di Nicola Morrone
L’evento fondativo del cristianesimo nel Salento, come è noto, è fatto risalire dalla tradizione alla evangelizzazione delle nostre terra da parte dell’apostolo Pietro, svoltasi a partire dal 42-44 d.C., cioè nel periodo immediatamente successivo alla partenza del santo da Antiochia, prima chiesa cristiana d’Oriente da lui stesso istituita. Tutte le narrazioni riguardanti la presenza dell’apostolo in terra d’Italia, Salento compreso, costituiscono l’ampio corpus letterario noto come “tradizione petrina”: si tratta di una cospicua mole di racconti, considerati spesso leggendari, ma in cui è in realtà difficile distinguere il vero dal falso, anche in considerazione dell’epoca lontanissima in cui sono collocati i fatti narrati.
Le leggende costituiscono per definizione un misto di elementi autentici e fittizi, spesso strettamente intrecciati : occorre capire se al loro interno si cela un nucleo di verosimiglianza. In questo senso, ci pare utile richiamare l’assunto del Croce, il quale considerava le leggende alla stregua di documenti storici, e sosteneva che “il primo dovere è di rispettarle come documenti”[1]. Lo storico locale A.P. Coco, dal canto suo, sosteneva che “è vero che ci sono delle leggende ovvie, puerili, piene di anacronismi, per questo, però, c’è bisogno di molta circospezione e accortezza nel ritenerle, e anche nel rigettarle”(….) e che” tante volte si perviene finanche a scoprire il nucleo delle leggende, attestanti verità fondamentali”[2].
Con ogni probabilità, il racconto più avvincente che la tradizione ha consegnato ai manduriani, e di cui ogni concittadino, devoto e non, conosce le linee fondamentali , è la leggenda dello sbarco di San Pietro Apostolo sul lido di Bevagna nell’anno 44 D.C., a seguito di un naufragio indotto da un forte vento di scirocco. La leggenda racconta che egli avrebbe convertito al cristianesimo Fellone, il signore del vicino villaggio di Felline, permettendogli, dopo il battesimo avvenuto nelle acque del fiume Chidro, di guarire all’istante dalla lebbra che lo aveva colpito. In seguito, il santo avrebbe convertito, battezzato e guarito dalla malattia le genti vicine, fino a Oria e a tutto il Salento, per poi proseguire il suo viaggio fino a Roma.
La leggenda di Bevagna si inserisce nel più ampio problema storico dell’effettiva attività evangelizzatrice di San Pietro sul suolo pugliese, ancora dibattuto tra gli studiosi. In questo senso, si distinguono due posizioni: v’è chi sostiene che la tradizione petrina (di Bevagna, di Taranto, di Brindisi, ecc.) documentata da fonti altomedievali, “è da ritenere pur sempre leggendaria, perchè non è possibile desumere da queste narrazioni alcun dato storico certo”[3]. Altri ritengono , invece, che “quando esistono in una tradizione una serie di elementi concomitanti di natura storica e geografica che la possono rendere probabile almeno in parte , non è corretto continuare a ritenerla del tutto fabulosa e assurda (almeno fino a quando non saranno stati realizzati studi più approfonditi sull’argomento e sistematiche ricerche archeologiche) e annullare qualsiasi valore alla tradizione orale”[4].
Più di recente, si è sostenuto che “pur essendo una realtà inconfutabile l’inquietante silenzio delle fonti scritte nei primi secoli del cristianesimo, tuttavia, la Storia dovrebbe fare i conti con una così diffusa e radicata tradizione , vantata in maniera insistente anche nel tarantino e a Manduria”, e che , dunque, “torna utile, in tal senso, un atteggiamento di cauta sospensione del giudizio su questa vexata quaestio , non negare in maniera ottusa e non avallare con qualunquismo, in attesa che la voce dei secoli possa parlare, in un verso o nell’altro”[5]. Infine, non si può tacere l’autorevole parere di C.P. Thiede, il quale ha sottolineato che ”non è possibile scartare la possibilità geografica, pratica e storica di questa tradizione, anche se le sue più antiche tracce documentarie risalgono al Medioevo”[6].
Della “vexata questio” petrina ci siamo occupati per la prima volta in occasione della stesura della nostra tesi di laurea in Agiografia, discussa nel 2005 presso l’Università degli studi di Perugia , intitolata “La tradizione dello sbarco di San Pietro in Puglia. Aspetti e problemi”(Relatrice la chiar.ma Prof.ssa Giuliana Italiani). Dopo aver esaminato tutta la bibliografia prodotta fino ad allora sull’argomento, concludemmo che quella del passaggio dell’Apostolo in terra pugliese restava semplicemente un’ipotesi, che andava vagliata con attenzione. In realtà, ci eravamo convinti che sarebbe stato preferibile relegare la vicenda , per dirla con il Lenormant, “dans le domaine des fables”. Ma il desiderio di fare luce su una vicenda dai contorni ancora nebulosi rimaneva: le ricerche personali dell’ultimo decennio, condotte tenendo conto degli studi più aggiornati, ci portavano allora , inaspettatamente, a ribaltare il nostro vecchio convincimento, aprendoci uno scenario del tutto nuovo, che in questa sede vogliamo proporre al lettore.
[1] Cfr. B.Croce, Curiosità Storiche (Napoli 1919), p.159.
[2] Cfr. A.P. Coco, Francavilla Fontana nella luce della storia (Taranto 1941), p.69.
[3] Cfr. C. D’Angela, La chiesa di Taranto, vol.1 (Galatina 1977), p.30.
[4] Cfr. V. Farella, La cripta del Redentore di Taranto, in “Le aree omogenee della civiltà rupestre nell’ambito dell’impero bizantino: la Serbia” (Galatina 1979), p.231.
[5] Cfr. V. Musardo Talò, San Pietro in Bevagna. Un bene culturale da salvare (Manduria 2011), pp.11-12.
[6] Cfr. C.P. Thiede, Simon Pietro dalla Galilea a Roma (Milano 1999), pp.17-18.