di Ezio Sanapo
L’albero di agrumi è stato sempre considerato una pianta di esclusiva pertinenza delle famiglie nobili e benestanti. Queste erano a conoscenza delle proprietà terapeutiche e benefiche del frutto e ne fecero il simbolo sempreverde del loro benessere e della loro supremazia.
La padrona a cui si riferisce un documento d’epoca, era rimasta vedova e non potendo permettersi di avere in casa un servitore, (sarebbe stato sconveniente per la sua moralità), ha sottoscritto con un contadino, un contratto di mezzadria per la cura delle piante del suo giardino e la raccolta delle arance, riservandosi tutti per se i mandarini come gesto estremo di distinzione sociale.
I nobili, avendo frequentato le scuole superiori e università, appartenevano all’universo della civiltà e cultura classica di origine greco-romana.
Già la mitologia greca descriveva le arance come “mele d’oro” del giardino delle Esperidi. Al confine occidentale della terra dove il giorno si incontra con la notte, in un isola al centro del mare, fioriva un giardino dove le Esperidi dall’amabile canto, custodivano i “pomi d’oro ” con l’aiuto di un drago. L’albero era stato generato in occasione delle nozze tra Zeus ed Era per farne loro un dono e i suoi frutti diventarono così simbolo della fecondità e dell’amore.
Nel Rinascimento, con la riscoperta di quella civiltà, gli agrumi assunsero un posto preminente nell’arredo a verde di ville e palazzi con i loro parchi e giardini e divennero così monopolio del ceto nobiliare assumendo di fatto il significato del loro “status- symbol”.
Gli agrumi, oltretutto, vennero utilizzati anche per insaporire gli arrosti, confetture, dolci, medicinali e olii essenziali per la preparazione di profumi.
“Il giardino degli aranci”, soprattutto nel Salento, è ubicato in un’area scavata a una profondità di circa tre metri nel parco alle spalle del palazzo. Così riparato dai venti, dalle intemperie e nascosti sotto i rami delle piante, il proprietario e la sua consorte o le sue amanti potevano intrattenersi indisturbati nei loro rapporti amorosi convinti che il profumo di quei frutti e dei fiori d’arancio fossero afrodisiaci. Questo spiegherebbe l’usanza, tramandata fino a noi, del rito propiziatorio di ornare, con fiori d’arancio, la sposa il giorno delle sue nozze.
Oggi le arance le consumiamo spremute, ieri mangiavamo ad uno ad uno i suoi spicchi dopo averle scrupolosamente sbucciate. I mandarini erano un lusso soltanto per i giorni di festa come Natale. Arance e mandarini erano oggetto di regalo che i padri o padrini facevano ai figli e figliocci il giorno della loro Cresima o prima comunione.
Cinquant’anni fa, in pieno sviluppo economico, l’acquisizione di un certo benessere ha rimescolato tra loro i ceti sociali di origine: quello Borghese è sceso più in basso, quello Popolare è salito un po’ più in alto e quelle che erano sempre state due classi distinte, sono diventate una sola e indistinta. I nobili invece, sempre in guerra tra loro, erano scomparsi già molto tempo prima.
Quel benessere economico ha fatto si che quanti erano stati, per origine e discendenza, mezzadri, coloni e servitori, hanno potuto costruirsi una propria casa e dietro la casa, accuratamente recintato, il loro sospirato giardino decorato a verde con alberi di agrumi, come un chiaro ed estremo messaggio di un proprio riscatto per un possibile benessere economico e sociale.
“ …e la luna piangendo disse: vorrei essere un’arancia”
(Federico Garcia Lorca)