di Armando Polito
Ad integrazione del bel post recente di Mimmo Ciccarese sul grande scienziato di Gallipoli (https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/09/26/un-grande-medico-al-servizio-degli-ulivi-secolari/ ) mi preme anzitutto segnalare a chi ne ha interesse le edizioni delle sue opere reperibili in rete e integralmente scaricabili:
Degli ulivi, delle ulive e della maniera di cavar l’olio, Tipografia editrice salentina, Lecce, 1871 (http://books.google.it/books?id=Ixc8sRR-F9sC&pg=PA561&dq=giovanni+presta&hl=it&sa=X&ei=YOYjVOqeCcOf7gaDtYDoCg&ved=0CCUQ6AEwAQ#v=onepage&q=giovanni%20presta&f=false).
Memoria su i saggi diversi di olio, e su della ragia di ulivo della penisola salentina, Romano, Lecce, 1855 (http://books.google.it/books?id=KHVEU4x7Z0EC&pg=PA5&dq=giovanni+presta&hl=it&sa=X&ei=YOYjVOqeCcOf7gaDtYDoCg&ved=0CCAQ6AEwAA#v=onepage&q=giovanni%20presta&f=false).
Per quanto riguarda la biografia, poi, segnalo che Bartolomeo Ravenna in Memorie storiche della città di Gallipoli, Miranda, Napoli, 1855, p. 555 a proposito di Giuseppe Presta scrive: Di questo letterato, che illustrò il secolo scorso, e che fu mio stretto amico, ne abbiamo una memoria lasciataci dal Prevosto di questa Cattedrale D. Leonardo Franza1, che mi è servita di guida in queste memorie, scrivendo del Presta.
In nota 1 si legge: Serie di fatti relativi alla vita di D. Giovanni Presta scritta da D. Lionardo Franza Prevosto della cattedrale di Gallipoli, in segno di grata e sincera amicizia. In Lecce nella publica stamperia di Vincenzo Marino e fratelli in 8. Da questa memoria istessa si è tratto l’elogio del Presta stampato nella Biografia Napoletana. Il Franza fu un nostro benemerito concittadino. Era in nota tra i soggetti destinati Vescovi del Regno, ma le vicende dei tempi, e la morte che lo prevenne, resero vane queste speranze.
La Serie di fatti …, pubblicata (aggiungo io) nel 1797 è introvabile ma la biografia napoletana nominata è la Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli, dal cui tomo V uscito per i tipi di Gervasi a Napoli nel 1818 riproduco (visto che la memoria originale è introvabile) la scheda a firma di Lionardo Franza:
Mi piace ora riportare la dedica a Caterina II di Russia che il Presta premise alla Memoria su i saggi diversi di olio, e su della ragia di ulivo della penisola salentina:
Prima di commentare lapidariamente quanto appena letto, debbo confessare che lì per lì non sono riuscito a capire che cosa fosse esattamente la Ragia odorosa, timiamo eletto, che qui l’olivo suole produrre, ed altrove no. Ora ragia designa un tipo di resina di alcune conifere e metaforicamente assume il significato di raggiro, imbroglio, stratagemma. Per comprendere entrambe le sfere semantiche basta pensare al rapporto di somiglianza tra chi rimane invischiato nella pece e chi è vittima di un raggiro. Non credo che il Presta abbia usato ragia in quest’ultimo senso …
Timiamo è voce dotta, adattamento all’italiano del latino medioevale thymìama che è trascrizione del greco θυμίαμα (leggi thiumìama)=incenso, aroma in genere, da θυμίαω (leggi thiumiào)=bruciare. La forma italiana più antica fedele alla greca (timìama) che io conosca compare in una Bibbia istoriata padovana della fine del XIV secolo : … de domane un turibolo in man cum el fogo e cum la timiama (… questa timiama è la cossa odorifera più cha incenso) e debiè stare denanço dal tabernacolo de mesier Domenedio…
Quanto riportato fino ad ora induce a pensare che sia una sostanza resinosa emessa dall’albero e non ricavata dal frutto.
Senonché, nonostante io non l’abbia mai vista nell’ulivo, ci viene in soccorso lo stesso autore che all’argomento dedica un passo della sua opera:
Di lì a qualche anno tornerà sull’argomento (il che ribadisce, ove ce ne fosse stato bisogno, la mia ignoranza) Domenico Moricchini in Sopra la gomma di ulivo, Mainardi, Verona, 1815 (http://books.google.it/books?id=BMQaAAAAYAAJ&pg=PA6&lpg=PA6&dq=ragia+di+ulivo&source=bl&ots=s_H71-jyzV&sig=8O9IltztSNYqNzlxehWPMp_0uF8&hl=it&sa=X&ei=iVslVKnHK6vnygOruYJg&ved=0CEwQ6AEwCA#v=onepage&q=ragia%20di%20ulivo&f=false).
Inutile dire che a maggio dell’anno prossimo, se Dio vorrà, andrò ad ispezionare, non certo per mancanza di fiducia, uno per uno i miei ulivi e se l’esito sarà positivo farò anch’io un dono a Caterina, mia figlia …
Ora è tempo di passare al commento promesso: un salentino, pur col dovuto rispetto, si rivolge da pari a pari ad uno dei personaggi più potenti, forse il più potente, dell’epoca e contemporaneamente la manda a dire anche al re Ferdinando IV, non solo per quel dilettante pur anco in materia di Olj eccellenti … ! E, per capire meglio, riporto quanto scrive il Ravenna nell’opera citata:
Che il nostro conterraneo, poi, fosse di fama internazionale (nesso oggi abusato pure per le mezze calzette a stento conosciute dagli stessi familiari …) lo dimostra, a parte la citazione dei suoi scritti in autori stranieri contemporanei e nelle pubblicazioni specializzate dell’epoca (per brevità non riporto né gli uni né le altre), quanto si legge (la traduzione è mia) in Voyage de Henry Swinburne dans leus deux Siciles, en 1777, 1789 e 1780 traduit de l’Anglois par un voyageur français, Didot, Parigi, 1785, tomo I, pp. 368-370:
Mi ha colpito dell’osservatore straniero più che la contrapposizione tra corona e baroni (e non voglio a questo punto aggravare la situazione mettendo in campo la querelle dell’unificazione del nostro paese …) quel ma mi dispiace di essere obbligato a dire che tutti i suoi sforzi si sono limitati finora a semplici esperimenti, per non essere stato assecondato da coloro che sono nella condizione di dare qualche sviluppo al bene pubblico.
Vecchio vizietto della politica intesa non come servizio ma come attività clientelare, che oggi rivive nell’inefficace azione di difesa dei nostri prodotti nei confronti della globalizzazione europea e mondiale, nella mortificazione della ricerca e del merito col risultato suicida di regalare quest’ultimo al resto del mondo, mentre, nella fattispecie, la pur deprecabile inerzia di allora è stata criminalmente sostituita (al peggio non c’è limite …) dalla cementificazione del territorio in nome di un’idea perversa, e a lungo andare perfino autolesionista, di sviluppo in cui l’occupazione (non si sa nemmeno per quanto tempo) di pochi e lo sfacelo del paesaggio vengono spudoratamente sbandierati come bene pubblico.