di Paolo Vincenti
“Ah, formidabile / Il tuo avvocato è proprio un asino /no, certe cose non si scrivono / che poi i giudici ne soffrono” . Parole d’amore scritte a macchina – Paolo Conte
Nel numero precedente parlavo di asini. In senso proprio e in senso figurato, nel senso degli animali e nel senso degli uomini. Dalla parte degli animali, sempre. Infatti, come si fa a non amare il simpatico ciuchino, non fosse altro che per solidarietà con la sua vita non certo facile, maltrattato e angariato come è sempre stato. Per quanto riguarda gli esseri umani poi, ce ne sono di simpatici e ce ne sono di detestabili. Ma non sarei coerente e credibile se non cominciassi da me medesimo. Il mio libro “NeroNotte. Romanza di amore e morte”, pubblicato qualche tempo fa, contiene un certo numero di svarioni, grammaticali intendo, che tacer non posso. A farmeli notare è stato il solito professore del tempo che fu, di quelli che oggi bisogna cercare col lanternino come faceva Diogene: un professore vecchio stampo, rigoroso quanto severo, che sulla forma giustamente non transige e al quale porto in visione il libro sempre troppo tardi (ossia quando è già pubblicato), per paura del suo implacabile giudizio. Ebbene, anzi purtroppo, di fronte a “un idiota” scritto con l’apostrofo, “sovrappensiero” scritto con una sola “p” e “orticarie” invece di “orticaria” (queste le perle collezionate da quello sciagurato mio libercolo), non ci sono scuse. Hai voglia ad attribuire la responsabilità alla tipografia oppure alla casa editrice, a dire che di vere case editrici non esistono qui nel Salento, con un comitato di lettura e un editor preparato che eviti all’autore certe figuracce. Hai voglia a chiamare in causa il titivillus, cioè il demonietto delle tipografie (Antonio Verri ci intitolò anche una rivista), quel folletto dispettoso che porta i refusi, oppure ancora dar la colpa al computer o alla trasmissione elettronica che fa sballare i dati. La firma sul libro è mia e mia la responsabilità di quegli strafalcioni. Asino io, dunque, prima e più di tutti. Pagato questo debito di onestà intellettuale, passiamo alla categoria degli asini pubblici, cioè dei personaggi famosi la cui asinità, a loro maggior danno, viene accentuata proprio dalla sovraesposizione mediatica: tanto più è in alto la posizione che occupano nella scala sociale, tanto più sarà fragorosa la caduta. Ma così va la vita (“O quam cito transit gloria mundi“).
Avevo proposto ai lettori di scegliere fra i tre personaggi più di spicco nella vita pubblica del 2014: Papa Francesco, Matteo Salvini e Matteo Renzi. Da un sondaggio molto poco professionale (non sono mica la Ghisleri!) condotto fra i lettori e gli amici, al primo posto assoluto è risultato essere Matteo Salvini. Il super arrabbiato esponente della Lega Nord, infatti, oltre a collezionare una serie incalcolabile di errori grammaticali, lessicali e di organizzazione delle frasi nei suoi interventi pubblici, dovuti forse alla foga con cui esala la propria vis polemica, ha conquistato il poco invidiabile record di politico che legge di meno nella media già sconfortante degli altri. Premesso che la nuova classe politica nazionale, se l’ attentato alla consecutio temporum fosse un reato, sarebbe già tutta agli arresti, Salvini ha innescato in mondovisione una polemica con Renzi proprio sui rispettivi livelli culturali. Nel suo intervento al Parlamento europeo,in occasione della chiusura del semestre di presidenza italiana, Matteo Renzi ha citato Dante Alighieri, esattamente il canto di Ulisse nell’Inferno. E subito cori di “buuu” si sono sollevati dalle file della Lega Nord. «Capisco che leggere più di due libri è difficile, per alcuni…» ha velenosamente osservato Renzi. E Salvini, di rimando, gli ha rinfacciato il fatto di poter leggere perché non avrebbe nulla da fare, mentre lui, novello Atlante che porta il mondo sulle spalle, sarebbe impegnato tutto il giorno a risolvere i problemi del paese. E come? Schizzando a velocità supersonica da una trasmissione televisiva all’altra, da mattina presto fino a notte inoltrata? Egli infatti è, fra i leaders politici, il più presente sui media. Ma per non farsi passare la mosca sotto il naso, il “celodurista” Salvini, che è pure collegato permanentemente in contemporanea su tutti social network del globo, ha inserito l’immagine dei due ultimi libri che avrebbe letto: “Sottomissione» di Michelle Houellebecq e «Mondo nuovo» di Aldous Huxley. Passi per Huxley ( ma il dubbio viene), ma come avrebbe potuto leggere il libro di Houellebecq (che immagina nell’immediato futuro una Francia conquistata dall’Islam con un presidente musulmano) che era appena stato quel giorno distribuito in Italia? Lettura veloce? “Ma mi facci il piacere!” . Il cappello con le orecchie d’asino dunque è super meritato dal Salvini nazional popolare. E a proposito di asinerie televisive, davanti al confronto, svoltosi qualche giorno fa nella trasmissione televisiva “Di Martedi”, fra Massimo Dalema e Marine Le Pen, ovvero l’astro decaduto della sinistra italiana e quello nascente della destra francese, chi, dico chi, non ha immediatamente pensato al noto detto popolare “l’asino dice al bue cornuto”? . Peccato che il siparietto sia durato molto poco perché poi la trasmissione condotta da Giovanni Floris è tornata ad occuparsi di politica interna e di corruzione e malaffare. Il somaro, inteso come equide, ci fa sbollentare la rabbia e ci riporta il sorriso (guardare in rete il filmato dell’asino che ride per credere). Nel film “Asini” con Claudio Bisio, la storia è ambientata in un collegio francescano dove si trovano ragazzi un po’ disagiati, asini a scuola, insieme ad asini veri, e dove il protagonista Bisio viene mandato a fare l’insegnante di ginnastica. Ma, come ho già scritto, ci sono somari e somari. Ci sono quelli simpatici, che ispirano affetto e tenerezza e ci sono quelli antipatici,pedanti: la carota ai primi, il basto ai secondi. E quelli simpatici possono decorare spillette, magliette e gadgets vari ed anche aiutare l’uomo multiproblematico. infatti esiste la onoterapia. Il ciuchino dunque sia la mascotte delle giornate più liete.
in “S/pagine”, 1 febbraio 2015