di Armando Polito
Il capro espiatorio era in origine un povero animale innocente destinato a placare con il sacrificio della sua vita, voluto dall’uomo, la furia degli dei per colpe, tanto per cambiare, non sue ma umane. Poi la locuzione assunse il significato metaforico e generico di vittima, anche umana, destinata a pagare, non necessariamente con la morte, per le colpe altrui. Così, giusto per fare qualche esempio, pare che Agamennone un giorno si fosse vantato di aver abbattuto una cerva con una freccia scagliata da lunga distanza esagerando nel dire: – Quanto sono bravo, nemmeno Artemide ci sarebbe riuscita! -. Il condottiero sarà stato pure coraggioso, forte e intelligente ma in quella circostanza l’aveva fatta veramente grossa dimenticando che la cerva era l’animale sacro proprio ad Artemide. E la dea non tardò a vendicarsi scatenando venti tanto forti (secondo un’altra versione del mito l’impedimento venne provocato da una prolungata bonaccia) da sconsigliare la partenza della spedizione per Troia. L’indovino Calcante fece sapere che Artemide per risarcimento pretendeva il sacrificio di Ifigenia, la figlia più giovane e bella (le altre saranno state delle cozze?) di Agamennone. Dopo vari rifiuti da parte del condottiero greco (amore di padre o strategia dilatoria?) fu la stessa Ifigenia ad offrirsi, ma al momento del sacrificio la ragazza scomparve e al suo posto Artemide fece comparire una cerva. L’avventura o la sventura (?) di Ifigenia così come l’ho sintetizzata (ma depurata delle incrostazioni ironiche …) sarà immortalata all’inizio del V secolo da Eschilo in Ifigenia in Aulide e da Euripide in Ifigenia in Tauride, dove, però, il topos della morte apparente ci fa sapere che Ifigenia vive come sacerdotessa di Artemide, anche se condannata (nessuno, nemmeno una dea dà niente per niente …) ad eseguire il sacrificio rituale di ogni straniero che fosse sbarcato in Tauride. A parte la sottile e discutibile apparente generosità della dea, c’è da dire che a distanza di millenni lo scambio donna-animale (preferibilmente tigre) o viceversa diventerà un classico negli spettacoli degli illusionisti …
E come non ricordare il racconto biblico di Abramo la cui obbedienza Dio mette alla prova chiedendogli il sacrificio di Isacco? Anche qui non manca il lieto fine con una divinità ancor più generosa della pagana Artemide, perché non solo esonera Abramo dal sacrificio ma lo gratifica pure della sua benedizione senza riserve o condizioni.
Cosa dire, poi, dei popoli come gli Aztechi e i Maya (ma il fenomeno riguarda pure Cartagine e Roma), presso i quali il sacrificio umano era abbastanza diffuso?
Oggi tale pratica probabilmente non sopravviverebbe neppure presso qualche sconosciuta popolazione della foresta amazzonica (pure questa ormai ridotta agli sgoccioli …) e, comunque, sarebbe molto più rispettabile di quel fenomeno dilagante in quella giungla inestricabile che si chiama corruzione, perché almeno agirebbe alla luce del sole e non attraverso la pratica occulta della tangente e, a voler essere cinici, il numero di morti sarebbe irrilevante rispetto a quello provocato dalla scarsa qualità dei servizi (in primis quello sanitario), a sua volta provocata non dall’esiguità dei fondi ma dalle ruberie di ogni tipo, favorite, a loro volta, dalla natura politica e non meritocratica di certe nomine …
I sacrifici umani continuano, ma se in passato il sacrificio, indotto, soprattutto quand’era, per così dire, pubblico, prevalentemente da esigenze di natura economico-militare, era destinato a questo o a quel dio, oggi il beneficiario è questo o quell’individuo e l’unico dio ispiratore, destinato a restare occulto finché qualche sacerdote-magistrato non gli accende, certamente non per devozione, una lampada, è il dio-denaro.
A questo punto il lettore si chiederà: – Cosa ha a che fare tutto questo con S. Silvestro? -.
Ha a che fare, ha a che fare, perché l’ultimo giorno dell’anno, a parte il cenone e il clima di buonismo che lo circonda, credo lasci qualche nostalgia solo in chi, per un motivo o per un altro, sospetta che quello potrebbe essere l’ultimo per lui. Per i più, invece, rappresenta uno spezzone di tempo da archiviare, il vecchio e il passato da lasciarsi alle spalle per cedere alle lusinghe del nuovo e del futuro, che legittimamente ognuno di noi spera almeno più sereno. E in questo consumismo della memoria non c’è tempo per trarre insegnamenti dalle esperienze vissute,
Ora S. Silvestro si trova a dover simboleggiare suo malgrado e per pura coincidenza (morì, a quanto pare, il 31 dicembre del 335) tutto questo e ad accollarsi, per giunta, il sentimento dell’incontentabilità umana (chi non si prefigura un futuro più felice di un recente passato, anche se quest’ultimo è stato felicissimo?). Uno già santo, insomma, che, ogni anno!, diventa il capro espiatorio della nostra fragilità. Un motivo in più per rendermelo particolarmente simpatico, a parte il suo nome che evoca come Silvano e Silverio (Silvio, almeno in me, no; e non certo per motivi etimologici …1) quel ritorno alla natura che appare ormai come l’ultima nostra spiaggia incontaminata del nostro mondo in sfacelo.
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1 Silvestro è, con la regolarizzazione della desinenza, dal latino silvestre(m)=silvestre; Silvano è da Silvanu(m)=Silvano, dio dei boschi; Silvio è da Silviu(m)=Silvio, nome di un figlio e di un nipote di Enea. Tutti sono derivati da silva=selva.