di Fabrizio Cazzato
Ambiente e beni culturali, un connubio inscindibile in Italia, eppure troppo spesso non valorizzato pur se negli ultimi decenni è cresciuta la sensibilità e si sono attivate strategie di tutela anche attraverso le nuove tecnologie. Ma tutto ciò non basta.
Dal Salento dialoga nel segno della bellezza una civiltà fatta di pietre, di segni e di colori che ha saputo modellare il nostro territorio. Pensiamo alla dolcezza delle Serre Salentine, alle distese di uliveti, agli antichi borghi, alle cripte basiliane e alle grotte che sono diventate abitazioni e chiese.
Ma hanno importanza fondamentale anche quelle opere religiose ritenute come “arte minore”, che fanno parte del patrimonio materiale e immateriale del nostro Paese che realizza l’identità di un popolo e ne costituiscono il fondamento e il carattere.
Le edicole votive sparse nel nostro territorio, poste generalmente sugli architravi delle antiche case o al limite delle proprietà e nei punti in cui le strade di campagna si incrociano, offrono l’opportunità per approfondire la conoscenza di questa forma di devozionismo popolare. Legate soprattutto al mondo contadino, rimandano alle “erme” dell’epoca romana, e forse ai più antichi “menhir”, alle quali è riconosciuto il significato di protezione delle famiglie, degli animali, dei campi, oltre a tenere lontane le calamità naturali.
La maggior parte della popolazione trascorreva buona parte del suo tempo nei campi per svolgere l’indispensabile attività agricola, da cui traeva sostegno per poter vivere. Era quindi naturale che i nostri avi, in maggioranza contadini, volessero erigere nei luoghi frequentati una testimonianza della loro fede e del profondo sentimento religioso di cui era intessuta la loro esistenza. Spesso le realizzavano in ringraziamento per una grazia ricevuta.
Nelle sere d’estate, dopo la fatica quotidiana, ma anche in occasione di ricorrenze religiose, quelle edicole diventavano occasione per ritrovarsi a recitare il Rosario, che coinvolgeva il proprietario, le famiglie vicine, se non, in alcuni casi, tutta la comunità del paesello.
La tipologia di queste semplici costruzioni è varia per dimensione e impostazione. Possono essere ad una sola nicchia concava, protetta da un vetro o da una grata a protezione del dipinto o della statuetta. Ricavate sui muri esterni della casa, talvolta erano piccole cappelle con altarino e quadro della Madonna o di un santo.
L’iconografia più frequente richiama la Vergine Immacolata, i santi Vito, Rocco e i SS. Medici, le cui immagini erano fatte realizzare da artisti locali e non sempre eccellenti nella pittura.
Di questi manufatti si hanno poche notizie storiche, anche perché poco o niente considerati, ma si è portati a considerarli realizzati tra XVIII e XIX secolo, a causa dello sviluppo rurale e agricolo dei nostri centri, che han dovuto soccombere con lo spopolamento delle campagne e l’avvento dell’era industriale.
Tra le tante disseminate nel territorio comunale di Tricase, e che certamente meriterebbero un censimento, si segnala qui una in particolare, sebbene non sia unica, perché meritevole di attenzione per lo stato in cui versa e che l’incuria potrebbe irrimediabilmente compromettere sino alla scomparsa.
Situata in contrada “homo Morto”, la vecchia via che dalla città porta al mare, alle spalle della grande Quercia Vallonea, fu fatta realizzare per devozione di Tommaso Nuccio nel 1850. A forma di edicola con volta a botte, sulla parete frontale interna sono ancora ben visibili tre immagini tirate a fresco, di discreta fattura ma di autore ignoto, raffiguranti al centro la Madonna Immacolata, antica patrona di Tricase, ai lati della quale vi sono San Giuseppe, a sinistra, San Vito Martire a destra, protettore delle campagne e di tutto il territorio comunale. Purtroppo tutte e tre le immagini sono state lievemente sfigurate nel volto.
I cenni che ho scritto servono da stimolo per parrocchie, comitati feste patronali, Amministrazione Civica ed associazioni religiose e culturali, ma anche singoli cittadini, perché possano attivare urgenti piani di recupero e di intervento, mirati alla salvaguardia di queste preziose testimonianze religiose del passato da consegnare alle future generazioni.
Forse è bene rivolgere uno sguardo alle nostre radici per indurci ad una seria e profonda riflessione sul senso di responsabilità a cui non possiamo e non dobbiamo sottrarci per difendere dall’incuria e dall’abbandono ciò che il passato ci ha gelosamente consegnato.
Se ci soffermassimo a meditare su queste piccole espressioni artistiche del nostro popolo e sui contesti in cui sono inserite, penso troveremmo la sensazione di quiete e di pace che l’aperta campagna offre. Comprenderemmo, forse, i valori essenziali che improntavano la semplice ma ricca vita dei nostri avi, che le vollero ai bordi dei campi perché proteggessero senza disturbare il lavoro, vicino alla strada quasi per ritrovarsi idealmente con i passanti, all’ombra di un albero per riposare dopo aver duramente faticato.