di Armando Polito
Sono sicuro che Ezio Sanapo, autore del recentissimo post Il giardino degli aranci (https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/12/04/il-giardino-degli-aranci/), non me ne vorrà se alle sue pertinentissime osservazioni sul documento pubblicato aggiungo oggi le mie; e con questo non credo certo di aver detto l’ultima parola al riguardo. Mi è parso opportuno, per facilitare a qualsiasi lettore la comprensione di quanto dirò e per evitare, cosa che odio, di essere creduto sulla fiducia, esibire la trascrizione del testo a fronte del documento originale. Prima di iniziare, credendo di aver giustificato ampiamente questa “intrusione” (felice o infelice, bisogna aspettare per dirlo e perché io lo sappia …) non richiesta con quanto fin qui detto, ricordo a chiunque che vale, naturalmente, il contrario, che, cioè, le “intrusioni” altrui nei miei lavori saranno graditissime; dirò di più: vivo per loro, perché l’orticello della conoscenza è l’unico in cui la coltivazione e il raccolto reciproci possono dare i frutti migliori, per quantità e qualità.
Cedendo alla deformazione professionale, pur non rimpiangendo la correzione dei compiti, che fossero di italiano, latino o greco, dei miei allievi (unicamente perché ho sempre avuto classi numerose …), non posso fare a meno di dire che lo stile, pur nell’aridità obbligata (ma da chi o da che cosa?) del contenuto giuridico-burocratico è perfetto, a parte il presente contratto e stato letto (ma, per converso ricorrono le forme letterarie ha l’obligo e si obliga). Ciò che, però, più mi preme far notare è l’assoluta corrispondenza tra le parole ed il loro significato, senza che mai, dico mai, il velo dell’ambiguità aleggi tra loro: anche un bambino sarebbe capace di capire cosa i contraenti hanno voluto stabilire. Qualcuno dirà che manca la penale, elemento fondamentale di ogni contratto, così come la sanzione dovrebbe esserlo di ogni legge. E, invece, c’è: la conservazione del posto di lavoro subordinata all’avvenuto rispetto degli impegni presi. E, signori, da una parte c’è un’analfabeta (non un responsabile del governo; sento qualcuno dire: dove sta la differenza? …), dall’altra un contadino, non il megadirigente di un carrozzone più o meno (e in quel meno si nasconde chissà che cosa …) pubblico.
Sorprende poi, ma non può farmi che piacere (anche se qualcuno che non ha capito un tubo di me mi appiopperà l’etichetta di comunista … ) il fatto che l’usufruttuaria Vita Aquila Garzya firma con il segno della croce e il contadino Pasquale Canoci1appone il suo nome, corredato di paternità, con una grafia che non definirei insicura e nella quale perfino Pasguale per Pasquale diventa un peccato venialissimo, al pari del cognome che precede il nome (ordine che potrebbe anche, al di là delle consuetudini del tempo, essergli stato suggerito dall’estensore del documento …).
Sulla nostra Vita Aquila mi soffermo brevemente per ricordare che Garzya3, il cognome del marito, è un nobiliare di origine spagnola, ma mi pare inutile e irrispettoso fantasticare (perché potrebbe trattarsi del discendente di famiglia nobile sì ma da tempo decaduta) su un amore tra un nobile ed una popolana, anche se tracce di questa nobiltà potrebbero ravvisarsi in quel giardino Capani1 di cui sono proprietari Bonaventura e Wera Garzya di Emanuele.
So che questo tipo di indagini, discutibile già in passato, lo è diventato ancor più con la progressiva riduzione delle utenze telefoniche domestiche e con l’avvento del cellulare. Tuttavia riporto i dati che seguono nella speranza che qualcuno abbia la possibilità e la voglia di fornire, magari, precisazioni o ragguagli sul tema.
Nell’elenco telefonico di Tuglie 2013/2014 il cognome Canoci ricorre tre volte. Più ampio il territorio coinvolto da Garzya (nella grafia Garzia), visto che della signora Vita non è indicato nell’atto il luogo di nascita ed il domicilio: ricorre, infatti, una sola volta a Tuglie, due ad Alezio, diciannove a Matino e ben ventiquattro a Parabita.
Interessante mi pare, poi, far notare come nel 1931 nella pratica della concimazione lo stallatico occupa il primo posto e seguono a pari merito il concime chimico e la pratica del sovescio. Oggi, dopo aver avvelenato la terra con i pesticidi ed averla resa sterile con i concimi chimici, torna in auge l’agricoltura del tempo che fu con la pomposa etichetta di biologica, mentre le multinazionali continuano imperterrite a produrre e a commercializzare veleni …
Obsoleta pure, e da tempo, l’abitudine di coltivare verdura negli interspazi tra albero ed albero (soprattutto negli uliveti), poco compatibile con le attuali tecniche di coltivazione e di raccolta del prodotto principale.
E chiudo il mio post con il verso originale di Garcia Lorca con la cui traduzione italiana, su cui ho qualcosa da ridire, Ezio Sanapo ha chiuso il suo:
La luna llorando dice:/yo quiero ser una naranja
(La luna piangendo dice/voglio essere un’arancia)
Non chiedetemi, però, se tra il Garzya del documento e il poeta spagnolo ci sia un collegamento; non sarebbe l’unico caso in cui onestamente dovrei riconoscere di non essere in grado di rispondere.
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1 Facente parte, sembra di capire, della Casina Capani, in cui l’atto viene sottoscritto. Non è chiaro, poi, se questa casina corrisponda alla villetta che il mezzadro si impegna a coltivare e il rapporto dell’una e dell’altra con l’attuale Masseria Capani (nell’immagine che segue tratta da http://www.salento.it/agriturismo-capani-alezio).
e con la Villa Elia o Casino Capani (nell’immagine che segue tratta da http://www.ilmiosalento.com/?p=7561).