di Armando Polito
Le due foto di testa sono tratte da https://www.facebook.com/groups/fralescrasce/828684087155136/?comment_id=829172297106315¬if_t=like, dove la didascalia dell’autore degli scatti, Federico Rame, recita: Probabile osteria, isolata nelle campagne a diversi km dal centro abitato, sulla strada vecchia Vernole-Calimera.
Mi sono permesso di evidenziare nella prima l’iscrizione ben rappresentata nella seconda perché è su di essa che voglio spendere qualche parola.
La trascrizione esatta è:
SI SEGETES SATA TERRA DEDI DABO VINEA VINUM
ET MERITO PRIUS EST EDERE POST BIBERE AN(N)O D(OMI)NI 1715
Traduzione: Se (io) terra seminata ho dato le messi, (io) vigna darò il vino.
E giustamente prima c’è il mangiare, poi il bere. Nell’anno del Signore 1715
Si tratta di quella che in gergo tecnico si definisce iscrizione parlante, perché è come se essa in prima persona si rivolgesse al lettore che nel nostro caso, condividendo quanto ipotizzato nella didascalia, potrebbe essere un viandante.
Siamo in presenza di un distico elegiaco di pregevole fattura (l’indicazione della data non ne fa parte), la cui scansione fornirò a breve. Mi preme, infatti, sottolineare nel primo verso la doppia allitterazione, cioè la frequenza di s che coinvolge all’inizio SI SEGETES SATA e alla fine, questa volta di v, VINEA VINUM; in quest’ultimo nesso ricorre anche la figura etimologica, cioè l’uso di due voci legate fra loro dall’etimo; e la costruzione sarebbe perfettamente simmetrica se potessimo affermare (io non ne sono capace senza ombra di dubbio) che SEGETES ha lo stesso etimo di SATA, che è participio passato di sèrere=seminare. Da notare ancora la posizione chiastica di SEGETES (complemento oggetto) SATA TERRA (soggetto con participio congiunto) DEDI (verbo) da una parte e DABO (verbo) VINEA (soggetto) VINUM (complemento oggetto) dall’altra.
Nel secondo verso, invece, spicca per contrasto la simmetria tra PRIUS (avverbio) EDERE (verbo) da una parte e POST (avverbio) BIBERE (verbo) dall’altra. Non è da escludere, pur nell’età illuministica in cui ci troviamo, un riferimento all’Eucaristia, per cui l’iscrizione vivrebbe di un momento tutto umano (il lavoro della terra) confortato dalla fede e dall’occhio vigile del divino; così il il pane e il vino, il mangiare e il bere, travalicherebbero gli angusti e materialistici confini del loro significato letterale (e a questo punto sarebbe opportuna una ricognizione all’interno della fabbrica alla ricerca di qualche indizio che possa avvalorare in qualche modo un suo utilizzo religioso, il che indurrebbe a cambiare l’originaria ipotesi sulla sua destinazione d’uso come una sorta di posto di ristoro).
Ecco la scansione promessa, che mi auguro possa significare qualcosa, almeno per qualche studente del classico …
Sī sĕgě|tēs || sătă| tērră dě|dī || dăbŏ| vīněă| vīnūm
Ēt mĕrĭ|tō prĭŭs| ēst || ēdĕrĕ| pōst bĭbĕ|rě
Per quanto riguarda le cesure (in rosso) nel primo verso ho adottato la tritemimera+l’eftemimera perché in questo modo la separazione tra gli elementi del verso è traumatica (stavo per dire illogica) solo per il primo complemento oggetto (segetes), conservando la loro unione grammaticale da una parte sata terra dedi (soggetto con participio congiunto+verbo) e dall’altra, più compiutamente, dabo vinea vinum (verbo+soggetto+complemento oggetto).
L’adozione della pentemimera
Sī sĕgě|tēs sătă| tērră || dě|dī dăbŏ| vīněă| vīnūm
avrebbe, infatti, comportato la separazione del soggetto (sata terra) dal suo verbo (dedi) ed avrebbe conferito alla lettura un ritmo più rapido. La lettura con due cesure, oltretutto, si adatta meglio, creando un ritmo più rotto, a ricordare che dietro il prodotto della terra, per quanto generosa, c’è sempre la fatica dell’uomo.
Lascio ora confessare al lettore quale delle due insegne lo ispira di più …
E, forse, lo studente di liceo di prima farebbe bene, da solo o accompagnato, a fare incontri ravvicinati di questo tipo piuttosto che partecipare a viaggi-distruzione; se poi portasse con sé anche un panino o, meglio ancora, una frisa col pomodoro, sicuramente ne guadagnerebbe non solo in cultura concretamente sperimentata sul campo ma anche in salute …
Due giorni dopo la pubblicazione di questo post Angelo De Pascali in https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10202992033709829&set=pcb.830219627001582&type=1&theater ha pubblicato la foto della parte posteriore della fabbrica, la quale sembrerebbe confermare i miei sospetti sulla sua destinazione d’uso di natura non propriamente o esclusivamente laica.
A questo punto, avrebbe detto Lubrano, la domanda sorge spontanea: e gli interni?
grazie
Io sono convinto che qualche studente c’è ancora che capisce e ama quanto tu dici; ma sai, io sono quello del “bicchiere mezzo pieno”: Tra l’altro, così, rimango in tema.
Ottima ed interessante analisi.
Dall’autore delle foto: Federico Rame.
Quale curatrice del gruppo facebook “Fra le Scrasce” non posso nascondere un certo compiacimento nel vedere che un post ha suscitato l’ interesse del Prof. Armando Polito tanto da guadagnare un articolo su Fondazione di Terra d’Otranto.
Da circa due anni il gruppo aggroviglia i suoi numerosissimi argomenti, fotografie, commenti, sul ricchissimo mondo della natura selvatica che umilmenti circonda, sorprende e rallegra gli iscritti e i frequentatori delle SCRASCE.
Segnalo un’importante integrazione aggiunta in coda al post originario.