di Armando Polito
Non intendo qui stilare una piccola storia della gestione della prostituzione dalle origini (valle a trovare, almeno quelle verosimilmente definitive! …) fino al 20 febbraio 1958, data dell’entrata in vigore della legge Merlin che sanciva la chiusura delle cosiddette case di tolleranza (alias case d’appuntamento o case chiuse o casini o bordelli). La parola tolleranza tradiva, a mio avviso, una sorta di debolezza delle istituzioni nel rassegnarsi a considerare la prostituzione un male inestirpabile, anche se poi esse si impegnavano nella regolamentazione del fenomeno con ricadute senza dubbio positive, soprattutto sul piano sanitario (a patto, però che i controlli fossero seri e regolari …).
La targa mi ha incuriosito (sarebbe successo con qualsiasi altro oggetto …) per saperne di più su questa Madam Sitrì. Per soddisfare la sua curiosità, come ho fatto con la mia, segnalo al lettore il link http://www.comune.livorno.it/_cn_online/index.php?id=441, dove troverà anche il ritratto di questa famosa maitresse fatto tra il 1930 e il 1935 dall’artista livornese Renato Natali. Siccome m’immagino già la ressa, per evitare l’intasamento del sito riporto di seguito l’immagine in questione.
Capisco che il lettore si aspettava chissà che cosa, ma prima di continuare, in un attacco di deformazione professionale, non posso trascurare quel franella per flanella. È pur vero che l ed r sono entrambe due consonanti liquide, ma, siccome non credo che franella sia voce di un verbo franellare quasi diminutivo di franare (per cui il messaggio sarebbe valso , anche pubblicitariamente, come garanzia, grazie all’avvenenza delle ragazze, da qualsiasi pericolo di brutta figura da parte del cliente …), debbo dire che l’espressione corretta è (anzi era …) fare flanella, locuzione gergale per intrattenersi nel casino senza richiedere alcuna prestazione.1
Con l’avvento delle legge Merlin le case (quelle controllate dalle istituzioni …) sparirono ma la tolleranza rimase anche nei confronti della prostituzione esercitata a cielo aperto. Insomma anche in questo campo è successo qualcosa di tipicamente italiano e c’è da rimpiangere perfino il gattopardesco (tra gattopardi e giaguari da smacchiare siamo messi proprio bene …) perché qui le cose non sono cambiate perché tutto restasse come prima ma perché la situazione diventasse peggiore della precedente. Stessa fine ha fatto la pur sacrosanta legge Basaglia, che pure, sulla carta, prevedeva la costruzione di una adeguata rete assistenziale per gli sfortunati che fino ad allora (?) avevano subito un trattamento da lager nazista o quasi. L’elenco a riprova dell’inadeguatezza del legislatore, cioè del politico, non in grado di prevedere le conseguenze pressoché inevitabili o di rendere veramente operativo un provvedimento, sarebbe lunghissimo e, passo perciò, ad altro.
Scomparsi, almeno giuridicamente, i casini controllati dallo stato, la parola casino è sopravvissuta nel suo significato metaforico di confusione, disordine, che tradisce, comunque, un giudizio morale negativo su un ambiente che, tuttavia, non credo fosse contraddistinto dalla confusione e dal disordine, improntato com’era, ad una struttura gerarchica che, per definizione, è basata, male che vada, sul rispetto della forma (che poi ciò rappresenti una garanzia per la bontà del contenuto è tutto da dimostrare). Si è conservato, invece, il suo gemello col significato di villino signorile utilizzato specialmente per battute di caccia o di pesca ma per la serie il male trionfa, il casino1 (villino) è stato surclassato nell’uso dal casino2 (confusione).
Se oggi l’uso di casino per confusione gode di una disinvoltura che è forse frutto, nei più giovani, di ignoranza, non sempre è stato così. Fino a pochi decenni fa essa faceva parte dell’elenco delle parole, per così dire, proibite e che tassativamente non potevano essere usate in presenza di giovanissimi. Io, per esempio, non ho mai sentito pronunziare tale parola, nel senso letterale e metaforico, neppure una volta dai miei nonni e dai miei genitori e l’unico casino messo in campo era il villino di campagna.
E, allora, si chiederà qualche giovane stranamente curioso …, quale voce dialettale veniva usata come sinonimo di confusione, chiasso, fracasso? Si usava fraùme.
Fraùme che assumeva pure il significato (che, come tra poco vedremo, è quello nativo) di miscuglio di residui, ammasso disordinato di oggetti. Segue l’esempio eloquente dello stato della mia scrivania mentre battevo queste righe; però, dopo il passaggio di mia moglie (cui appartiene pure la voce fuoricampo della vignetta precedente) per “mettere ordine”, ho dovuto perdere un quarto d’ora solo per ritrovare il monitor …
Fraùme nel vocabolario del Rholfs è registrato senza alcuna proposta etimologica ma con un semplice rinvio a fracàme (usato ad Otranto col significato di miscuglio di piccoli pesci, fragaglia); da qui, in un loop senza fine, c’è il rinvio a fraùme. Probabilmente il maestro ha ritenuto sufficiente il fragaglia perché il lettore giungesse all’etimo di fraùme. Ma cosa sarebbe costato in termini di spazio e di precisione, pur sottintendendo che fragaglia deriva dal latino fràngere=fare a pezzi, scrivere che fraùme è dal latino medioevale fragùmen=fragore, strepito (dalla radice frag– di fràngere). attestato nel glossario del Du Cange, dal quale riproduco di seguito il relativo lemma, al quale ho aggiunto, come al solito, la mia traduzione a fronte?2
Mi pare abbastanza evidente che in fragaglia si è conservato il significato originario di fràngere, cioè fare a pezzi, mentre in fragore, fracasso (in quest’ultimo c’è stato l’incrocio con sconquasso) l’effetto (il rumore) ha finito per prevalere sulla causa (il fare a pezzi). Nel nostro fraùme, infine, come s’è detto, sopravvivono il significato originario e quello traslato. Da notare da un punto di vista fonetico, rispetto a fragùmen, la lenizione, fino alla scomparsa, di –g-, fenomeno che ricorre pure, per fare solo qualche esempio, nei leccesi leùme (da legùmen)=legume e lèune=legna (da ligna) e, per quest’ultimo, in modo meno lineare, nel neretino lliòne.
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1 Flanella non ha nulla a che fare col tessuto (che è dal francese flanelle, deformazione dell’inglese flanen, a sua volta dal gallese gwalen=sorta di vestito di lana); l’intera locuzione è dal francese faire flanelle, in cui flanelle è connesso con flâner=bighellonare.
2 Non è per esagerare nel senso opposto ma per dare un’idea al lettore delle potenzialità, fino a qualche anno fa impensabili, di conoscenza e controllo che la rete offre, riporto il dettaglio della citazione del Du Cange da https://books.google.it/books?id=01hEAAAAcAAJ&printsec=frontcover&dq=editions:afFbL3NS64UC&hl=it&sa=X&ei=dVmlVKLeJcaAUeP8gcAL&ved=0CCgQ6AEwAQ#v=onepage&q&f=false, dove il lettore potrà prendere visione dell’intero volume (si tratta di un’edizione del 1721) e, se lo desidera, scaricarlo.
Anche questa volta siamo parenti, con “Fraùme” perchè anche in piemontese abbiamo il verbo “flané” che sicuramente ci viene dai cugini francesi e che significa: ” Oziare, bighellonare” e “Fé flanela” “Fare il giro delle case di tolleranza snza avere rapporti con le prostitute”. Ma c’è ancora un altro modo di dire: “Lassé na fija a fé flanela” che significa “Piantare in asso una rgazza (specie in una sala da ballo)”.
Coincidenza ha voluto che anche “fare tappezzeria” assumesse un significato simile a quello dell’ultima locuzione …
_ fraume _ ha in se l’onomatopoeìa (intraducibile)si: è la bellezza della Vostra Fondazione che illumina il presente con il passato, attraversato dallo spolvero degli arcaismi salentini che palesano la costumanza lessicale di un modo e un mondo particolari .Fraume ,può essere inteso come un miscuglio di suoni e rumori -ma….ironicamente.Da noi salentini, palesa invece, l’incomprensibile ammucchiamento di cose diverse, indecifrabili ,non chiare all’esame visivo: altro poi ,è il canto parlato dei banditori .con stima a Voi tutti ,peppino martina
sinceramente non so spiegarmi la risposta del Sig.Armando Polito .peppino martina.
Sig. Martina, lei avrebbe perfettamente ragione a considerare la mia risposta come frutto di momentanea o stabile pazzia o di ubriachezza se essa si fosse riferita al suo commento e non a quello precedente del sig. Sergio Notario, come d’altra parte mostrano chiaramente data e orari. Al di là di questo, condivido perfettamente le sue osservazioni del primo commento (quando questo succede non replico ma tacitamente ringrazio) e, concludendo che non è successo nulla di spiacevole o disdicevole, la saluto cordialmente.
mi scuso-mi scuso -sono un neofita dei meccanismi e,sono stato ripreso da amici e da mio figlio :ho sbagliato ,ma , certo e grato per la Sua affabilità la saluto e ringrazio di cuore .