La prima venne alla luce nel lontano 1904, l’ultima nel 1984
di Carlo Caggia
Galatina ha una tradizione di giornali satirici che conferma il carattere di questa popolazione allegra, spiritosa e talvolta caustica.
Non per niente i galatinesi sono conosciuti in provincia con il soprannome di “carzilarghi”, [“guance gonfie” (ndr)]. L’espressione è stata motivo di dotte disquisizioni sul suo significato, ma tutte inequivocabilmente confermano il carattere un po’ chiacchierone e guascone della popolazione.
Nel nostro archivio conserviamo due numeri di pubblicazioni satiriche che risalgono al 1904, intitolati “L’Ago”, stampato il 21 febbraio e (pronta risposta!) “Lo Spillone”, uscito solo quattro giorni dopo, cioè il 25 febbraio.
La lettura dei due giornali, per noi posteri, è difficile perché i personaggi presi di mira non hanno lasciato particolari tracce. Si può solo dire che erano tutti appartenenti al ceto alto della città (Mongiò, Tanza, Mezio, Congedo, Cadura ecc.) e molto spesso le rappresentazioni teatrali, con contorno di coriste e ballerine, fanno da sfondo.
Era, quindi, una satira circoscritta alla aristocrazia anche se, in concreto, non mancava quella popolare che aveva, però, la caratteristica della oralità e non aveva, naturalmente, l’”onore” della carta stampata.
Sia chiaro che, in questa sede, non trattiamo della satira in forma poetica, che ebbe le sue massime espressioni in Fedele Salacino (Cino da Porta Luce) e Nino Campanella (Pinna de Lindaneddhra).
Perciò dobbiamo fare un salto al 1940, in pieno periodo fascista, anno in cui si pubblicò un fascicolo satirico – “Le Vesciche e gli Spilli” – a cura del G.U.F. (Giovani Universitari Fascisti). Il compilatore fu Salvatore Ferrol, che poi sarà uno dei migliori docenti del Liceo classico “Colonna”.
Nella presentazione (non firmata ma redazionale) del numero si ha la riprova, ove ce ne fosse bisogno, che la “cultura” in cui vivevano questi giovani era a senso unico, prodotto naturale e logico di un regime che non permetteva termini di paragone, fonti diversi, dibattiti aperti. Erano giovani (absit iniura verbis) allevati “in batteria”, ideologicamente e culturalmente parlando, ed erano tutti in buona fede.
Dice il fascicolo: “(…) L’allestimento dei numeri unici rientra nel programma che la Segreteria del G.U.F. stabilisce per l’attività culturale. Oggi, più che mai, esso deve avere un aspetto sociale, risanatore, antiborghese. Se quest’ultimo termine (…) non da tutti è pienamente compreso non è cosa nostra (…)”, eccetera, eccetera. “Oggi, che si opera in profondità per incidere l’animo, lo spirito per creare l’individuo fascista, ognuno sappia che il G.U.F. seguendo gli ordini indefettibili del Duce, è in linea con questa lotta (…)”.
Come si vede la confusione è grande. I conati antiborghesi dei regimi totalitari (fascisti e nazisti) sono una congerie di Nietzsche, Sorel, Futurismo, Arditismo che sul piano effettivo rimangono velleitari e, di fatto, sconfitti.
Conclude la presentazione: “Numero unico, nostra cara creatura (…) tu ora va’, vedrai che il bravo ed intelligente pubblico galatinese saprà accoglierti con tutti gli onori, perché in te vedrà tutta la giovinezza, l’ardimento, la gioia della lotta ed il gusto della polemica: le armi con cui gli universitari fascisti combattono per vincere nel nome dell’Italia, come il Duce comanda”.
Il lungo viaggio attraverso il Fascismo, secondo la felice definizione di Ruggero Zangrandi, a proposito di questa generazione, tra qualche anno si concluderà, spesso tragicamente.
Nel dopoguerra, dal 1953 al 1984, vedono la luce numerosi giornali satirici, quali la “Cuccuvàscia” (1953), che poi si chiamerà “La Civetta”, organo dei giornalisti di Galatina che si pubblicava in occasione degli annuali, magnifici, “Veglioni della Stampa”.
Nel 1970 si pubblica “La Racchietta”, in occasione del Circolo Tennis.
Altri numeri sono legati alle festività di Natale, come ad esempio “Lu Presepiu” (1983) e “La Befana” (1984) o alle feste patronali di fine giugno, come ad esempio “La Taranta” (1971 e 1984).
Dopo, il silenzio.
(pubblicato su “Il filo di Aracne”)