di Nicola Morrone
FELLINE
Ricordato nella leggenda come “Castello vicino all’antica Manduria, distante dal Fiume tre miglia chiamato Fellini, oggi però i Castelli”, il villaggio rurale di Felline è storicamente esistito.Lo studioso E.Dimitri vi ha dedicato un interessante saggio[1], sostenendo che l’identificazione del sito in cui esso sorgeva presenta problemi di non facile soluzione, definendo la questione come un vero e proprio “ mistero archeologico”, meritevole di approfondimento. In realtà, al di là del cosiddetto “mistero”, esistono alcuni elementi storici, archeologici e topografici per ricostruire le origini della piccola comunità rurale. I primi elementi di chiarificazione sono forniti dal toponimo stesso. Alcuni storici locali sostengono che il toponimo derivi dal greco, e significhi “canneto” o “luogo paludoso”. Questa congettura ha permesso a qualcuno di credere che il villaggio sorgesse nei pressi del litorale manduriano, caratterizzata effettivamente, prima delle recenti bonifiche, da impaludamenti e da fitti canneti, alcuni dei quali ancora visibili. In realtà, il toponimo “Felline” deriva con ogni probabilità dal latino, ed ha tutt’altro significato. Come per l’altra Felline, quella ubicata in provincia di Lecce, il nome centro demico deriva da “figlinae”, con il significato di “luogo deputato alla produzione di ceramica”, caratterizzato dunque dalla presenza di fornaci per la produzione di manufatti fittili. Gli scavi del Prof. Cosimo Pagliara dell’Università di Lecce, effettuati nel 1967,hanno appunto appurato che a Felline (Le) il nucleo abitato si strutturò in epoca romana proprio intorno alle fornaci , finalizzate alla produzione di anfore per il commercio delle derrate alimentari rivenienti dallo sfruttamento del “latifundium” circostante. Anche nel piccolo villaggio di Felline presso Manduria, che dall’impianto delle fornaci prese il nome, vigeva la stessa dinamica economica, basata essenzialmente sull’agricoltura, sul pascolo, sulla caccia, e sull’industria fittile. Si trattava di un’economia diversificata, e, come accadeva negli altri “pagi” dell’Italia romana, le anfore prodotte servivano a inserire nella rete dei commerci il surplus della produzione agricola. Come vedremo, la posizione particolare del villaggio di Felline, a poca distanza dalla costa, facilitava queste operazioni di scambio. C’è poi il problema dell’esatta ubicazione del villaggio rurale. Non concordiamo, in questo senso, con quanto sostenuto dallo studioso R. Jurlaro, il quale afferma che il centro abitato di Felline era collocato “presso la costa , alle spalle di Torre Columena, là dove ancora resiste il toponimo rurale “Feddicchie”[2]. Tra “Felline” e “Feddicchie” non esiste probabilmente alcuna relazione, derivando il primo , come già detto , dal latino “figlinae”, ed il secondo quasi certamente dal latino “feliciae”. La contrada che attualmente prende il nome di “Feddicchie”, infatti , è indicata con l’appellativo di “ Fielici” in una vecchia carta topografica del sec. XVII, ora in proprietà privata. La maggior parte degli studiosi ritiene che il villaggio di Felline fosse ubicato , sin dalla sua fondazione nei pressi della collinetta de “Li Castelli”, sita a metà strada tra Manduria e il mare. In effetti, vi sono indizi significativi che il piccolo “pagus” romano si sia strutturato nei pressi della collinetta, in particolare alla base occidentale dell’altura. Tutta l’area della collinetta de “Li Castelli” presenta infatti tracce di prolungata frequentazione umana, dal Neolitico, all’età messapica, romana e medievale. Le ricognizioni di superficie hanno rilevato la presenza di materiale ceramico in riferimento a tutte le epoche segnalate[3]. Ed in effetti, dopo le originarie frequentazioni di sparuti nuclei di capannicoli, cui segui, in età storica, la colonizzazione della collina di Castelli ad opera dei Messapi, che vi fondarono una città anonima, in età romana sorse il villaggio di Felline, che recuperò certamente strutture abitative preesistenti. Felline era uno dei tanti “pagi” inserito all’interno di un più vasto “latifundium”, la cui proprietà era detenuta, come era tipico dell’Italia romana, da un ricco patrizio, forse un romano stabilitosi in provincia. E fu di certo il proprietario del “pagus” ad incentivare la realizzazione di quella industria figula che avrebbe contrassegnato il nome del borgo , distinguendolo dai villaggi vicini, caratterizzati da un’economia esclusivamente agricola. Il “pagus “ di Felline, che sorgeva nei pressi di una via di comunicazione (l’antichissimo tratturo Manduria-mare, oggi strada comunale Manduria-San Pietro) ed era collocato a non molta distanza dalla costa. Perciò, esso si poteva agevolmente inserire nella rete commerciale destinata a smaltire il surplus agricolo. Ciò che distingueva il villaggio era, come detto, la presenza delle “figlinae”, cioè delle fornaci per la cottura delle anfore. L’impresario dell’industria figula “era sempre un grande proprietario terriero, che impiantava la sede dell’opificio nelle sue terre (….) In genere gli affari erano appannaggio dei proprietari, i quali però spesso demandavano le incombenze ai loro schiavi o liberti capaci, dividendo gli utili”[4]. Spesso , il proprietario terriero si recava di persona nel luogo di produzione e controllava tutta l’attività. Non di rado, infine, il padrone, che spesso era anche “mercator”(mercante) deteneva una carica politica, la cui importanza era direttamente proporzionata al censo. I nomi di questi personaggi eminenti dell’Italia romana non ci sono tutti pervenuti. Ci è però pervenuto il nome del padrone del “pagus” di Felline, che si chiamava Fellone: su questo nome faremo alcune considerazioni.
[1] Cfr. Guida-Annuario di Manduria (1984-85), pp.69-78.
[2] Cfr. R. Jurlaro, San Pietro in Bevagna(TA). Il sacello e la chiesa altomedievale nel quadro dell’architettura salentina , in “Studi in memoria di Padre Adiuto Putignani” (Cassano Murge 1975), p.64.
[3] Cfr. R.Scionti – P.Tarentini, Emergenze e problemi archeologici. Manduria-Taranto-Heraclea (Manduria 1990), p.204 e ss.
[4] Cfr.V.A. Sirago, Puglia Antica (Bari 1999), p.305.