La Casa del Sale. Il Salento in termini essenzialmente lirici di Wilma Vedruccio

wilma

 di Elio Ria

 

Viviamo nel tempo dell’affievolirsi della luce in un luogo che era un incanto, un lembo di terra dove non vi era urgenza del fare, vigeva l’orologio della lentezza delle tradizioni, con un sole pacato, un mare azzurro congiunto al cielo, una campagna di alberi d’ulivo, fichi d’india, grano e vitigni, muri a secco, orti e ortolani, sinfonia d’autunno, contadini temprati nell’acciaio della fatica. Questa è la narrazione del Salento, della memoria della gente e del luogo, trascritta da Wilma Vedruccio nel suo libro La casa del sale. Storie di un altro Salento (Kurumuny edizioni).

Un altro Salento. Quello che non è mercificato e riesce a mantenersi nella tradizione orale, svincolato da false ideologie moderniste che fanno perdere il senso di ciò che siamo stati. Che cosa dobbiamo dunque chiederci e fare a questo proposito per evitare il pericolo dell’ovvio? Partire dall’evidenza di tutto quanto è ancora a disposizione dei nostri occhi e della nostra memoria. Non è una questione di verità, né un tentativo di ricerca di un qualunque fondamento veritativo, ma una riaffermazione di un canto corale che nel corso dei secoli si è trasformato in sapienziale esistenza di una gente che non ha mai perso di vista il sacrifico e ha saputo riscattare il dolore dalla brutalità del suo accadere. Gente forte in un luogo che era un incanto. Era. Non lo è più. Il messaggio è fin troppo chiaro: Storie di un altro Salento. Vedruccio nelle sue storie sembra avvertire il sentimento, sempre più acuto, della mancanza di tempo, la fretta che uccide presente e futuro, condensando nella nudità dell’accelerazione l’indifferenza, o peggio la scomposizione di misteri di bellezza naturali in fragili emotività che depauperano la quotidianità di significato.

La Casa del Sale è la casa di un tempo andato, consumato, che potrebbe vivere nella memoria. Era così chiamata in paese, e si diceva un po’ questo e un po’ quello sul suo passato, storie di contrabbandieri, leggende d’amore e di coltelli… Brrr, brividi di paura, che quelle incrostazioni, quelle pietre sgretolate certo non facevano svanire.

La Casa del Sale è il pretesto narrativo per intessere in un ricamo letterario di storie e di personaggi, ma anche di  luoghi mitici e irreali.

La scrittura segue con attenzione l’agire di una comunità intenta sempre alla costruzione di alti significati esistenziali. Altro Salento. Ma anche altre storie che non si ascoltano più, ma soprattutto non accadono, atteso che l’oggetto della tradizione è in continua mutazione per adattarlo ai canoni di una superficiale idea di modernismo.

Il Salento della Vedruccio è il Salento della nostalgia? No! È il Salento poetico di cui si può accertare il suo carattere incondizionato di inestimabile purezza. È il Salento che fa fatica a riemergere, a delineare le sue appartenenze alla tradizione, sconquassato da un turismo ossessivo e compulsivo, scosso dalle insidie delle multinazionali che intendono industrializzarlo e renderlo una ciminiera di fumi che devono soddisfare l’economia mondiale.

Vedruccio ha preso la parola, quella di una volta, per discorrere dell’ideale relazione tra uomo e natura, non per trarne un astratto modello logico-concettuale del Salento ma per tirarsi fuori dalle onnivore strategie e delle pretese consumistiche che vorrebbero il Salento un grande supermercato dove si può comprare il sole e il mare in barattoli. Non ha voluto raccontare idee o fantasmi, ma guardare, respirare, lasciarsi trasportare dal vero tempo, e percepire ancora il profumo dei fiori, l’odore della terra, vedere lo Ionio, i paesi con i campanili che comandano l’aria del tempo, le vie strette e labirintiche, i preti con la veste nera (pochi), le donne timorose di Dio, i rosari fra le mani, le preghiere, le suppliche a Dio e ai santi, le processioni, le bande, le piazze, le comari.

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