Il mio logo immaginario per Nardò città d’arte

di Armando Polito

Alla retorica delle parole il nostro tempo, grazie anche alla tecnologia, ha accoppiato quella delle immagini, affidando alle une e/o alle altre il compito di veicolare un messaggio destinato a colpire l’immaginario di chi in quel messaggio, volontariamente, per caso o per altrui decisione, s’imbatte. Così la copertina di un libro, l’etichetta di un profumo o di una scatoletta di tonno diventano veste più importante del corpo, involucro più importante del contenuto. Succede anche per il logo e la cosa curiosa è che ben pochi sanno che logo è forma abbreviata di logotipo, composto dal primo segmento logo– [che è, guarda, guarda, dal greco λόγος (leggi logos)=parola] e dal secondo –tipo [che è, riguarda, riguarda, dal latino typum, a sua volta dal greco τύπος (legi tiùpos)=impronta]. Del logo, però, tutti riconoscono l’importanza, tant’è che anche le pubbliche amministrazioni da qualche tempo si danno da fare e al fine di promuovere il territorio vengono indetti referendum o bandi pubblici per la scelta, appunto, del logo. Non c’è nulla di riprovevole o scandaloso: la stessa fondazione per il cui blog sto scrivendo queste righe ha il suo e sarei uno stupido se sputassi proprio nel piatto in cui, come tanti altri, tento di saziare la mia voglia di conoscere. M’infurio, invece, quando, per un malinteso senso del prestigio, il singolo o, peggio, una collettività di propria iniziativa o, peggio, per induzione altrui, decide di esibire un’identità che non corrisponde a quella reale.

Per fare un esempio che più concreto non si può: l’amministrazione comunale di Nardò ha bandito un pubblico concorso  di idee per la creazione del marchio/logotipo e dell’immagine grafica coordinata per il brand “Nardò Città d’Arte” (bando-logo.pdf).

Se è vero che ogni popolazione ha il governo (di qualsiasi colore esso sia …) che si merita (e in questo per l’Italia vale il detto tutto il mondo è paese), io non mi scandalizzo se si pensa di educare il cittadino con un’operazione che l’opposizione (di qualsiasi colore essa sia …) non perderebbe l’occasione di definire a prescindere, come diceva quel gran genio (lui sì) di Totò, pubblicità ingannevole per il cittadino incivile (mai ossimoro fu più efficace …) che, magari fiero del logo, continua imperterrito a depositare per strada i suoi rifiuti, e per il visitatore civile che s’imbatte in quell’orrendo spettacolo, magari proprio ai piedi del cartello che pomposamente recita che la nostra è città d’arte.

Proprio perché voglio bene a Nardò e conservo ancora un minimo di rispetto per me stesso non invierò entro e non oltre venerdi 27 febbraio 2015 alle ore 12.00 la mia proposta. D’altra parte, dirà qualcuno, uno come te quale chance aveva di vedersi scelta la propria idea e di vincere il premio pari ad € 500,00 (cinquecento/00) lordi onnicomprensivi? Nessuna. Debbo aggiungere, però, che non trovo assolutamente interessanti i 500 euro, non perché siano pochi (a chi non farebbero, comunque, comodo? Solo per qualche ladro o evasore fiscale non rappresenterebbero nulla) ma perché un’iniziativa così nobile avrebbe dovuto far leva, secondo me, unicamente su pulsioni di natura spiritual-sentimentale. Nessuno si sarebbe fatto avanti? Bene, sarebbe stata la conferma che a quei cittadini simili a quello incivile di cui sopra di Nardò città d’arte non gliene fotte un cazzo e che la pubblicità ingannevole serve solo a far proliferare l’inciviltà.

Uno straccio di logo, comunque, sicuramente verrà fuori ed è già tanto se soldi pubblici non sono stati sperperati coinvolgendo nell’evocazione di valori nostrani personalità straniere, come è successo, solo per citare gli ultimi esempi, con Airan Berg per Lecce capitale della cultura e con Jannis Kounellis per La focara di Novoli.  Nell’attesa vi propongo il mio che avrei inviato se fossi stato un ipocrita. L’ho corredato pure della breve relazione descrittiva dell’idea progettata che indichi la tecnica, le caratteristiche dei materiali e spieghi gli intenti comunicativi e i processi logici seguiti nella elaborazione della strategia creativa sino alla formulazione della proposta.

Un rettangolo color marrone (evoca quello della terra; peccato che Emma è, sia pur di adozione, di Aradeo …) contiene un’ellisse, voce di origine greca che significa mancanza, con riferimento alla sua imperfezione rispetto al cerchio; qui simboleggia estensivamente l’imperfezione umana e restrittivamente quella dei Neretini: la modestia,anche quella falsa, fa più simpatia della presunzione … Nell’ellisse risulta allocato lo stemma della città (copia-incolla da wikipedia; forse ho sbagliato nel dirlo, ma ormai l’ho fatto …) affiancato dal motto, in latino, che occupa cinque linee e nell’insieme è un acrostico. Le cinque parole sono corredate dell’accento originale latino (nella speranza che chi legge lo rispetti …) e quello dell’ultima coincide con l’accento del nome della città. Il loro colore, poi, evoca, a parte il grigio che va sempre bene: l’azzurro le nostre marine, il rosso le glorie, ahimé trascorse, della squadra di calcio, il verde le nostre campagne (serve per camuffare la perdita della speranza …); il marrone, infine, ancora una volta, la terra, ma, a pensarci bene, anche una certa rottura …

Siccome ho voluto esagerare (le disgrazie non vengono mai da sole), come se non bastasse la genialità strutturale dell’impianto grafico (non so che significa, ma fa tanto effetto …), è venuto fuori un testo che letto sequenzialmente è pure un esametro, del quale di seguito vengono fornite scansione e traduzione:

Nērē|tum ārtĭfĭ|cūm || rā|rōrūm|dōnāns|ōrsă

Nardò che dona le conquiste di grandi artefici

Il verso condensa felicemente (se lo dico io che non ho interesse …) il ricordo del passato con la vocazione di farlo conoscere agli ospiti e valorizzare (come si fa, qualcuno mi chiede,  se non lo conosciamo noi?; alle domande idiote non rispondo …); da notare la polisemicità di orsa che alla lettera può significare cose iniziate (e non necessariamente ancora finite …), ma anche progetti, discorsi (parole, parole, parole …), poesie. Nessuno, insomma, alla resa dei conti potrebbe dire di essere stato ingannato se dovesse imbattersi in uno spettacolo simile a quello della vignetta con cui mi piace, esagerando appena appena, chiudere o quasi.

 

Il motto in latino (lo so, i più ne avrebbero gradito uno in inglese, mentre, addirittura, quel pazzo del sottoscritto ne aveva pensato inizialmente uno in dialetto neretino) ha la funzione, almeno nelle pie intenzioni, di generare un sentimento di curiosità e non di repulsione.

Per concludere: non mi illudo certamente che qualche componente della Commissione giudicatrice appositamente nominata, dopo aver letto, eventualmente, queste poche note, metterà in crisi se stesso prima e i colleghi giudici poi …

P.S. Nel motto c’è un probabile errore (altro ossimoro a suggellare i nostri limiti?). Dichiaro ufficialmente aperta la gara a chi lo individuerà per primo con le sue brave motivazioni. Il fortunato avrà come premio la citazione del suo nome su questo blog finché il web durerà. Amen.

 

 

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