Nel fotti fotti…

ladri di biciclette

di Paolo Vincenti

 

“Italia si’ Italia no Italia gnamme, se famo du spaghi.  Italia sob Italia prot, la terra dei cachi. “ –  La terra dei cachi – Elio e le Storie Tese

“Paese di zucchero, terra di miele / Paese di terra di acqua e di grano / Paese di crescita in tempo reale / E piani urbanistici sotto al vulcano / Paese di ricchi e di esuberi / e tasse pagate dai poveri

Paese di banche, di treni di aerei di navi che esplodono / Ancora in cerca d’autore

Paese di uomini tutti d’un pezzo / Che tutti hanno un prezzo / e niente c’ha valore!”

Tempo reale – Francesco De Gregori

 

Capita di passare mattinate intere dietro alla burocrazia. La legislazione degli ultimi anni in materia di semplificazione amministrativa avrebbe dovuto rendere la vita più facile al cittadino, invece  l’ha complicata ulteriormente. Ci vuole una marca da bollo anche per andare al gabinetto.  “Chi siete? Cosa portate? Un fiorino!”.  Come fotografava bene, questa scena esilarante del film “Non ci resta che piangere”  (già il titolo era profetico), l’ottusità del burocrate tipo il quale, quando non è a casa per malattia o a donare il sangue, ti presta attenzione e si premura di evadere la tua pratica solo se gli allunghi una generosa mancia. Ma è l’Italia, bellezza, e il supermagistrato Cantone dovrà farsene una ragione (già uno che si occupi di lotta alla corruzione con l’accento napoletano è un ossimoro, vogliamo dirlo?). Certo, il politicamente corretto impone di non generalizzare, per rispetto nei confronti di quei dieci onesti su un milione di mariuoli, e noi allora, che siamo sensibili alle minoranze protette, non generalizziamo ( e viva la foca monaca!). Comunque nel fotti fotti endemico di questo paese, ognuno cerca di arrabattarsi come può. E  imbrogli, malaffare, raccomandazioni e bustarelle hanno talmente inquinato il sistema che uno non pensa nemmeno che ci potrebbe essere un’altra via, diciamo più trasparente, per ottenere le cose. Chiunque dà per scontato che ci si debba rivolgere all’amico, al compare, insomma al facilitatore di turno, per ottenere qualcosa che gli spetta di diritto,  e  la filosofia del “ tirare a campare” sembra connaturata al modus vivendi italiano. Un giorno della settimana scorsa,  mi trovo a Lecce per l’odioso quanto consueto disbrigo di pratiche amministrative. Quando è ormai mezzogiorno, dopo essermi sciroppato tre file in tre diversi uffici, mi accingo a scalare il quarto. “Scalare”, in senso letterale,  poiché in mancanza di ascensore, fermo per un guasto, devo percorre ben cinque piani a piedi. Lungo i gradini essudanti in un’umidità davvero mefitica che conferisce alla tromba delle scale un odore nauseabondo, penso che prima o poi mi trasferirò in Svizzera o in Germania, insomma in uno di quei climi freddi e secchi del nord che ti riconciliano con la vita. “Burocrazia” è un termine coniato nel Settecento dall’economista Vincent de Gurnay, (da “bureau”,  ufficio e “crazia”, potere). Giunto nella sala d’attesa dell’ufficio in questione, trovo a precedermi un gruppuscolo disassortito di varia umanità. C’è l’anziana signora che in un deliquio mistico impiega il tempo recitando preghiere a mezza  voce, il pensionato affetto da Parkinson che sfrega  furiosamente il braccio sul cappotto liso, lo pseudo intellettuale che legge un libercolo di cui non riesco a intravedere il titolo. Un giovane ciccio bombo col cappellino, che assomiglia a Chris, il figlio dei Griffin, solo che questo è  marezzato e allupato e non stacca gli occhi dalle gambe generosamente accavallate della “gnocca” di turno. E su tutti si staglia giunonica lei, la vamp, una bambolona dipinta e vanesia,  con minigonna e tacchi a spillo (come cavolo avrà fatto ad arrampicarsi sulle scale per cinque piani..) che ascolta il vaniloquio di un ruffiano  accompagnatore (capisco che i due sono insieme perché esibiscono un unico numerino), un giovinastro ben vestito e pettinato, che mi ricorderebbe un dandy fuori stagione se non ostentasse un atteggiamento alquanto effeminato. E ad una battuta di quello, la bambolona prorompe in una risata uterina. Tutti volgono lo sguardo nella direzione dei due e nell’espressione del cicisbeo si coglie un moto di imbarazzo per aver destato quella malvoluta attenzione. Un avventore esce dall’ufficio e subito il pensionato tremens  infila  il corridoio per prenderne il posto. Altri stami infecondi di esistenza vanno e vengono. Poi è  la volta della Circe col suo Ulisse all’acqua di rose, ma l’attesa per me è ancora lunga. Non ho l’abitudine di smanettare col telefonino se non il minimo necessario e dunque mi cerco qualcosa da leggere per poter ammazzare il tempo. Ma, a parte una copia spiegazzata  del Quotidiano di Lecce, che io ho già letto la mattina presto, sul tavolino malfermo della saletta giacciono, in ordine sparso: un “Oggi” vecchio di qualche mese, un “Vero”  ancora più vecchio, un “Di più” e una”Diva e donna” di cui non leggo la data. Ok, mi connetto col telefonino.  Apro e da  “Il Fatto Quotidiano on line”, su cui ho impostato da qualche tempo la mia home page, leggo che l’Italia è prima in Europa per corruzione, sopra la Bulgaria e la Grecia, dati 2014. La classifica, Corruption Perception Index, è stilata da una non meglio precisata  Transparency International, che riporta le valutazioni degli osservatori internazionali sul livello di corruzione di 175 paesi del mondo. L’indice 2014 colloca il nostro paese al 69esimo posto nella classifica mondiale, come negli anni precedenti.  La corruzione ammonterebbe a 60 miliardi di euro. Non so se questa cifra (riportata anche dal blog di Beppe Grillo) sia esatta. Infatti su “Corriere.it” c’è una secca smentita. Si tratta di una cifra inventata, dice il Corriere, che non si basa su dati scientifici tanto che anche il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, ne ha confermato l’infondatezza . Purtroppo questa curiosa storiella continua a circolare di bocca in bocca, o meglio di media in media, e finisce per essere accreditata come ufficiale.  Certo è che, se fosse vera, o anche verosimile, sarebbe una notizia stratosferica. Quante cose si potrebbero fare con 60 miliardi?  Quante opere pubbliche si potrebbero completare? Quante strade, quanti asili, quanta nuova edilizia popolare in quartieri meno degradati? E quanta ricerca scientifica si potrebbe finanziare  nella lotta a quelle malattie, come il cancro, che non hanno ancora una cura certa? Viene il mal di testa. Invece di migliorare i trasporti pubblici, eliminare le barriere architettoniche nelle città, creare servizi più efficienti, alcune migliaia di funzionari  e politici pensano ad ingrassare alle spalle dei milioni di pirla che invece tirano la carretta. E si dedicano ai loro loschi affari, alle piccole e grandi convenienze, alle scalate a banche e società di Stato. Intanto guardo il presunto intellettuale chino sul suo libercolo e penso che per avere successo dovrei scrivere dei libri per quel genere di persone che, quando leggono, muovono le labbra. Escono la vamp in minigonna e tacchi a spillo con accompagnatore, ed entra il ragazzotto simile a Crhis Griffin che lancia un’ultima infuocata occhiata alla signorina tutta curve.

Ad un certo punto, mentre credo di dover ancora attendere, odo una voce oltretombale che richiama la mia attenzione. La voce fa proprio il mio nome. Ma mi inganna la tromba di Eustachio o è reale? Nessuno mi aspettava, o almeno nessuno dovrebbe conoscermi  in questo posto. Percorro il corridoio e mi sento un po’ Fantozzi quando sale nell’ufficio all’ultimo piano del mega direttore galattico. Ad un certo punto, un viso conosciuto mi viene incontro. Un mio vecchio amico, che è diventato direttore di quel posto e, avendomi visto entrare, ha pensato bene di favorirmi mettendomi un impiegato a disposizione. Lassù qualcuno mi ama. Dopo i convenevoli di turno, mi infilo nell’ufficio indicatomi. Il depravato impiegato, che evidentemente non era al corrente della mia vista, spegne fulmineo  il pc su cui stava guardando un porno e si mette a mia disposizione. In breve, evado la pratica, ringrazio la mia buona stella  e mi affaccio all’ufficio del direttore per  un ultimo saluto. “Entra, entra” mi invita l’amico e io penso che aver usufruito di una corsia preferenziale è stato del tutto inutile. “Come va, come va?”, mi si rivolge mellifluo. Così ci aggiorniamo sulle rispettive vite privare. Mi dice di essere spostato anche lui ma separato, con due figli piccoli. “Mi dispiace” asserisco, “sono cose che capitano. È davvero preoccupante quanto sia aumentato il numero di separazioni e divorzi negli ultimi anni.” “Già”, fa quello con un’espressione trita e contrita. “Comunque io e la mia ex moglie manteniamo un rapporto civile, almeno fino a domenica scorsa”. “Perché, cosa è successo?” domando. “Sai, ci siamo riuniti per il pranzo. Ogni tanto lo facciamo, per amore dei figli”.  “Eh..” “ Solo che io ho avuto un lapsus freudiano e lei è montata su tutte le furie. Invece di dire <Carla passami il sale>,  ho detto < maledetta puttana mi hai rovinato la vita!>”.  “Urka!” strabilio. Si crea un silenzio di imbarazzo e, dopo un po’, quello inizia a digrignare i denti e quindi prorompe in una risata grassa “Ma sto scherzando, minchione, ahhhaahh.!. è una battuta, l’ho sentita ieri sera in televisione, a Zelig!” . “Ma vaffanculo!”.  Il silenzio si squaglia come cera che ci cola sulle teste. Avevo dimenticato, dopo averlo perso di vista per alcuni annetti, quanto questo amico  fosse un buontempone e un amante degli scherzi pesanti. “Con mia moglie andiamo d’amore d’accordo”, mi rassicura, “ ed è tutto ok!”  “Bene”.  Finalmente ci salutiamo e io mi metto in macchina per ritornare a casa. I dati sulla corruzione in Italia continuano a ballonzolare nella mia testa.  “Ladri, ladri, ladri!”,  una vocina  esce dai precordi ed ha la voce di Pannella.  È davvero una vergogna detenere un primato del genere. Quel che è peggio, ma non voglio fare vieta retorica, è che questo sistema continua ad alimentarsi da sé, come dire per partenogenesi, nella connivenza, collusione, compiacenza di molti, e nell’acquiescenza, nella supina accettazione di altri ( “si è sempre fatto così. Munnu era e munnu ete”).  È la mentalità della gente che dovrebbe cambiare. Ma si sa, tra il dire e il fare c’è di mezzo “e il”, come dicono Elio e le storie tese. Il paese dovrebbe cambiare con atti concreti, dal basso, non con pistolotti come rischia di apparire questo mio articolo. Così non si può continuare. Per dirla con Corrado Guzzanti , “per cambiare veramente le cose ci vogliono le idee. Io ci metto questa”.

 

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