di Elio Ria
Aria sperduta dal sapore di triste elemosina per un’offerta di vanità che nessuno raccoglie: è primavera arida, in poveri ritornelli che passano e ripassano come passeri infreddoliti, oggi, con il cielo aperto che nessuno ascolta. La tristezza è sulle pagine di un libro vecchio che singhiozza – una seconda volta – in un pianto di solitudine. Gennaio è già fanciullo poverello, incontentato, neanche uno scialle di ghirlande e aranci a coprire le sue guance rosse: abbondanza di affanno per il ritorno della grande sorella Speranza. Mentre lo zio giugno, virtuoso e ricco di grano, tarderà a mostrarsi con il fascio di musica di pane. Il fratello settembre, dabbene e mite, respinge gli assalti di inutili e sovrabbondanti sogni di un bimbo. Una gazza scende dall’albero d’ippocastano a specchiarsi in una pozzanghera d’acqua nell’attesa di un lauto pasto, in un giorno di pioggia contadina che si ostina a dirci che la vita è bella e buona.
Il vento è rauco ma pungente, sonnolento a un sole opulento, tra nuova gente, nuove tristezze, senza dolcezze. Le insensibili nubi che in chiaro cielo si azzuffano non declinano il migliore tempo; dicono addio ai gabbiani che dal nido si avventurano ad acciuffare cibo per le acque gelide – quiete marina di destino. Un passero in compagnia di un compagno massacrato volge il becco alla terra per un chicco di notte buona.
Batte il freddo il grigio gennaio fra i roventi muri di ghiacciai degli orti e dei borghi, spiando formiche prudenti nelle loro case di terra – che ora di rompono ed ora si ricompongono in file di perseveranza, affinché il sole che abbaglia mostri il proprio travaglio senza bavaglio di meraviglia nell’ora in cui il falco alto levato schiuderà la divina Indifferenza.
Quando è impossibile incanalare in una prosa la sovrabbondanza della poesia e le contraddizioni di un animo sensibilissimo agli stimoli del mondo intorno.