver precisato, sempre per chi aveva letto Ora zio, che retto non sta per la parte finale dell’intestino, mi permetto di violentare il testo oraziano sostituendo rectum con vita e risparmiando, questa volta, la traduzione per l’esemplare di lettore (?) precedentemente indicato, anche se c’è sempre il rischio che egli, confondendo vita con Vita, si metta a terrorizzare pure con la citazione qualche ragazza con questo nome che lo ha respinto …
In realtà la violenza fatta ad Orazio è un pretesto per rendere ancora più attuali, se fosse possibile, le parole del poeta latino, alla luce dell’eclatante e per nulla esaltante (ma non per tutti …) fenomeno della moria dei nostri ulivi.
Senza girare attorno all’argomento, senza se e senza ma, senza bizantini distinguo, senza sofistici espedienti formali e concettuali, pronuncio il nome del colpevole corredandolo del suo bravo attributo, come si conviene nei resoconti di cronaca nera: non imprevedibile calamità o casuale incidente ma, più semplicemente, bieco profitto.
Profitto di per sé è una bella parola, perché ogni nostra azione, da quando siamo comparsi sul pianeta, è stata strumentale all’acquisizione di un vantaggio. Se l’uomo, provando e riprovando, non avesse scoperto che una scheggia di selce gli consentiva di squartare più facilmente gli animali catturati o … di eliminare un rivale, noi oggi troveremmo, se non tenessimo conto delle ere geologiche e dei loro sommovimenti, tutte le rocce del mondo inutilizzate ed esattamente com’erano milioni di anni fa.
Quel provare e riprovare ha consentito lo sviluppo della civiltà e del progresso nelle forme che conosciamo. Il nostro imperdonabile e, secondo me, esiziale errore è stato quello di pensare che tutto ciò fosse inarrestabile, tanto meno rallentabile e, comunque, controllabile, e che il metodo sostanzialmente di rapina delle risorse naturali fosse corretto e senza conseguenze immediate per la nostra vita e, paradossalmente, per lo stesso progresso.
La stessa ricerca scientifica, che sul prova e riprova si basa, per volere del mercato e, dunque del profitto, ha subordinato il suo aspetto puro (la cosiddetta ricerca di base) al principio imperante del tutto e subito (la cosiddetta ricerca applicata) e, siccome bisogna recuperare con gli interessi quanto più presto è possibile le somme investite, sarebbe inimmaginabile per la legge del bieco profitto che qualsiasi prodotto (quello che volete: un conservante, un colorante, un diserbante …) venisse testato per un numero ragionevole di anni al fine di verificarne indesiderabili effetti collaterali.
Da quando poi la chimica ha preso piede i rischi che la natura reagisse al corpo estraneo sono aumentati in maniera esponenziale e, è risaputo, certe sostanze possono manifestare i loro effetti a distanza di decenni (non parliamo di quelle radioattive …). Una multinazionale creatrice di una nuova molecola può attendere tanto tempo prima di immetterla nel circuito commerciale? E se per un farmaco anticancro la trafila è abbastanza rigorosa prima del suo impiego clinico generalizzato, pretendete che lo stesso rispetto venga riservato, per esempio, a tutte le forme di vita presenti in un campo infestato dalla gramigna?
Siamo sicuri che tutto il nostro olio e tutto il nostro vino (parlo di quelli non sofisticati …), grazie ai quali faticosamente negli anni abbiamo acquisito il ruolo di protagonisti sul mercato mondiale del cibo, non presentino tracce di sostanze nocive per la salute passate dal terreno alla pianta, dalla pianta al frutto e da questo al prodotto finale?
E la pratica continuata per anni di usare i diserbanti per tenere pulito lo spazio sottostante gli ulivi e per velocizzare, di conseguenza, la raccolta del frutto non ha finito, fra l’altro, per trasformare la parte superficiale del terreno in una sorta di pellicola impermeabile avvelenata e velenosa?
Vorrei sbagliarmi ma vedo nella gran parte dei ricercatori di oggi dei geni (?) che giocano al piccolo chimico da una parte e, per quanto riguarda la biologia, dei geni (?) che giocano con i geni (stavolta senza punto interrogativo, perché mi riferisco a quelli delle cellule), per cui dobbiamo sorbirci, tra le altre amenità, l’impudica, sfacciata, ipocrita e criminale promessa che l’agricoltura transgenica risolverà il problema della fame nel mondo. E intanto si è già innescato, complice anche una legislazione in modo certamente non disinteressato compiacente, un processo sulla cui funesta irreversibilità non c’è stato un controllo serio, cioè scientificamente fondato (mica si può perdere tempo …).
Naturalmente, per chi ha fatto del bieco (come non definire così quello informato al metodo prima indicato?) profitto lo scopo della sua vita, l’allarme lanciato, e da tempo, dai naturalisti e da ricercatori indipendenti (razza in estinzione per fame, visto che anche quelli dipendenti non navigano certo nell’oro dei componenti del consiglio di amministrazione delle multinazionali al cui servizio hanno prostituito la loro intelligenza) è solo un assordante ed osceno stridere di gufi, come se la lenta morte del pianeta non riguardasse anche i loro figli (a meno che non abbiano già pronto il loro bunker di sopravvivenza …).
Mi sembra ingeneroso, poi, vista la commistione tra scienza, profitto e potere di cui ho parlato prima, mettere sotto accusa il comportamento degli agricoltori (il loro cervello è fino, ma quello degli scienziati, dicono, è un’altra cosa …) imputando loro l’abbandono di antiche tecniche certamente più rispettose dell’ambiente. Non si può pretendere che si mantenga eroe chi è stato inesorabilmente costretto a diventare vile per poter sopravvivere. E, per passare dai diserbanti ai pannelli solari, cosa si può rimproverare al contadino che per diecimila euro ha venduto il suo ettaro di terreno, dal quale non avrebbe potuto guadagnare tale somma nemmeno dopo venti anni di duro lavoro, all’affarista che tra qualche anno fruirà (lui sì …) del contributo statale per lo smaltimento del silicio, sempre che non gli convenga smantellare il tutto dopo che quel terreno è diventato, per opera e virtù di qualche spirito non (Mon)santo, suolo edificabile?
Per tornare ai nostri ulivi. Al di là delle conseguenze apocalittiche che gli interventi decisi provocherebbero sull’intero ecosistema (paradossalmente il rimedio proposto potrebbe essere stato, se non la causa principale, almeno una concausa del male), siamo veramente sicuri di poter impedire in questo modo la diffusione della malattia? E i cervelloni della comunità europea sono veramente sicuri che non si tratti di un’epidemia (pandemia mi pare esagerato) che, al pari di quella umana, dopo un periodo di picco si estingue naturalmente, anche perché nel frattempo alcuni soggetti son diventati immuni? E nel frattempo (senza gettare il bambino insieme con l’acqua sporca, cioè senza fare terra bruciata) non sarebbe il caso di intensificare gli studi in tal senso?
Sì, ma dovremmo farlo noi salentini. E chi potrebbe finanziare una ricerca indipendente (si spera che almeno quella statale in qualche misura lo sia) al fine di recuperare, per giunta in tempi lunghi, un profitto già da tempo precipitato e oggi annullato dalle sciagurate politiche di questi ultimi anni?
E, sebbene sia uno stupido sentimentale e anacronistico lodatore del tempo che fu, mi sono limitato a considerare solo l’aspetto economico dell’ulivo. Per il resto mi auguro che la nostra umanità recuperi in generale il senso dell’aldi là,dell’al di qua e del retto oraziani, e che non confidi, per quanto riguarda quest’ultimo, in quella sua trasposizione metonimica che si chiama culo, solo perché destinato al su…ccesso.
gent. prof. Polito non è anacronismo il suo: chi conosce e sa-( sà -mi passi l’accento, l’avrei scritto quanto il padreterno ).Abbiamo bisogno urgente di sconfiggere la superficialità,tanto, che la gente nostra ripete con amarezza:”nu ni qugghimu chiui “. con il bene di sempre, a Voi tutti peppino.
Buongiorno prof.Armando, in laboratorio la Multinazionale Monsanto Brasiliana ha creato il Virus Xyella per distruggere il Salento maggiore competitore Mondiale per l’originale olio d’oliva inserito anche nella dieta Mediterranea, ma non ce la faranno ad abbattere i secolari alberi i nostri Contadini si opporranno con tutte le forze, se riescono a piegare il Salento, poi passeranno alla Liguria, Veneto, Toscana ecc.. per commercializzare nel Mondo olio Cinese Indiano ecc.. di provenienza…… il loro progetto non deve passare noi siamo un esempio Planetario, forse dovremmo essere noi Salentini a cercare l’Antitodo?
buona salute a tutti
Ersilio Teifreto http://www.torinovoli.it