di Vincenzo Cazzato*
Siamo tutti dispiaciuti per la mancata elezione di Lecce a Capitale europea della cultura 2019, ma qualche sia pur minima riflessione su questo verdetto, al di là della retorica e delle frasi fatte, bisogna pur farla. Vivendo parte della settimana a Roma, ho avuto modo – per mia fortuna? per mia sfortuna? – di assistere alla penultima audizione della delegazione leccese nella sede del MAXXI alla presenza della commissione esaminatrice (29 settembre). Confesso il mio imbarazzo nel vedere sul palco una rappresentanza all’insegna di “questa è la Lecce che conta”, “questa è la Lecce che ci piace” e nella quale io, cittadino salentino, ho faticato a riconoscermi. L’impressione era di avere di fronte non una rappresentanza cittadina, ma una delle tante “lobby” leccesi che con la cultura hanno poco a che fare; insomma un “consorzio” che – qualora fosse passata la candidatura – avrebbe gestito, secondo certe logiche, le abbondanti risorse.
Ma andiamo oltre. L’esposizione è stata a dir poco epocale, quando l’abitato di Lecce è stato genialmente paragonato a un uovo al tegamino (proiettato sul maxischermo!); o quando è apparsa la scritta “Sine putimu” che non è frase in latino maccheronico, ma la traduzione un po’ pasticciata dell’obamiano “Yes we can”.
Mentre si succedevano gli interventi, un dirigente del Ministero mi ha chiesto: “Ma chi sono questi? e di cosa stanno parlando?”; e poi un imprenditore salentino: “Ma perché mai non c’è al tavolo dei relatori qualcuno che parli di cultura, e soprattutto di Lecce?”.
Si, perché le cose dette potevano valere per qualsiasi altra città italiana, senza alcun richiamo alle peculiarità di questa città, famosa nel mondo per essere una Capitale del Barocco. Quest’ultimo termine l’ho sentito pronunciare raramente e a volte anche a sproposito. E lo spazio dato al Barocco nel “bid book” si limita, risibilmente, a poche righe.
Uno degli errori più clamorosi è stato di non costruire una candidatura seria partendo dall’identità di questa città, dal Barocco in primis. Invece l’assurdo slogan è stato: “Oltre il Barocco, la culla di un sogno nuovo”. E così il sogno si è infranto di fronte a una città come Matera che non ha provato vergogna alcuna a presentarsi per come è.
Agli inizi di questa avventura, sull’onda dell’entusiasmo, mi ero permesso di avanzare alcune proposte relative al Barocco ma anche al paesaggio salentino, temi a cui ho dedicato gran parte dei miei studi. Non essendone stata accolta alcuna, ho pensato bene di farmi da parte.
Passeggiando giorni fa per piazza S. Oronzo ho visto alcuni blocchi di tufo gettati in terra alla rinfusa, come in una discarica. Leggo la didascalia: “Barock ‘nd roll”. Ecco la fine che ha fatto il Barocco! “Ma cosa c’entrano questi massi erratici con il Barocco” si saranno chiesti i commissari passeggiando per le vie di una Lecce improbabile, con i negozi e i monumenti aperti a tutte le ore, con gli studenti invitati a disertare le lezioni per dare l’immagine di una città viva? Un po’ come quando, ai tempi delle visite di Mussolini, si allestivano facciate posticce e si spostavano le popolazioni.
Durante la preparazione del primo “dossier” avevo offerto la mia disponibilità per redigere una lista di “testimonials” eccellenti, che avrebbero potuto dare forza alla candidatura: studiosi del Barocco di fama internazionale ai quali siamo collegati grazie a una “rete” di Centri di Studio, dall’Europa all’America Latina, ideata dal prof. Marcello Fagiolo. Avere l’adesione di membri dell’Accademia dei Lincei e di professori emeriti di tante università sparse nel mondo avrebbe sicuramente costituito una carta vincente. Mi è stato risposto: “Abbiamo i nostri canali e le nostre idee”. Può darsi, ma se le idee sono quelle poste in atto, uno slogan di Al Bano a favore di Lecce vale quanto quello di Gianna Nannini a favore di Siena: cioè zero. A proposito di Centri Studi sul Barocco, della “rete” faceva parte un tempo anche il Centro Studi di Lecce,ma pare sia stato deciso di metterlo “in sonno”: un altro brutto segnale.
È stata quella di Lecce una candidatura fondata sul nulla, cioè su slogan di significato poco comprensibile. Avranno capito i commissari il significato di parole come “profitopia”, “artopia”, “ecotopia”, “esperientopia”, “democratopia”, “polistopia”, “talentopia”, “edutopia”? La leggerezza va bene, i manifesti con persone saltellanti anche, ma poi ci vogliono i contenuti. Se i commissari in una fase iniziale hanno chiuso un occhio su questa operazione “di facciata”, con la regia di un bravo animatore culturale quale Airan Berg, non lo hanno fatto una seconda volta.
Peggio ancora, Lecce è città dove non si fa più cultura. Mancano le sedi, soprattutto dopo la situazione di “stand-by” del Museo Castromediano; è vero, dimenticavo, c’è il Must che avrebbe però dovuto in primo luogo ospitare un Museo sulla storia della città il cui fantasma si aggira ancora per le sue stanze.
Manca una visione lungimirante, una volontà di aprirsi a nuove idee. Ci si continua ancora a dibattere sull’area della Caserma Massa (inserita persino nel “bid book”!) avendo davanti un progetto indecente sotto il profilo architettonico e urbanistico, indegno della nostra città.
A Lecce le istituzioni non dialogano: Comune, Provincia, Soprintendenza (mai invitata al tavolo di Lecce 2019!), Università. Lecce non ha un buon rapporto con la sua Università: le sedi universitarie sono distribuite secondo logiche che nulla hanno a che vedere con le reali esigenze degli studenti.
Ho citato l’Università, la mia Università. Anche l’Università ha le sue responsabilità su “Lecce 2019”, avendo privilegiato una visione fondata prevalentemente sulla progettazione dei processi culturali, sull’economia del turismo, sul management delle aziende culturali con la conseguente esclusione, di fatto, di non poche forze che avrebbero dato un forte contributo (mentre dietro tante scelte di Matera c’è stato l’apporto ben leggibile di Università e uomini di cultura).
Per anni, insegnando Storia dell’architettura, mi sono battuto – unico docente del settore – per far comprendere l’importanza di questa disciplina in una città che possiede un patrimonio storico-artistico inestimabile. Anche dall’interno di questa istituzione è partita una campagna ambigua per demonizzarel’identità prevalente di Lecce.
A conclusione di questa memoria, il mio pensiero va ai tanti giovani che per mesi hanno sposato con entusiasmo questa causa e hanno messo a disposizione le proprie competenze e le proprie idee, sognando un traguardo al quale non si è purtroppo arrivati. Sono questi giovani la vera risorsa e la faccia più bella di “Lecce 2019”.
*Professore ordinario di Storia dell’Architettura. Università del Salento
Pubblicato su “Nuovo Quotidiano di Puglia”, 21 ottobre 2014, p. 1.
Queste parole sono il vangelo.
spero che le sue parole facciano davvero riflettere.
il folclore, tra l’altro fasullo, aveva preso il posto della cultura nelle tante manifestazioni che si sono succedute e spesso anche il cattivo gusto ( i tufi in p. s. oronzo) che lei ha sapientemente posto in risalto!
E’ un articolo molto interessante, pure, debbo dire, è opportuno fare delle aggiunte.
Iniziamo col dire, per pura nota di cronaca, che Lecce di voti non ne ha presi neanche uno: sette a Matera, tre a Ravenna e tre a Siena.
Dunque, non v’è dubbio, i commissari devono aver notato delle forti dissonanze, tali da far escludere senz’altro questa candidatura a favore delle altre.
L’osservazione riguardante la correlazione tra un fenomeno di “esclusione” di parti rilevanti della popolazione, nella gestione dei processi/progetti da porre in campo e la conseguente “esclusione” di Lecce dai voti finali è assolutamente pregnante.
Occorre qui evidenziare il fenomeno in tutta la sua portata.
La candidatura a “città europea della cultura” è infatti basata proprio sui processi e progetti culturali in atto, piuttosto che sul patrimonio artistico ed architettonico di una città, quindi possiamo capire lo spostamento del fuoco d’interesse degli organizzatori, i quali però, come evidenzia l’articolo, cercavano evidentemente una gestione oligarchica per poi poter escludere altri soggetti dalla successiva – eventuale – gestione dei fondi così ottenuti.
E dunque si capisce l’errore compiuto nell’escludere gli ambienti universitari, che, lungi dal rappresentare l’espressione in toto dei movimenti culturali di una città, rappresentano pure indubbiamente una potente spinta culturale per Lecce.
Perché, chiaramente, se il patrimonio artistico, architettonico e paesaggistico di una città non è di per sé cultura, lo è invece, profondamente, la quantità di studi, incontri, osservazioni e proposte che sono bastate sullo stesso patrimonio e che nell’Università trovano luogo vitale.
Ma altrettanto importante – e questo è il nocciolo di questo mio intervento – è il patrimonio culturale “dal basso” che in questa Città sta trovando, da anni, i suoi modi di espressione e mi riferisco in particolare ai luoghi come le manifatture Knos, ai Cantieri Teatrali Koreja, al LUA Laboratorio Urbano Aperto, come pure a qualsiasi circolo culturale che porti avanti nel tempo una propria visione ri-generativa della cultura cittadina, tale da cambiare lo sguardo dei cittadini su sé stessi e sulla propria città.
Sono tutte queste “forze”, queste spinte poderose, che sono state in qualche modo escluse dal progetto per la candidatura, privilegiando invece una progettualità dall’alto verso il basso, che, al di là della valutazione delle singole idee messi in campo, non esprimeva il “genius loci” e tantomeno il ‘”genius populi”.
E questo è stato senz’altro avvertito dai commissari, che hanno quindi volto il loro sguardo altrove.
condivido in pieno
….io non ci ho mai creduto….
hanno dimenticato soprattutto che LECCE è la -Summa Salentina -che va oltre il barocco che pure ce: ma va coniugato -visto – diversamente -noi siamo gli eredi Casolani -dice niente Otranto e Gallipoli !..con tanto bene e affetto peppino.
INCONTRO STORICO, A LECCE, TRA FERDINANDO I DI BORBONE ED I COMMISSARI EUROPEI DELLA CULTURA: NULLA, MA PROPRIO NULLA DI NUOVO SOTTO IL SOLE! Lecce,1822- si narra che, in occasione della prevista visita (?) in Lecce di Ferdinando I di Borbone, si volle dedicare un monumento che portasse la fama del regnante fino al cielo. Per il progetto fu dato incarico al Cipolla (il monumento fu realizzato dal Marcuccio). Si eresse così, quello che tutti conoscono come obelisco. Il materiale utilizzato per la sua costruzione fu la pietra leccese, gentile, dal color dell’aurora, che fu, però, ritenuta poco consona al rango dell’illustre ospite. Si decise, allora, di tingere l’obelisco del colore della pece, per camuffarlo di basalto. Ma se di Cipolla fu l’idea del monumento, il collaterale effetto non tardò ad arrivare. Pianse il cielo e disciolse l’inganno, restituendo alla pietra locale il colore dell’aurora. Lecce, 2014 – Storia recente ci ha regalato la visita di altri illustri ospiti, i commissari di un nuovo regno, che avrebbero dovuto individuare una capitale della cultura! Ma quel giorno pianse ancora il cielo e si optò di nascondere alla vista degli ospiti l’identità della signora della Lupa e le sue idee innovative, coperte da barocche parole e da danze folcroristiche. Lascio le critiche agli esperti, persino sul rappresentante del nostro territorio e non perdo tempo nel ricercare responsabilità irrintracciabili. Dato di fatto impone che l’inclemenza del cielo ha combinato danni! Sarà ancora l’effetto di cipolla? Un pò per sorridere un pò per rifletetre!