di Armando Polito
Sembra che per uno strano destino Nord sia nella storia dell’Umanità simbolo di progresso e Sud di arretratezza, quasi il primo fosse una metafora del cielo in cui innalzarsi a spiccare fantastici voli e il secondo della terra con cui sporcarsi e, andando ancora più giù, dei suoi abissi infernali …
Questa contrapposizione, fra l’altro, coinvolge diversi livelli, spesso intersecantisi, tant’è che, si parla di Sud del mondo (in cui tra poco, continuando così, entrerà, in deroga pure alla geografia …, l’Italia) e di Sud d’Italia. Probabilmente, per quanto ci riguarda, Sud è bello resterà una pura affermazione di comodo ( ipocrita ed autoconsolatoria, alibi per l’immobilismo che ci contraddistingue prima di tutto nella stessa conoscenza e presa di coscienza della nostra bellezza), almeno fino a che non ci metteranno e, ancor più, se non ci metteremo nelle condizioni di riservare alla nostra terra (intesa in senso esclusivamente geologico) il rispetto dovuto ed alla nostra terra (intesa, questa volta, in senso culturale) la possibilità di esprimersi e valorizzarsi anche in senso economico.
La fuga dei nostri cervelli è un fenomeno antico e il personaggio di oggi ne è uno degli innumerevoli esempi. Sarebbe diventato quello che la storia registra se fosse rimasto, come già successo per il concittadino Giuseppe Battista1, a Grottaglie? Certamente no.
Comincio dalla biografia e me la cavo riportando, per fare più presto in formato immagine, quanto si legge in Comentari del canonico Giovanni Mario Crescimbeni custode d’Arcadia, intorno alla sua istoria della volgar poesia, Basegio, Venezia, 1730, v. IV, p. 2722:
integrandolo con Lorenzo Giustiniani, Memorie istoriche degli scrittori legali del Regno di Napoli, Stamperia Simoniana, Napoli, 1788, tomo III, pp. 64-653:
Da notare in questa seconda citazione che l’iniziale Grottaglie terra in provincia di Lecce fa il pari con il Terra di Grottaglie provincia di Lecce che ho già segnalato nel post su Giuseppe Battista.
Vivendo nell’odierna civiltà in cui anche il più insignificante di noi può lasciare con un selfi o altro testimonianza del suo più o meno inutile passaggio sul pianeta, come si può fare a meno di un’immagine e non approfittare della fortuna, non sempre riservata ai grandi del passato, che il ritratto del Pignatelli, carramba che sorpresa!, è qui?
È la tavola a corredo del primo tomo dell’edizione delle Consultationes canonicae uscita per i tipi di Gabriele & Samuele De Tournes a Lione nel 17184.
Da notare in basso al centro lo stemma della famiglia Pignatelli (d’oro a tre pignatte, le prime affrontate), una delle più antiche e potenti famiglie di origine napoletana. Credo che l’abbreviazione V. C. L. vada sciolta in V(IR) C(ANONICUS) L(ICIENSIS), alla lettera: illustre uomo canonico leccese. E Cryptaleis in Salentinis=Da Grottaglie tra i Salentini.
Il 7 aprile 1655 diventava papa, assumendo il nome di Alessandro VII, Fabio Chigi, appartenente ad una notissima e strapotente famiglia di banchieri. A chi volesse saperne di più sul suo conto, in particolare sul rapporto con Nardò, di cui era stato eletto vescovo nel 1635, segnalo: https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/03/02/alessandro-vii-un-papa-gia-vescovo-fantasma-di-nardo-e-il-suo-vice/, dove troverà anche alcune immagini che lo riguardano, e https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/05/14/non-ci-sono-alibi-2/.
Rientra nelle umane consuetudini (e forse debolezze …) che ogni avvenimento più o meno importante sia adeguatamente celebrato e al lettore di oggi, abituato a vedersi la casa invasa dagli amici e dalle amiche del figlio o della figlia per festeggiare pure la prima scorreggia del gatto o della gatta, credo non sarà difficile immaginare cosa succedeva all’elezione di un papa. Tra le varie espressioni di festeggiamento un posto certamente non secondario (anche perché verba volant, scripta manent) avevano i componimenti in cui si cimentavano i letterati dell’epoca. Per Alessandro VII ce ne fu un numero cospicuo scritto dai membri dell’Accademia dei Fantastici (della quale faceva parte il Pignatelli), che due mesi dopo trovò ospitalità in un volume5 di cui riporto il frontespizio.
Il volume, le cui pagine non sono numerate, contiene un sonetto del grottagliese, il cui testo riproduco in formato immagine con, di mio, a fronte la trascrizione e in calce qualche nota.
Non voglio nemmeno azzardarmi a giudicare se e quanto ci sia in questo sonetto di veramente sentito o ipocritamente convenzionale, mentre mi sarebbe troppo facile stigmatizzare il solito difetto (presente in tutte le religioni) dell’idea di un primato esclusivo in nome del quale da tutte le parti si continuano a commettere obbrobri di ogni tipo e la cui revisione proprio nel mondo cattolico ancora oggi deve registrare ostilità a questa o a quella apertura manifestata, addirittura, dallo stesso pontefice ….
Voglio solo ricordare al lettore, tornando al passato, che Alessandro VII improntò il suo pontificato al nepotismo e al temporalismo più spinti e voglio tenere in conto per Iacopo l’attenuante cronologica (cosa di diverso poteva augurarsi e augurare alla Chiesa e ad un papa appena eletto?).
Mi rendo conto che per la Chiesa la soluzione del conflitto di interessi è, forse, qualcosa di più complicato (proprio per la presenza della componente spirituale …) da gestire di quanto non lo sia quello che riguarda il potere politico ma non posso, integrando a modo mio il vecchio e sempre valido proverbio latino prima citato, che chiudere dicendo: verba volant, scripta manent, facta permanent testanturque (le parole volano, gli scritti restano, i fatti permangono e testimoniano).
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