di Domenico Carratta
Non sono di Nardò, mio padre lo era, anche se l’aveva abbandonata per cercare fortuna al Nord, cosa riuscita in minima parte.
Ciononostante, ci obbligava ogni estate a trascorrere un intero mese nel suo paese natale.
Abitavamo vicino a Porta Falsa, nel centro storico, in una casa veramente antica in cui al piano terreno c’era la stalla con l’asino e di sopra l’abitazione con un gigantesco focolare in cui mia nonna cuoceva cose deliziose e mai più eguagliate, nonostante i miei sforzi. Usava pentole spesse un dito perché le lavava sempre e solo dall’interno, ma le sue polpette di carne con le foglie di menta, le sue friselle, le sue pettole o la sua trippa comprata cruda e pazientemente pulita con l’acqua bollente sono un ricordo incancellabile. Era analfabeta, e non sapeva leggere l’orologio, per cui ci diceva che ora era guardando l’ombra del sole sullo stipite della porta. Una meridiana vivente, oltre che una donna dolcissima. Mio nonno era stato un Ardito durante la prima guerra mondiale, cioè uno di quelli che combattevano davanti alla prima linea. I più coraggiosi e i più feroci di tutti. Era stato compagno di trincea di Benito Mussolini, e a distanza di tanti anni conservava il passo spavaldo del giovane bersagliere che era stato. Di fianco a casa nostra c’era uno stagnino che riparava gigantesche pentole in rame, ma ogni tanto si sentiva ululare un venditore che con un’Ape portava la grande novità: le vasche di Moplen per lavare i panni. Stava arrivando la plastica. La mattina mio nonno, dopo avere fatto colazione con fichi d’India e peperoncino fresco, attaccava l’asino al calesse, poi faceva un rumore impercettibile con la bocca, e l’asino partiva e, senza ulteriori istruzioni, arrivava alla sua campagna, a Sant’Angelo o San Belluccio. Quando era ancora buio si sentivano scampanellare le biciclette, e file interminabili di donne si avviavano verso la campagna perché era la stagione della vendemmia. Abitavamo vicino al cimitero e non di rado si sentiva suonare la banda che accompagnava il defunto alla sua estrema dimora. Suonavano sempre lo stesso pezzo, ma non ricordo quale. La piazza del paese era animata soltanto da uomini, che parlavano animatamente. Verso le sei della sera veniva invasa da un delizioso profumo: erano i pezzetti, deliziose salsicce di cavallo, che venivano comperate a numero e portate bollenti a casa avvolte in una spessa carta gialla. Se il paradiso esiste da mangiare danno i pezzetti. La mattina si andava al mercato, che era poco oltre la piazza, ed era costituito dal mercato generico, il mercato della frutta e verdura e il mercato del pesce che fra tutti era di gran lunga il più affascinante. C’erano due cinema, dove ho visto tutti i film di Franco e Ciccio e di Sergio Leone, anche più di una volta. Quando stavamo per partire, c’era la grande festa di Cosma e Damiano che a noi pareva la festa più grande del mondo, soprattutto paragonata alle magre feste religiose del Nord. Andavamo al mare all’Addu, che poi non so perché si è chiamato Porto Selvaggio, portandoci da bere l’acqua nell’unbile, un recipiente di terracotta che trasudando la teneva meravigliosamente fresca. Ma a mezzogiorno tutti a casa a mangiare le friselle impastate dalla nonna e che il fornaio aveva cotto nel forno a legna senza farsi pagare, ma trattenendo una frisella ogni dieci, in modo da alimentare la vendita del suo piccolo negozio.
Ti amo Nardo’, amo la tua meravigliosa lingua che non parlo ma comprendo perfettamente e che leggo con grande piacere nei vostri interventi.
Saluti da Genova.
Semplice e realistica descrizione del tempo che fu di noi anziani. Bello, bello, bello
La marcia funebre era quella di Chopin. Sono stato seminarista a Nardò negli anni Sessanta e ogni pomeriggio ascoltavo la banda che accompagnava il funerale.alfredoromano9@gmail.com