di Mimmo Ciccarese
Il 24 giugno del 1720 nacque a Gallipoli, Giovanni Presta, uno degli studiosi più noti che il Salento possa annoverare tra i suoi annali. Già a sedici anni si recò a Napoli per frequentare medicina e in altri momenti per approfondire gli studi di matematica e astronomia. Le sue doti di letterato e raffinato poeta lo aggiunsero con merito tra le accademie e le società più colte del suo tempo.
Appena laureato in medicina ritornò nella sua città natale, per esercitare la professione ma nel mondo divenne più noto per i suoi studi agronomici e in particolare sulla tabacchicoltura e sull’olivicoltura.
Furono saggi così notevoli che la provincia di Lecce non esitò ad onorarlo con la scuola agraria a ridosso dell’antica città messapica di Rudiae. Per questo l’istituto per periti agrari, forte del suo retaggio e per le sue egregie attività formative e sperimentali, acquisì fascino e valore in tutta la Puglia.
Presta si concentrò molto sulla specie dell’ulivo, aveva ben compreso la sua importanza sul territorio, era per lui una certezza da offrire con la Memoria su i saggi diversi di olio e su della ragia di ulivo della penisola salentina messe come in offerta a Sua Maestà Imperiale Caterina II, la Pallade delle Russie (1786), con Memoria intorno ai sessantadue saggi diversi di olio presentati alla Maestà di Ferdinando IV, Re delle due Sicilie, ed esame critico dell’antico frantoio trovato a Stabia (1788); Degli ulivi, delle ulive e della maniera di cavar l’olio (1794).
Presta analizzò con scrupolo la produzione agricola nel Salento, le condizioni del suo territorio, indagando sulle cause storiche che le avevano determinate, a risolvere i problemi di un meridione orientato al degrado e alla povertà. Per qualcuno quell’impegno sarebbe stato visto come un vero e proprio mandato morale da eseguire ad ogni costo.
Nella prima parte dell’opera Degli ulivi, delle ulive e della maniera di cavar l’olio (1794) Presta avvia il trattato con un’esposizione di questa pianta accreditandone utilità e bellezza: “Di quanti mai vi son’alberi finor noti sopra la terra, se si ha riguardo all’utilità, che ciascun arreca, si può dire senza fallo, che l’Ulivo è il migliore tra tutti, l’Ulivo è il primo tra tutti, l’Ulivo è il Re”. In questo primo ritaglio si riscontra il riferimento ai tempi dell’antica Grecia, del modo con cui questi popoli divinizzavano questa essenza.
Nel Regno delle due Sicilie, il mercato dell’olio era fiorente. In quel tempo proprio nella città portuale di Gallipoli, Presta osservava la partenza dei bastimenti fiamminghi carichi d’olio lampante e già pensava di descrivere con la dovuta professionalità la fonte di quella produzione per ricavarne altra utilità.
A distanza di secoli da tali studi Presta, purtroppo, l’ulivo monumentale è oggi rapportato da qualcuno come “una pianta come tante”, una coltura da far produrre in regime intensivo, come strumento economico o perfino solo come un mezzo per accedere ai finanziamenti comunitari.
Allora ecco gli aiuti alla produzione che ravvivano l’olivicoltura pugliese che creano associazioni di categoria, cooperative, centri di assistenza agricola per far diventare l’olio il Re degli alimenti, un buon condimento ideale per nutrire la politica e la società.
Dai tempi dell’olio lampante a quello del miglioramento qualitativo, l’olio di oliva guadagna sempre più potere, diviene un andirivieni economico sempre più intenso, una materia preziosa da stoccare gelosamente, un’energia in grado di alimentare centinaia di migliaia di famiglie.
Il dottor G. Presta ha compiuto una grande opera, con i suoi trattati è riconosciuto dal mondo accademico come il primo grande tecnico dell’olivicoltura e non solo. Chi mette in dubbio il suo impegno e l’efficacia della sua molteplice conoscenza e sensibilità?
Le abili capacità del luminare G.Presta di comunicare la vita e la forma delle piante d’ulivo risiedeva anche in quegli studi astronomici e matematici, della biologia e forse anche della filosofia tra l’ammirazione e lo stupore dei suoi colleghi.
Il tecnico agrario dovrebbe animare talento e passione con il coraggio e la lealtà così come fece il grande ricercatore salentino. In ogni caso un tecnico non rimane indifferente alle problematiche agricole, anzi, sostiene, propone e condivide le sue conoscenze al servizio della gente che reclama risposte.
L’esperto serve i cicli della natura, rende voce alla biodiversità e la difende, acquisisce così giudizio oltre che dignità per essere ben voluto dai suoi residenti. Chi allontana o disapprova questa valutazione tradisce i suoi apprendimenti e non può dire d’amare e dimorare la sua terra.
Chi pensa, invece, che il tecnico agrario non sia altro che uno scrivano sciupato tra i fogli e i corridoi di un ufficio si sbaglia in pieno perché il suo mondo è molto più variegato e per niente standardizzato.
Il competente, però, non deve esaudire i comandi di una sola voce, deve anche arricciarsi un po’, tra le riflessioni e gli studi che gli altri suggeriscono, proponendosi a sua volta con razionalità e rispetto, deve rendere operativa l’efficienza del suo sapere o almeno stimolare la sua curiosità e quella del suo prossimo.
Un tecnico dovrebbe dimostrare la volontà di respirare umilmente i valori che insegnano le molteplici civiltà rurali affinché esso non smarrisca la sua identità, senza mai nascondersi dietro misere bautte di qualsiasi tipo ed essere in grado di ascoltare con umiltà senza mai umiliarsi.
Per questi motivi i delegati al settore dovrebbero essere ispirati dal gran valore di Giovanni Presta, dalla sua umanità che ha reso tantissimo alla nostra agricoltura; lo studioso è stato un modello di benessere morale, un’intelligenza con cui poter conversare apertamente di tesi e dottrine.
Un uomo che ha dedicato un’esistenza a classificare ed esporre la produzione dei suoi tempi per rendere conoscenza ai suoi posteri non può che ispirare unità, comprensione e gratitudine.
Seguire la generosità di questi uomini, sarebbe il piccolo gesto che potrebbe fare un tecnico agrario come quello di supportare proprio quegli ulivi che il famoso studioso gallipolino ci aveva descritto qualche secolo prima.
Gli stessi ulivi secolari descritti, oggi, forse ci/si stanno abbandonando all’incuria, nei viluppi del disinteresse o in chissà quale altro tipo di speranza. Ecco un altro valido motivo per difenderli con risolutezza.