di Armando Polito Nella prima immagine (tratta da http://www.beniculturali.marche.it/Ricerca.aspx?ids=9675) un olio su tela custodito nell’Ospedale di Fabriano ed attribuito a Giuseppe Cades (1750-1799); nella seconda una tavola che fa parte della serie di illustrazioni della Divina Commedia realizzata da Gustavo Doré tra il 1861 e il 1868, riferita ai versi 54-57 del canto XXIX dell’Inferno. Certamente chi ha un’esatta nozione del tempo e, cosa che non guasta mai, un minimo di cultura avrà fatto un sobbalzo nel leggere il titolo che presenta un’accoppiata impossibile. Credo, infatti, con tutto il rispetto, che nemmeno il santo dei voli sarebbe in grado di compiere uno di quei miracoli che sono appannaggio solo del mondo televisivo, cioè intervistare Dante così come, per esempio, Socrate venne intervistato da Edoardo Sanguineti in una delle ottantadue puntate della serie radiofonica Le interviste impossibili, andata in onda tra il 1974 e il 1975. E allora? Si tratta solo di un’associazione di idee partita dalla cosiddetta legge del contrappasso. In un paese in cui le leggi godono il rispetto riservato a ciò che non esiste …, in cui Dante evoca in un gran numero di giovani un marchio di olio d’oliva e, quando non è scritto con l’iniziale maiuscola, crea, sempre in un altro buon numero di giovani che ne ignorano perfino la differente funzione, seri problemi nell’individuare il modo e il tempo di questa voce del verbo dare, sempre che più di uno, ignorando la funzione dell’apostrofo e considerando dante come d’ante (roba da spaccargli in testa l’intero infisso …) , non sentenzi che si tratta di un complemento di specificazione, sentenza, fra l’altro, figlia di un colpo di culo e non certo di conoscenza in cui di logica non è rimasta nemmeno l’analisi, in un paese siffatto, dicevo, bisogna pure che qualche vecchio rimbambito si prenda la briga di dire, a coloro che probabilmente non lo sanno ed a coloro che, pur sapendolo l’hanno dimenticato, che la legge del contrappasso potrebbe essere chiamata pure legge del taglione o legge dell’occhio per occhio, dente per dente. Mi rendo conto che per un ex insegnante è indegno spiegare un concetto con una procedura sinonimica che, nella fattispecie, non facilita certo le cose, evocando gli scenari più disparati: così, per i giovani di cui sopra, taglione potrebbe essere inteso come una grossa taglia messa sulla testa di un delinquente altrettanto grosso e occhio per occhio, dente per dente potrebbe essere scambiato per una rara formula di pagamento con ricevuta fiscale estremamente dettagliata sulla prestazione fornita da un oculista e da un dentista che hanno deciso di metter su uno studio in comune a mo’ di centro commerciale parzialmente specializzato. Dopo aver detto che il contrappasso non è nemmeno un movimento di danza, i giovani sappiano che legge del contrappasso, secondo la definizione che riporto dal vocabolario De Mauro (bella conclusione dopo tanto predicare …!), è un criterio punitivo che consiste nell’infliggere una pena uguale o simile al delitto commesso. Tale criterio è rigorosamente seguito da Dante nella sua Commedia, con la variante che talora la pena può essere anche opposta alla colpa. Aborro la pena di morte, non auspico nemmeno l’applicazione della legge del taglione che era alla base delle Leggi delle XII tavole (prima codificazione scritta, risalente alla metà del V secolo a. C., del diritto romano) ma mi chiedo se veramente da allora la civiltà giuridica abbia fatto progressi, perché ho l’impressione che la pletora di leggi e l’ambiguità del loro testo, che può propiziare le interpretazioni più contrastanti, abbiano dato vita solo all’incertezza della pena, tutto per la gioia di chi delinque. Paradossalmente a distanza di secoli si è sgretolata via via quella certezza, in un certo senso anche democratica, avviata col passaggio dalla legge non scritta (soggetta all’arbitrio non certo del più debole …) alla scritta e, forse, proprio l’eccesso di scrittura e soprattutto la sua ispirazione sovente capziosa, hanno di fatto legittimato la forma più perversa d’intelligenza che possa esistere: la furbizia. Dopo il riferimento a Dante, tocca a S. Giuseppe. Innumerevoli sono le biografie e lascio volutamente da parte Il frate volante, vita miracolosa di San Giuseppe da Copertino, Edizioni San Paolo, 1998, sceneggiatura scritta da Ennio De Concini per un film mai girato, in cui la storia, secondo il vezzo antico della rielaborazione artistica che nei nostri tempi ha lasciato il posto alla spettacolarizzazione travestita, nei casi peggiori, da divulgazione scientifica, è usata per darne libera interpretazione, che diventa arbitraria (e non disinteressata) manipolazione quando si inventano, come succede in questo caso, documenti inesistenti o alcuni passi di quelli autentici vengono criminalmente e consapevolmente alterati. Ora mostrerò, attraverso quattro brani tratti da altrettante biografie e che riporterò in ordine cronologico, come progressive superfetazioni (arbitrarie perché non documentate e neppure documentabili) trasformino agli occhi di chi legge in verità storica quella che già all’inizio potrebbe essere considerata una pura illazione (il rischio riguarda tutte le biografie ma in particolar modo le agiografie), per quanto plausibile. Benedetto Mazzara, Leggendario francescano, Lovisa, Venezia, 1721: tomo IX, p. 248, seconda colonna: Domenico Bernino, Vita del Venerabile Padre Fr. Giuseppe da Copertino, Recurti, Venezia, 1726, p. 3: p. 23 Paolo Antonio Agelli, Vita di San Giuseppe di Copertino, Stamperia Bonducciana, Firenze, 1768, p. 3 Angelo Pastrovicchi, Compendio della vita, virtù, morte e miracoli di San Giuseppe di Copertino, Quercetti, Osimo, 1804, p. 1 Giuseppe Ignazio Montanari, Vita e miracoli di San Giuseppe da Copertino, Tipografia Paccasassi, Fermo, 1851, p. 5 Dall’estasi iniziale descritta genericamente (restando fuora di sé) nel primo brano si passa nel secondo al dettaglio (colla bocca alquanto aperta) e alla sua metamorfosi onomastica (Boccaperta), nel terzo ricompare il solo dettaglio (colla bocca mezz’aperta), mentre nei rimanenti si afferma definitivamente la sua caratterizzazione onomastica (il chiamavano Bocca-aperta/gli misero sopranome Bocca aperta). Ancora oggi occapièrtu è a Nardò l’appellativo conferito ad una persona della cui intelligenza non si ha grande considerazione. Recentemente l’amico torinese Sergio Notario nel suo commento ad un mio post ha usato la voce piemontese badòla che è l’esatto sinonimo del salentino occapièrtu, ma questa volta il gemellaggio è solo di ordine semantico perché badòla è dal latino medioevale badare (da cui la voce italiana)=stare a bocca aperta, sbadigliare. Il lettore si starà già da tempo chiedendo quando arriverà l’ormai famigerata associazione d’idee che a mio dire avrebbe dato vita a queste righe. Lo accontento subito dicendo com’è andata. Mi sono messo nei panni di Dante (calma, non è la mia migliore performance: più di una volta ho indossato quelli di Hitler …) e mi son chiesto come il divin poeta (se gli fosse stato possibile con una macchina del tempo compiere un viaggio nel futuro …) avrebbe immortalato, con l’applicazione della legge del contrappasso, quei ragazzi di Copertino dopo averli posti, forse troppo severamente, tra i dannati della decima bolgia dell’ottavo cerchio dell’Inferno (i falsari, nel nostro caso quelli della parola, dunque in compagnia della moglie di Putifarre e di Sinone1). E se San Giuseppe non reagì (essendo già in odore di santità?), al nomignolo di occapièrtu, non abbiate paura a chiamare pàcciu (pazzo) me, anche se santità sta a me come onestà sta alla politica, dopo aver letto questa gionta al canto XXIX:
E ‘l maestro, placando il mio disio:
– Questi i figli son di Cupertino;
a Gioseppe fer torto, servo di Dio,
ché gli dier di leggier dell’asinino.
A bocca ora stanno spalancata,
col sembiante crudel di fantolino
e la lor mente tutta avviluppata
del fraticello ai voli dispiegati,
per quel “Boccaperta” ognor crucciata -.
Per la seconda parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/09/19/san-giuseppe-da-copertino-22-due-voli-offensivi/
__________
1 La prima, secondo il racconto biblico (Genesi, XXXIX), accusò ingiustamente Giuseppe (naturalmente non il nostro …) di violenza; il secondo, greco, (immortalato da Virgilio nei vv. 57-194 del II libro dell’Eneide, fattosi fare a bella posta prigioniero dei Troiani, li ingannò convincendoli ad introdurre nelle mura il famoso cavallo di legno da lui presentato come dono di espiazione e riconciliazione. Poi, porca Elena!, tutti (?) sanno come andò a finire …
Bellissimo! Campa e no murire ca no spicci ti ‘mparare! Mi è venuto il cruccio per non aver riletto tutta la prima cantica de “la divina commedia”