di Pier Paolo Tarsi
Capita di incappare in certi libri (o in certi fatti, non importa) navigando intorno a una domanda. Poi, nelle varie circonvoluzioni in cui passano i mesi, e talvolta gli anni, può accadere che le correnti e tutto ciò che le determina e muove (esperienze, incontri, discorsi, il caso, o quello che si vuole insomma) ci portino di nuovo tra le stesse pagine (o gli stessi eventi, non importa), facendoci ritrovare quasi esattamente al punto di partenza, quasi, perché nulla si ripe…te veramente, nemmeno una volta. Ripassare da lì non è come passarci per la prima volta, e tornarci in futuro sarà ancora un po’ diverso. Nel nuovo passaggio, ci pare come se la comprensione della prima volta fosse rimasta acerba, non sbagliata, ma come stordita, immatura, parziale rispetto alla nuova. E in questa perfetta spirale, ripassando quasi sempre dalle stesse parti nel passare dei giorni, godiamo degli unici veri benefici che regala nel tempo ogni domanda inappagabile: ci vediamo acerbi in ciò che eravamo, e con ciò vediamo chiaramente che in futuro questo nostro comprendere attuale apparirà di nuovo e sempre acerbo. Tutto ciò continua solo però nella misura in cui non si ferma il nostro domandare, è solo quest’ultimo che ci permette di vedere acerbo domani quello che oggi si ritiene maturo. Navighiamo ogni giorno nello specchio delle stesse acque, finché continuiamo a guardarvi dentro, accettando il movimento, quelle rifletteranno a ogni nuovo tentativo un altro volto, quasi lo stesso di ieri, quasi. Quel quasi ci da la misura di una soddisfazione momentanea che deve invecchiare in fretta per non diventare ottusa fissazione, ignoranza del saccente: quella della peggior specie, quella che non si sa tale, quella a cui è esposto chi, giunto in cattedra, lì sta come un punto di arresta e non di nuove ripartenze.
Definizione, in forma poetico-filosofica, di ciò che dovrebbe essere chi fa ricerca per passione o professione e, nel suo piccolo, anche quotidiano, anonimo ed apparentemente banale, ciascuno di noi. Insomma, il “so di non sapere”, con l’aggiunta della parte sottintesa: “e so che non giungerò mai a sapere tutto di un solo scibile, ma non per questo rinuncio a saperne di più, senza minimamente esaltarmi del progresso, chissà pure se reale …, volta per volta raggiunto”.
Grazie per le tue parole Armando, che per me hanno quel valore che solo hanno le parole di chi riconosciamo fonte autorevole. Che ti piaccia o no. Pier Paolo